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    I falsi miti sulle energie rinnovabili - Il Sole 24 ORE

  • #2
    Consiglio caldamente a tutti i cosiddetti ambientalisti (dico cosiddetti non in termine spregiativo, ma soltanto perché mi considero anche io un ambientalista pur esendo molto lontano dai loro canoni) di leggere conttenzione quell'articolo e di meditarci sopra.

    Saluti.

    Federico

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    • #3
      Ambientalismo è un termine che indica solo una persona che ha a cuore soluzioni per l'ambiente.
      Non è detto sempre che queste soluzioni siano "furbe" solo se vengono da certe aree. Nel caso dei biocarburanti il Sole24Ore non scopre nulla di sensazionale, molto modestamente è da molto che sul forum ci sono opinioni divergenti. Il solo fatto che la fotosintesi è al momento (in futuro il dato peggiorerà) 60 volte meno efficace nel trasformare energia di un banale pannello FV rende evidente che i biocarburanti non possono essere la panacea.
      Questo non toglie che rappresentano una possibile fonte che non va assolutamente sottovalutata, ma normata. In certe situazioni coltivare ettari per produrre biocombustibili può essere un'ottima idea, sterminare le produzioni agricole alimentari certo non lo è. Incentivare le produzioni di biocarburante da alghe, batteri è possibile.
      Insomma... nessuno pretende che i biocarburanti salvino il mondo, ma sono sicuramente un'arma da usare. Con intelligenza, certo.
      “Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda.” Bertrand Russell

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      • #4
        Credo utile una lettura guidata dell'articolo, che certamente fa il punto sulle convinzioni dell'autore.
        E' evidente che il titolo stesso è furviante e destinato solo ad attirare l'attenzione e la lettura di quelli che ritengono inutile lo sviluppo delle energie rinnovabili.
        Infatti le sette affermazioni che vengono indicate inizialmente come "sette falsi miti sulle energie rinnovabili" da abbattere, non solo in genere non sono abbattute, ma sono anzi ribadite, pur con precisazioni (non sempre però nel segno).
        E' particolarmente rimarchevole l'affermazione che finora i governi hanno fatto scelte tecnologiche sbagliate.

        Primo "mito da abbattere"?: Bisogna azzerare la dipendenza dal petrolio
        L'autore però non afferma affatto che sia meglio usare tutto il petrolio possibile, bensì ricorda che con le regole attuali:
        "Il mondo si sta affannando a promuovere combustibili alternativi che di fatto accelereranno il riscaldamento globale".
        Infatti bisogna stare attenti a non essere ingannati dalle apparenze poiché, se un prodotto energetico è valutato rispetto all'effetto serra solo per la CO2 direttamente prodotta nell'usarlo, si arriva all'assurdo di promuovere l'energia elettrica (o peggio dell'idrogeno prodotto con essa) dimenticando le emissioni di gas serra effettuate per produrla (in media 0,5 tCO2/MWh).
        Ogni prodotto energetico (vettore) deve invece essere valutato per la sua intera filiera di produzione.
        Più esattamente per tutti i composti del carbonio minerale utilizzati per produrlo.
        Ovviamente per produrre l'energia elettrica quei composti vengono completamente trasformati in CO2 (se la combustione è stata corretta, producendo meno inquinanti possibili (CO ed NOx)).
        Nel caso di "vettori energetici combustibili" la combustione dei composti minerali del carbonio usati per produrli avviene invecequasi tutta presso l'utilizzatore.
        L'effetto serra collegato ad un combustibile è "tutto e solo" quello del carbonio minerale usato nella sua filiera di produzione.
        Ad esempio, è possibile spremere i frutti oleosi di Jatropha, citata nell'allegato, usando solo il biodiesel ricavato dagli stessi e si può trasportare i frutti ed il biodiesel con mezzi di trasporto che usano solo quel biodiesel.
        Così, da un ettaro coltivato a Jatropha arrivano al distributore di gasolio per motori diesel meno di 1900 litri d'olio.
        Ma in tal modo, per ogni MWht da biodiesel i composti minerali del carbonio utilizzati sono circa un decimo di quelli del gasolio prodotto col petrolio (circa 0,26 tCO2/MWht).
        Sono solo quelli corrispondenti all'energia per costruire i macchinari (frantoio a freddo e mezzi di trasporto) usati in filiera corta.
        Ben diversamente stanno le cose se tutto il trasporto e le lavorazioni dello stesso biodiesel sono fatte usando energia a base di composti minerali del carbonio. E' ovviamente a questa eventualità che si riferisce l'autore.

        Mi sembra quindi chiaro che la conoscenza dell'intera filiera produttiva di un vettore energetico offerto al mercato sia la condizione preliminare per valutare l'emissione di CO2 per unità d'energia fornita (tCO2/MWh), sia per l'energia elettrica, sia per l'energia termica fornita dai combustibili (liquidi, gassosi, solidi) posti in commercio.
        Basta sapere quanta energia commerciale e quanta energia minerale grezza viene utilizzata per portare al distributore un MWh termico in gasolio (in Italia anche lo Stato lo sa, per via delle accise).
        Ovviamente il 50 % di quel tipo di vettore energetico (combustibile liquido per motori diesel) è prodotto usando carbonio minerale meno della media. Sono proprio i produttori di questo 50 % "virtuoso" che sono in grado di controllare l'altro 50 %.
        Cioè solo i concorrenti che forniscono al mercato vettori energetici equivalenti sanno se le dichiarazioni di un dato fornitore sono attendibili.
        Come sfruttare tali aspetti della concorrenza per ridurre le emissioni è spiegato negli interventi #74 e #75 di
        http://www.energeticambiente.it/disc...-duratura.html
        File allegati
        Ultima modifica di ggavioli; 20-09-2009, 15:03.

