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Politica Energetica efficace e duratura

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  • #31
    energie centralizzate

    scusate il ritardo, e piccola nota agli amministratori mi sono trovato a dover sottoscrivere per la seconda volta il regolamento, perchè, torniamo all'argomento, Gavioli i sui numeri sono bellissimi ma nulla di nuovo, e rimango stupito che qualcuno non sapesse cosa spendiamo all'estero, poi per colui che cita Grillo, lascia perdere, parla bene e ruzzola male,il sistema centrallizzato per produrre energia comporta molti pregi e difetti come tutte le cose, il problema è l'egoismo dell'uomo, e in Italia con fatica ma tutti i giorni aumentamo le piccole centrali, ma come al solito dobbiamo combattere con i soliti che arrivano all'ultimo minuto per la speculazione di turno, le banche sono in testa ha questo poi seguono i politici che forti delle loro corporazioni Maf........, e vedi l'EmiliaRomagna, non danno possibilità a chi non è dei loro di fare seriamente qualche cosa,come ho già detto in diversi post prima di ora, i poteri forti non vogliono mollare l'energia, primo perchè è fonte di potere, secondi di proventi immaginabili, perciò rimane poco spazio di manovra e lavorare dove loro lasciano, anche con tutta la buona volontà, di usare tutto le nostre energie, nella FER, finiremmo di spendere in energia più di quello che ritornerebbe, perciò sia ecologicamente e finaziariamente non è realmente conveniente, bisogna procederer con passo dopo passo, e il risparmio è la prima forma specie in famiglia, poi l'uso dei veicoli a combustibili fossili, cosa indecente per arroganza di educazione,e i veicoli differentileggendo direttamente in questo forum sono per ora irrangiungibili sia per guerre di numeri e contro numeri e sicuramente piccole dosi di arroganza e poteri forti che intralciano,percui vorrei per favore ceh oltre ai bei numeri e citazioni, si parlasse di qualche possibile azione reale per realmente trovare soluzioni,partendo da qualche forma possibile costruttiva di protesta via telematica al ministero oppure,non saprei ora sono in blackout, comunque il ministro della agricultura odierno malgrado tutti criticano e sparlano, qualcosina sta muovendo e cambiando certi approcci consolidati da parte di svariate forze contrarie che l'ignoranza in certe tecnologie stia finendo e togliendo loro gioco in campo per aggirare il Pista di turno, e sicuramente questo forumè parte in campo per la divulgazione di informazioni, come sicuramente il Potere di Internet , e la libera informazione del passa parola che sembrerà vecchia ma funziona meglio di quanto si pensi, soprattutto per le migliaia di truffe che ogni giorno vengono scoperte, ed è buona cosa, finendo sig Gavioli questa SUA disussione aperta da un lato non condivido perchè ci vedo un politico, ma comuque devo ammettere che sta portando persone ad conoscere il nostro reale modo di vivere oltre le righe con costi assurdi che vogliamo scaricare su tutta la sociètà,saluti a tutti

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    • #32
      Originariamente inviato da gordini-motori Visualizza il messaggio
      il sistema centrallizzato per produrre energia comporta