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        • #5
          Secondo "mito da abbattere"?: Gli effetti perversi causati dalla deforestazione
          Qui l'autore non intende affatto che non siano perversi gli effetti della deforestazione, bensì che deforestare per coltivare piante per fare biocombustibili è una contraddizione in termini.
          Infatti oltre ad un uso smodato di energia da carbonio minerale per la coltivazione e la lavorazione dei biocombustibili liquidi per autotrazione, se per coltivare le piante si elimina una foresta in accrescimento, l'anidride carbonica riassorbita dalle coltivazioni è sempre minore di quella assorbita dalla foresta.
          In verità il modo più razionale per aumentare l'assorbimento di CO2 dall'atmosfera è utilizzare la biomassa prodotta prima che si decomponga restituendo la CO2 assorbita.
          Una quota parte può diventare materiale da costruzione, bloccando così per molto tempo la decomposizione.
          La combustione a breve raggio del materiale non pregiato per fare energia elettrica da esportare restituendo le ceneri alla terra è l'unico modo di perpetuare le foreste senza togliere nutrienti al terreno.
          Le foreste funzionano bene ed assorbono al massimo solo se la biomassa man mano prodotta è asportata con cicli regolari in base alle specie presenti e si mantiene mediamente costante la quantità di biomassa verde presente.
          Comunque l'errore da evitare è quello di non conoscere la vera filiera produttiva di qualunque vettore energetico si voglia prendere in considerazione al posto di quelli basati sui composti milerali del carbonio.
          E' comunque un errore l'uso dei terreni agricoli per produrre bioenergia commerciabile in competizione con l'uso degli stessi terreni per produzioni alimentari, specialmente se poi occorrono sovvenzioni statali.
          Altro errore da evitare è ovviamente sovvenzionare con soldi pubblici qualunque tecnologia sostitutiva del carbonio minerale.
          Ma pure errore gravissimo è continuare a sovvenzionare con soldi pubblici le ricerche e l'estrazione del carbonio minerale.
          L'autore elenca tanti errori tecnologici attribuendoli ai governi (ma qualcuno aveva detto loro che erano ottime tecnologie).
          Ma pare poi aver fiducia che gli stessi governi possano scelgliere da ora in poi le tecnologie giuste per risolvere il problema della dipendenza energetica dai paesi detentori del carbonio minerale.
          A mio parere i governi semplicemente non devono sovvenzionare alcuna fonte energetica minerale o rinnovabile che sia.
          Quando l'hanno fatto finora hanno sempre sbagliato.
          Ultima modifica di ggavioli; 20-09-2009, 15:02.

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          • #6
            gavioli vedo che lei insiste nelle sue teori, molto coerente, ma rimane sempre la mia domanda, quali soluzioni alternative lei ha in gioco, saluti

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            • #7
              Originariamente inviato da gordini-motori Visualizza il messaggio
              quali soluzioni alternative lei ha in gioco
              Se leggi gli interventi #4, #5, #6, #7 e #78 della discussione
              http://www.energeticambiente.it/disc...-duratura.html
              puoi notare che sono ben disponibili opportune combinazioni di tecnologie di produzione e di utilizzo dell'energia commerciale, che permettono di ridurre del 2 - 3 %/anno le emissioni attuali di gas serra, senza alcun aumento del costo dei servizi al consumo.
              L'unico problema attualmente non risolto dai governi è il fatto che, perché tali combinazioni si realizzino, occorre superare barriere (ovviamente non economiche) dettate dalle reazioni soggettive all'introduzione di tecnologie inusuali.
              La mia proposta di politica energetica differenziale, che sto esponendo in quella discussione, permette di
              espandere pienamente le potenzialità delle tecnologie disponibili, senza avere effetti collaterali negativi, come inflazione e recessione.
              Ogni nuova tecnologia realmente migliorativa è comunque ben accetta, ma ovviamente dovrà sempre superare la sensazione soggettiva di rischio tecnologico.
              Ultima modifica di ggavioli; 21-09-2009, 15:53.

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              • #8
                Terzo "mito da abbattere"?: Biocombustibili di seconda generazione

                L'autore pare avere solo generici dubbi sui tempi per ottenere combustibili per autotrazione la cui filiera di produzione non comporti più emissione di CO2 da carbonio minerale di quelli ricavati da petrolio e metano minerali.
                L'autore ondeggia tra suggerire sussidi a tecnologie per l'efficienza energetica del trasporto (al trasporto pubblico, alle piste ciclabili, alle ferrovie, al telelavoro, al car sharing e ad iniziative che inducano gli automobilisti a rinunciare all'auto) e scandalizzarsi perché sovvenzionano la ricerca di biocombustibili o sovvenzionano biocombustibili che l'agricoltura e l'industria producono usando troppa energia commerciale.
                Indica poi come unica soluzione attuabile a breve per il trasporto privato l'auto elettrica, ma poi si accorge che, se l'energia elettrica è fatta col carbone, essa provoca più emissioni della stessa energia meccanica prodotta dalla benzina direttamente sull'auto.
                Ricordo però che l'energia elettrica può essere ottenuta dal vento con bassissime emissioni (dovute solo alla costruzione delle centrali = 0,015 tCO2/MWh) mentre l'emissione complessiva da centrali a carbone è 0,900 tCO2/MWh e dai motori endotermici a gasolio minerale è 0,600 tCO2/MWh.
                Notare che in molti paesi con molte centrali nucleari, inclusi gli USA, l'emissione media di CO2 per fornire un MWh di energia elettrica è superiore a quella danese, italiana (0,5 tCO2/MWh), o tedesca, non aiuta però nemmeno a scegliere tra le tecnologie già disponibili, tantomeno a scegliere quelle più promettenti per fare ricerca su di esse.
                Mi ripeto. I "decisori politici" non devono scegliere quali tecnologie di produzione è bene adottare ora (lo devono fare gli investitori privati, previo adeguato stimolo), tantomeno hanno titolo di scegliere quali tecnologie sviluppare (lo devono fare i centri di ricerca pagati dalle industrie, adeguatamente stimolate ad innovare), ed ancor meno possono decidere quali meccanismi naturali indagare per studiare nuove soluzioni (lo devono fare liberamente gli scienziati di centri di ricerca ed università, sovvenzionati con quota fissa del PIL)
                Ultima modifica di ggavioli; 23-09-2009, 08:52.

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                • #9
                  Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                  Indica poi come unica soluzione attuabile a breve per il trasporto privato l'auto elettrica, ma poi si accorge che, se l'energia elettrica è fatta col carbone, essa provoca più emissioni della stessa energia meccanica prodotta dalla benzina direttamente sull'auto.
                  Ricordo però che l'energia elettrica può essere ottenuta dal vento con bassissime emissioni (dovute solo alla costruzione delle centrali = 0,015 tCO2/MWh) mentre l'emissione complessiva da centrali a carbone è 0,900 tCO2/MWh e dai motori endotermici a gasolio minerale è 0,600 tCO2/MWh.
                  coclusione sbagliattissima perchè non tieni (insiemo all'autore dell'articolo) conto della filiera si sa che con quello elettrico si risparmia energia dal 30% al quasi 50% (in un caso particolare cioè ciclo combinato) siamo alla pari più o meno:MondoElettrico: Le ragioni dell'auto elettrica secondo Renault e Nissan
                  Ultima modifica di francescoG1; 23-09-2009, 15:53.

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                  • #10
                    Originariamente inviato da francescoG1 Visualizza il messaggio
                    con quello elettrico si risparmia energia dal 30% al quasi 50% (in un caso particolare cioè ciclo combinato) siamo alla pari più o meno:MondoElettrico: Le ragioni dell'auto elettrica secondo Renault e Nissan
                    Forse il mio intervento non è stato sufficientemente chiaro.
                    Facevo solo notare che l'effetto serra per produrre un MWh d'energia elettrica varia molto in base alle fonti usate.
                    Ad esempio, usando prodotti petroliferi per fare energia elettrica si produce un'emissione 40 volte (e 60 volte usando il carbone) che usando il vento.
                    Tu poi giustamente avverti che l'uso dell'energia meccanica potenziale in un'auto elettrica è assai più efficace (per le possibilità di recupero), per cui, rispetto alla dotazione di un motore a scoppio, l'auto elettrica può anche dimezzare i consumi di energia potenziale e quindi le emissioni indotte nel produrre l'energia elettrica.
                    Sfondi una porta apertissima. (intermedi sono i vantaggi analoghi delle auto ibride)
                    Ma c'è anche di più. Cioè che, anche con gli alti costi medi dell'energia elettrica in Italia, il costo dell'energia elettrica è circa un terzo dei prodotti petroliferi a pari energia meccanica potenziale.
                    Tipicamente il costo per km percorso è circa un decimo rispetto all'uso di motori endotermici a benzina o gasolio.
                    Naturalmente le nicchie d'utilizzo ottimale delle auto elettriche si amplieranno man mano che miglioreranno gli accumulatori e la distribuzione d'energia elettrica lungo le strade.
                    Ultima modifica di ggavioli; 24-09-2009, 08:08.

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                    • #11
                      Quarto "mito da abbattere"?: Non basta progettare nuove centrali nucleari (1)
                      L'autore invero non è affatto convinto che basti progettare nuove centrali nucleari e ricorda che "L'esperto Amory Lovins ha calcolato che le nuove centrali nucleari costeranno tre volte di più di una centrale eolica".
                      Ovviamente s'intende a pari produzione annuale d'energia elettrica.
                      Si deve però ricordare che le centrali nucleari sono progettate per durare 60 anni, mentre quelle eoliche per 20 anni.
                      Ma poi serve ricordare che alla dismissione delle pale eoliche non ci sono problemi con materiali radioattivi.
                      Nessuno però parla dei costi di presidio e manutenzione delle une e delle altre.
                      Ma, in definitiva, saranno concreti i problemi economici che fan prendere le decisioni a chi ci mette soldi suoi.
                      E' quindi certamente significativo il fatto che (con costi del petrolio adeguatamente alti): "le energie rinnovabili hanno attirato 71 miliardi di dollari di capitali privati in tutto il mondo nel 2007, mentre il nucleare ha attirato zero dollari."
                      Effettivamente, oltre ai problemi tecnici non risolti dalla tecnologia nucleare ora disponibile, quelli economici nascono ad esempio dal fatto che una centrale a progetto attuale potrebbe entrare in funzione solo tra 10 anni e trovarsi obsoleta tra 30, quando i sostenitori del nucleare affermano che saranno pronte quelle che risolveranno i problemi tecnici (di sicurezza).
                      E' ovvio che nessun privato può affrontare il rischio di dismettere un impianto ad un terzo della sua vita tecnica (ciò di fatto triplica il costo del MWh) senza adeguate assicurazioni statali.
                      Peraltro quale stato può assicurare che tra venti o trent'anni una legge od un referendum popolare non blocchi il funzionamento di tutte le centrali nucleari obsolete e quindi assai più pericolose di quelle di nuovo modello?
                      Così senza sovvenzioni (e molte volte superiori a quelle per l'eolico) le centrali nucleari non si fanno.
                      L'autore riporta un giudizio lapidario:
                      "Costruire i reattori non ha molto senso a meno che non sia qualcun altro a pagare."

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                      • #12
                        Accettabilità sociale delle fonti rinnovabili: tutte le vogliono ma poi le contestano

                        Errore, scusate, ho scritto una nuova discussione qui:
                        http://www.energeticambiente.it/disc...ontestano.html

                        Sull'accettabilità sociale.

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                        • #13
                          Originariamente inviato da fabiodis Visualizza il messaggio
                          Errore, scusate, ho scritto una nuova discussione
                          Errore?
                          Non poi di tanto, visto che in questa discussione stiamo cercando di fare il punto sulla accettabilità tecnica delle Fonti Energetiche Rinnovabili, come pure della Efficienza Energetica delle attività umane che usano energia commerciale (tutte).
                          Che il problema principale per ottenere i benefici che le Tecnologie Verdi rendono disponibili sia l'accettazione delle corrispondenti novità da parte della società umana presente in un territorio è ben evidenziato, insieme ad una possibile soluzione, nella discussione
                          http://www.energeticambiente.it/disc...-duratura.html

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                          • #14
                            Quarto "mito da abbattere"?: Non basta progettare nuove centrali nucleari (2)
                            L'autore è meno convincente quando afferma che l'espansione dell'eolico e del fotovoltaico è probabilmente insufficiente per fornire l'energia elettrica occorrente nel 2030.
                            L'autore conclude l'esame di questo "mito", affermando che, produrre entro il 2030 tutta l'energia elettrica spontaneamente richiesta dal consumo usuale (BAU), è più facile ricominciando a costruire centrali nucleari.
                            Ricordo intanto che, per quanto è ben noto, la richiesta mondiale d'energia elettrica nel 2030, anche fosse il doppio d'adesso, sarà meno dello 0,1 % della potenzialità delle due fonti, sia a livello mondiale, sia a livello regionale.
                            In merito si veda l'allegato all'intervento #80 della discussione:
                            http://www.energeticambiente.it/decr...enibile-4.html
                            Pertanto il problema non è la carenza di fonti adeguate (come invece è per tutte quelle non rinnovabili), ma solo l'adeguata espansione della produzione industriale e dell'installazione degli impianti eolici e fotovoltaici.
                            Serve anche realizzare le reti elettriche intelligenti con produzione ed accumulo distribito (e distacchi automatici dei surplus).
                            Peraltro la concreta espansione produttiva di qualunque tecnologia richiede tempi multipli dei tempi d'ammortamento degli impianti (incluso il nucleare fermo da tempo e con ammortamenti in 60 anni), ma l'espansione è poi esponenziale se sono stabili le condizioni ad essa favorevoli (economiche e di potenzialità praticabile).
                            Pare sostanzialmente naturale che l'industria che produce le macchine capaci di fornire energia elettrica da sole e vento continui ad espandersi del 20 % all'anno fino a metà della potenzialità disponibile in ogni regione.
                            I limiti tecnici dovuti alla discontinuità delle fonti FER distribuite sono superabili con la già disponibile sofisticazione dei controlli di rete elettrica, comunque necessari già con la produzione centralizzata e le importazioni.
                            Naturalmente le "reti elettriche intelligenti" sono infrastrutture del territorio ed occorre una decisione politica per realizzarle.
                            La ritrosia di taluni politici a favorire l'aggiornamento tecnologico delle reti elettriche sembra strettamente collegata alla volontà di controllo centralizzato dell'energia, ottenibile ormai solo con le centrali nucleari.

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                            • #15
                              Quarto "mito da abbattere"?: Non basta progettare nuove centrali nucleari (3)

                              Ovviamente con adeguata intelligenza di rete elettrica e costanza delle condizioni economiche, in vent'anni la quota produttiva di eolico + fotovoltaico può crescere dal 2 % attuale al 2*1,2^20 = 76 % della richiesta attuale, cioè al 76/1,7 = 44 % della richiesta prevista nel 2030 e tutto l'aumento richiesto BAU.
                              Se invece continuasse l'espansione del 2008 (+25 %/anno), in vent'anni da vento e sole si avrebbe il 2*1,25^20=173 % di tutta la richiesta attuale d'energia elettrica, pari all'intera richiesta BAU prevista nel 2030.
                              Guardando poi all'espansione passata indicata dall'autore (tecnologia decuplicata in dieci anni), con rete elettrica intelligente, c'è da attendersi che in dieci anni la quota di eolico + fotovoltaico passi da 2 % al 20 % ed in altri 10 dal 20 % al 200 % della richiesta attuale.
                              E nessuno vuol buttare le centrali idroelettriche, o a biomasse, o geotermiche, o mareomotrici, quando sono più convenienti.
                              La progressione esponenziale d'installazione delle centrali nucleari a progetto attuale è più difficile da determinare.
                              Infatti, come visto in #11, un'eventuale ripresa del nucleare nel mondo od in Italia è possibile (come sempre finora) solo con sovvenzioni o garanzie statali, la cui scarsità ne ha bloccato da vent'anni al 15 % l'incidenza sulla produzione d'energia elettrica (ora analoga all'idroelettrico, vedi allegato da IEA_key_status-2008).
                              Anche se tutti i governi decidessero di fare nuove centrali nucleari, il raddoppio non avverrebbe in meno di dieci anni e tra venti anni difficilmente il nucleare potrebbe superare il 60 % dell'attuale richiesta d'energia elettrica, senza aver ancora risolto i problemi tecnici che finora ne hanno bloccato lo sviluppo.
                              Tra questi il fatto che le riserve note di minerale di Uranio economicamente estraibile bastano per poco più di 80 anni per le centrali attuali e quindi per soli 20 anni per la massima espansione ipotizzata dell'attuale tecnologia nucleare.
                              Poi quanti anni serviranno per sostituire tutte le centrali di tipo vecchio con quelle di tipo nuovo?
                              Quindi costruendo altre centrali nucleari di tipo vecchio o progettandone di tipo nuovo, non si riesce a garantire l'energia elettrica richiesta nel 2030 meglio che investendo sulle FER .
                              Anzi investire su nuove centrali nucleari di tipo vecchio rischia di compromettere la ricerca sul nucleare nuovo e di far mancare le sovvenzioni eventualmente necessarie per lo sviluppo delle centrali elettriche da FER.

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                              • #16
                                Sesto "mito da abbattere"?: Serve una rivoluzione tecnologica
                                Secondo l'autore questo non è un mito, è semplicemente una constatazione per il medio termine (10 - 30 anni), ma le tecnologie già disponibili possono far partire rapidamente il lungo processo di cambiamento.
                                L'autore afferma, di nuovo, la necessità di accorte decisioni politiche:
                                "Bisogna imporre un prezzo alle emissioni per far capire agli operatori di mercato e agli innovatori che è necessario promuovere attività a basso livello di emissioni: il programma di scambi di quote di emissioni dell'Unione europea dopo una partenza titubante sembra funzionare bene.
                                I capitali privati che già si riversano sul settore delle energie rinnovabili potrebbero riuscire un giorno a produrre un pannello solare a buon mercato, o un carburante sintetico, o una batteria superpotente, o una centrale a carbone realmente pulita. ....
                                Per raggiungere i nostri traguardi del 2020 non è necessario ridurre a zero l'impiego di combustibili fossili.
                                Basta che ne usiamo meno. Se qualcuno avrà un'idea migliore da oggi al 2020, benissimo!
                                Per il momento, concentriamoci sulle soluzioni che consentono di tagliare più emissioni possibile al minor costo possibile."
                                Di fronte ad un aumento generalizzato e significativo del costo del carbonio minerale (con una carbon tax), è ragionevole che i produttori di energia commerciale tendano a fornirla usando meno carbonio minerale possibile.
                                In verità è possibile predisporre politiche energetiche egualmente efficaci e con meno effetti negativi della carbon tax e dell'emission trading.
                                Ed è proprio questo l'obbiettivo che intende perseguire la nuova politica energetica proposta negli interventi #74, #75, #79 e #80 della discussione:
                                http://www.energeticambiente.it/disc...uratura-4.html
                                Peraltro i tempi necessari per fare tutti i cambiamenti possibili sono piuttosto lunghi, quindi la politica energetica dovrà rimanere stabile per almeno 60 anni, quantomeno per non tornare a tecnologie inefficenti (può succedere se nel lungo periodo cambiano le convenienze economiche), come già avvenuto tra il 1985 ed il 2005.
                                Quindi, anche per la necessità di valere a lungo termine, risulta inefficace promuovere direttamente specifiche tecnologie per produrre, o per utilizzare l'energia.
                                Anche forme di sostegno come il conto energia (che preleva risorse economiche da tutti gli utilizzatori d'energia elettrica per sostenere tecnologie che non possono affrontare il libero mercato) reggono solo fino ad una quota di presenza di FER sovvenzionate inferiore al 20 %.
                                Infatti con una quota di FER sovvenzionate da CE pari al 20 %, se la sovvenzione è di 200 €/MWh, tutti gli acquirenti d'energia elettrica vedrebbero aumentare il costo della energia elettrica di 200*0,2=40 €/MWh.
                                Ad esempio, per utenti industriali a 15 kV, che ora pagano circa 100 €/MWh l'aumento sarebbe del 40 %, diventando insostenibile per le esportazioni.
                                Se poi il CE fosse fatto pagare solo alle utenze a 220 V (circa un terzo del totale), l'aumento di 200*0,2*3=120 €/MWh, che su circa 200 €/MWh, è un aumento del 60 %.
                                Ultima modifica di ggavioli; 10-10-2009, 08:56.

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                                • #17
                                  Settimo "mito da abbattere"?: Iniziamo cambiando i nostri stili di vita

                                  L'autore si mette opportunamente in ascolto di coloro che ritengono improbabile, visto i risultati delle politiche energetiche finora adottate, che l'adozione di tecnologie risolutive attuali e man mano disponibili sia abbastanza rapida per fare tutto quello che ci attendiamo in un futuro radioso, ma con meno energia e con energia che usi meno composti minerali (del carbonio, dell'uranio o di qualunque risorsa non rinnovabile).
                                  "L'efficienza è una droga miracolosa, ma il risparmio è ancora meglio: una Prius consuma meno benzina, ma una Prius parcheggiata in garage mentre tu ti sposti in bici non ne consuma affatto.
                                  Anche le più efficienti fra le asciugatrici consumano più energia dello stendino dei panni.
                                  Fare di più con meno è un ottimo inizio, ma per arrivare all'obbiettivo dell'80% di emissioni in meno il mondo industrializzato potrebbe, occasionalmente, dover fare di meno con meno.
                                  Forse dovremo disattivare qualche cornice digitale, sostituire in alcuni casi il viaggio d'affari con la teleconferenza, e andarci piano con i condizionatori.
                                  Se questa è una verità scomoda, è meno scomoda delle migliaia di miliardi di dollari che costano i nuovi reattori, della dipendenza perpetua da petro-stati ostili o di un pianeta in affanno."
                                  Mi sembra difficile dargli torto, anche se l'autore ci avverte subito che:
                                  "In questo periodo, è politicamente scorretto suggerire che diventare più verdi possa comportare correzioni anche minime al nostro stile di vita"
                                  Ovviamente l'equità globale ed i tempi tecnici per le modifiche tecnologiche in atto e future hanno le loro esigenze, ma tutto ciò può risultare assai meno scomodo di una recessione economica (2008 - 2010) provocata senza preavviso dall'avidità di coloro che continuano a sbandierare lo sviluppo economico a tutti i costi.
                                  Di "Decrescita" dei suoi limiti e delle condizioni di successo (accettabilità) di una tale strategia, si discute in
                                  http://www.energeticambiente.it/decr...enibile-4.html
                                  Peraltro un percorso tecnico-economico che porta a ridurre in Italia le emissioni di CO2 da usi energetici del 22 % nel 2020 e del 57 % nel 2040 è illustrato da ENEA in REA2008 (luglio 2009)
                                  http://www.enea.it/produzione_scient...08_Analisi.pdf
                                  Si deve notare che tale percorso è valutato da ENEA a pari servizi finali tendenziali e risulta a bilancio economico positivo (di 4G€ nel 2020 e di 10 G€ nel 2040) per i consumatori rispetto alla situazione tendenziale BAU.
                                  In definitiva l'ipotesi che una più o meno ampia comunità territoriale percorra la strada della decrescita economica (e consegua l'azzeramento delle emissioni climateranti tramite l'azzeramento dell'uso di risorse non rinnovabili) non è da scartare a priori.
                                  Tuttavia l'azzeramento del bilancio dei gas serra (prodotti in Italia e nel mondo nel sostenere le attività umane in Italia) può essere ottenuto senza rinunciare ad un aumento dei servizi finali al consumo: 1 %/(anno*persona).
                                  Ultima modifica di ggavioli; 10-10-2009, 17:25.

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                                  • #18
                                    Come usare le foreste italiane

                                    Mi sembra opportuno ritornare sul secondo tema sollevato dall'autore dell'articolo commentato in questa discussione, ovvero le ragioni per evitare la deforestazione.
                                    Facendo espressamente riferimento all'Italia, l'uso ed il cambio d'uso dei suoli e la gestione forestale danno un significativo contributo a ridurre l'emissione netta di CO2 dall'Italia, infatti la CO2 riassorbita è cresciuta da 67 MtCO2/a nel 1990 a 71 MtCO2/a nel 2007.
                                    E' ovvio che l'assorbimento di CO2 dall'atmosfera terrestre compensa pari emissione da combustione di composti minerali del carbonio.
                                    Sono disponibili aggiornate metodiche di valutazione (anche satellitare) della biomassa creata annualmente con una equilibrata gestione forestale ed agricola, permettono di contabilizzare l'effettivo contributo dell'Italia al riassorbimento biologico della CO2 atmosferica.
                                    Con tali metodi si misura l'equivalente della biomassa esistente come "CO2 atmosferica fissata" ed aggiungendovi la biomassa asportata per usi economici, si può calcolare l'effettiva quantità di CO2 atmosferica fissata annualmente e poi la sua variazione rispetto al 1990.
                                    Questa variazione è l'unico valore che riguarda i bilanci di riduzione delle emissioni rispetto al 1990.
                                    Si ricorda che la biomassa creata annualmente dal sole ed asportata per qualunque uso economico è ottenuta senza (o con poco) uso di carbonio fossile, quindi gode già del vantaggio differenziale rispetto ad usi economici di prodotti basati sul carbonio fossile che fossero intercambiabili con i prodotti da biomassa.
                                    La gestione forestale ed l'uso agricolo dei suoli può inoltre ridurre gli incendi boschivi e la decomposizione della vegetazione quindi, prevenendo la riemissione in atmosfera di importanti quantità di gas serra, aumenta la quantità netta di CO2 annualmente fissata nelle piante per ettaro di foresta o di cultura agricola.
                                    Infatti le foreste non gestite possono perfino arrivare ad essere ininfluenti sul bilancio globale del carbonio se in esse non cresce la massa totale di composti organici (eventualmente ridotti a carbone).
                                    Occorre però ribadire che la biomassa proveniente dalle foreste e dall'agricoltura, che di per sé è un vettore d'energia rinnovabile, corrisponde ad un riassorbimento di CO2 tramite energia solare, se proviene da foreste e culture certificate (che mantengono od aumentano la biomassa vivente per kmq), ma comporta una rapida riduzione del riassorbimento, se è frutto di deforestazione più o meno selvaggia.
                                    La contabilità del ciclo biologico del carbonio non è difficile, ma richiede una vera conoscenza delle filiere dei prodotti, peraltro unico modo per tutelare i consumatori finali.
                                    Tutto il ciclo del carbonio può essere controllato in regime di "libera concorrenza orientata", anche globale, ma occorre sempre ricordare che non c'è libera competizione se le attività dei competitori sono coperte da segreto.

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                                    • #19
                                      Come usare le foreste italiane

                                      E' doveroso penalizzare la riduzione della presenza di biomassa sul territorio (es. la deforestazione) ed è quindi giusto valorizzarne la crescita che comporta riduzione della presenza di CO2 in atmosfera.
                                      Il Protocollo di Kyoto valuta giustamente che 1 tCO2 assorbita ovunque sul globo potrebbe essere acquistata da un altro territorio a compensazione di propria pari emissione.
                                      Il punto debole di questa opzione è ovviamente l'accertamento dell'effettivo riassorbimento di CO2 su territori che non partecipano al protocollo di Kyoto e quindi potrebbero assorbire in un luogo e deforestare in un altro.
                                      Si può però affermare che 1 tCO2 assorbita all'interno d'un territorio che ha ratificao il protocollo di Kyoto equivale a 1 tCO2 non emessa in quel territorio.
                                      L'aumento (o la riduzione) della CO2 riassorbita rispetto agli equilibri del 1990 è giustamente da accreditare (o da addebitare) alla gestione del territorio su cui avviene e può essere riconosciuto ai soggetti che gestiscono quello specifico territoio (anche demaniale) e le coltivazioni ivi insediate.
                                      Stando in Italia, dopo il 2050 assorbire più CO2 può diventare più conveniente di bruciare meno carbonio minerale.
                                      Infatti con la PED il prezzo di scambio del carbonio minerale (e del riassorbimento di CO2 atmosferica) deve comunque essere uguale in tutto il territorio nazionale.
                                      In Italia, dopo il 2080, con equilibrati prelievi di biomassa forestale ed agricola sul territorio nazionale si può assorbire CO2 a un tasso molto superiore agli attuali 70 MtCO2/a.
                                      Se poi l'emissione da uso di carbonio fossile (nel 2007 a 475 MtCO2/a) e le altre emissioni di gas serra (nel 2007 a 77 MtCO2eq/a) per allora saranno complessivamente uguali o minori di 70 MtCO2eq/a, si potrà considerare azzerata o negativa l'emissione netta di gas serra dall'Italia.
                                      Si deve però ribadire che l'assorbimento di CO2 tramite gestione forestale o agricola certificata, non è una qualunque attività che cattura e deposita (in luoghi sicuri?) la CO2 atmosferica, o prima che sia emmessa.
                                      Nel caso dell'assorbimento biologico della CO2, la presenza di una filiera d'utilizzo dei prodotti (alimenti, legname da costruzione, materia prima per sintesi di chimica organica e prodotti da usare in sostituzione del carbonio fossile) favorisce il mantenimento e l'auspicabile aumento dell'assorbimento annuale di CO2 atmosferica.
                                      La presenza d'attività sociali collaterali che aiutano il controllo del territorio (incluso il turismo) può diventare sinergica per aumentare il peso di CO2 trasformata ogni anno in materia organica.
                                      Le gestioni forestali e l'agricoltura sono infatti segmenti iniziali di filiera di altre produzioni (materiali da costruzione, prodotti energetici, prodotti alimentari) che producono reddito.
                                      I materiali provenienti dall'assorbimento biologico della CO2 atmosferica valorizzati commercialmente e di lunga durata sono di fatto un deposito della CO2 assai più sicuro dei depositi geologici o marini e della stessa crescita forestale.
                                      Viceversa la cattura ed il deposito di CO2 (CCS) evita l'aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera, ma non ricostituisce risorse, né produce beni o servizi richiesti dal mercato.
                                      Le attività di CCS sono tipici segmenti finali (producono rifiuti) di filiere produttive con combustione di carbonio minerale ed i costi relativi sono perciò aggiuntivi e non sostitutivi dei costi delle fonti energetiche minerali.
                                      Peraltro la CO2 è un rifiuto che è facilmente occultabile in atmosfera e può così facilmente alimentare i soliti imbrogli sulla gestione dei rifiuti ancora meglio degli altri.

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                                      • #20
                                        L'alternativa di Catturare la CO2 e Sequestrarla

                                        In alternativa ad un assorbimento biologico certificato è logicamente possibile catturare la CO2 e sequestrarla (CCS) in luogo sicuro per abbastanza tempo.
                                        In primo luogo occorre almeno verificare se il costo di questa operazione è minore del costo per evitare l'emissione diretta della CO2, o di altri modi di bloccare il carbonio a terra in forma solida (ad esempio le foreste).
                                        Solo in tal caso (e non lo è adesso), confrontandosi con i suoi diretti concorrenti nel tipo di filiera merceologica d'appartenenza a livello internazionale, a chi decide le tecnologie potrebbe risultare più conveniente la CCS invece di ridurre il proprio uso di composti minerali del carbonio.
                                        Ricordo che la Politica Energetica Differenziale (PED) presuppone una volontà globale di ridurre e possibilmente azzerare l'uso di risorse non rinnovabili.
                                        E' noto che le tecnologie CCS richiedono quantità d'energia non trascurabili, ad esempio riducono di circa il 10 % il rendimento della produzione d'energia elettrica.
                                        Quindi non riducono, anzi aumentano l'uso di risorse non rinnovabili.
                                        Ma, se, nonostante ciò, si riconosce la CCS come equivalente al riassorbimento biologico della CO2 ed alla riduzione dell'uso del carbonio fossile, chi usa la CCS dovrà però pagare, con adeguata polizza assicurativa, l'attualizzazione del rischio che la CO2, depositata in quel particolare modo e destinata all'oblio, possa liberarsi in atmosfera prima di 10, 100, 1000, o più anni.
                                        Tale precauzione rende effettivamente comparabile la CCS con le altre modalità di evitare l'emissione di CO2.
                                        Tale precauzione è particolarmente necessaria in un periodo geologico di massime temperature naturali, come è l'attuale e come potrebbe essere per i prossimi 5000 anni.
                                        Infatti, mentre il risultato della mancata gestione umana di una foresta è l'aumento naturale della biomassa fino all'equilibrio tra sintesi clorofilliana e decomposizone della biomassa, il deposito geologico od oceanico della CO2 è comunque destinato a disperdersi in atmosfera, prima o poi, come è già avvenuto nelle passate ere geologiche.
                                        Come già detto, esiste poi il serio rischio di "perdite non rintracciabili di CO2" nel ciclo tecnologico dalla cattura al sequestro geologico od oceanico, cioè di imbrogli nella gestione di questo rifiuto, come di tanti altri rifiuti.
                                        Ultima modifica di ggavioli; 05-11-2009, 12:23.

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                                        • #21
                                          Gestione internazionale dei certificati di cattura della CO2 e del suo sequestro

                                          E' ovvio che non ha senso una tecnologia di cattura della CO2 e suo sequestro (CCS) per gli stati sovrani che non hanno ratificato il protocollo di Kyoto e suoi aggiornamenti.
                                          In alternativa ad uno stimolo concordato tra gli stati sovrani che hanno ratificato il protocollo di Kyoto e successivi, il libero mercato internazionale può fissare il prezzo dei diritti d'emissione generati dal riassorbimento (forestale, agricolo, o tecnologico) che avvenga in territori aderenti ai protocolli.
                                          Tuttavia, a parte gli alti costi per certificare erga omnes i riassorbimenti, l'incertezza del prezzo (certamente basso ora e previsto basso nel lungo periodo) riduce gli investimenti per i riassorbimenti effettivi, anche quelli che costano meno (i forestali).
                                          Appare ancor meno conveniente l'opzione che i governi dei paesi interessati paghino a prezzo di libero mercato i diritti d'emissione da riassorbimento fuori dal loro territorio per compensare i ritardi nel ridurre l'emissione dal proprio.
                                          Infatti, oltre a mantenere gli alti costi burocratici di certificazione, tale opzione genera inflazione e riduzione di competitività internazionale per le economie dei paesi acquirenti.
                                          Peggio di tutte è l'opzione che gli stati paghino comunque tutti i costi di cattura tecnologica e deposito della CO2, senza un confronto economico con le altre opzioni per ridurre l'emissione netta di gas serra da attività umane.
                                          In tal caso, infatti, si privilegia e si paga certamente più del suo valore una "cattura e sequestro di CO2" per ridurre l'emissione da fonti energetiche fossili acquistate all'estero e questo "regalo" è fatto a carico dei bilanci pubblici o di ignari utenti, generando ancor più inflazione all'interno e calo di competitività all'estero dei paesi che scelgono questa opzione.
                                          Purtroppo in molti stati aderenti al protocollo di Kyoto si stà proprio andando verso questa opzione (la più costosa di tutte).
                                          Si comincia infatti a porre a carico degli stati e quindi di tutti i consumatori di prodotti energetici, gran parte della ricerca sulle tecnologie CCS.
                                          Ultima modifica di ggavioli; 07-11-2009, 18:21.

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                                          • #22


                                            Welcome to the Atlas of Canada / Bienvenue à l'Atlas du Canada

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                                            • #23
                                              Un possibile accordo internazionale sul riassorbimento della CO2

                                              Tra gli stati che aderiscono al protocollo di Kyoto e successivi, è possibile un accordo internazionale per evitare aumenti dei prezzi internazionali dei beni e dei servizi al consumo in presenza di significativo commercio internazionale dei certificati di riassorbimento della CO2.
                                              L'accordo deve riconoscere un prezzo unico (piC €/tCO2) internazionale per una tCO2 biologicamente riassorbita o catturata e sequestrata, ma garantita da assicurazione per le perdite in atmosfera prima di 5000 anni.
                                              I riassorbimenti devono comunque essere certificati erga omnes e piC potrebbe essere inizialmente il prezzo corrente di mercato e non dovrebbe calare nel tempo per non scoraggiare gli investimenti a lungo termine.
                                              Accordi indipendenti possono essere assunti per ciascuna tipologia merceologica interessata dal commercio internazionale.
                                              L'accordo stabilisce un consorzio internazionale tra le filiere produttive già concorrenti a fornire prodotti analoghi in qualità e prezzo, che così concorrono anche per ottenere la minima emissione netta per unità di valore aggiunto generato.
                                              Valore Aggiunto ed emissioni potenziali nette di CO2 sono dati di cui si può facilmente pretendere di avere pubblica conoscenza per multinazionali quotate in borsa.
                                              Ogni soggetto economico consorziato a specifico consorzio internazionale ha Emissione Potenziale Netta di CO2:
                                              EPNC = CO2(potenziale dal carbonio minerale usato) - CO2(effettivamente riassorbita in biomassa) tCO2/anno
                                              Noto il Valore Aggiunto da lui prodotto nell'anno (VA M€/a), l'Emissione Specifica Netta di CO2 è:
                                              ESNC = EPNC / VA tCO2/M€
                                              L'emissione specifica media netta di CO2 nel consorzio risulta:
                                              ESNCm = Sommatoria(ENC, cons)/Sommatoria(VA, cons) tCO2/M€
                                              Ogni anno il consorziato con ESNC minore di ESNCm riceve il beneficio:
                                              BN = piC*(ESNCm * VA - ENC) €/a
                                              Ogni anno i consorziati con ESNC maggiore di ESNCm sono specularmente penalizzati.
                                              Ovviamente il bilancio di penali e benefici nel consorzio è nullo e gli stati sovrani ed i consumatori finali non subiscono aumenti medi dei prezzi di ciascun prodotto e quindi di tutti i prodotti.
                                              A pari composizione di offerta tra emettitori netti di CO2 (sopra e sotto l'attuale emissione specifica netta media), si ha però un aumento di convenienza relativa dei prodotti a bassa intensità d'uso di carbonio minerale, quindi un loro maggior uso ed una riduzione dell'uso totale di composti minerali del carbonio.
                                              Così, con la metodologia PED si persegue una riduzione dell'emissione globale di CO2 senza aumenti dei costi dei servizi finali al consumo (tranne gli aumenti tecnici effettivi, che però possono anche risultare negativi).
                                              Tutti i benefici ricevuti e le penali energetiche pagate dai soggetti economici attivi in campo nazionale e/o internazionale devono essere di pubblica conoscenza.
                                              Ribadisco che non c'è mai libera competizione se c'è segretezza sui competitori.
                                              Ultima modifica di ggavioli; 08-11-2009, 17:58.

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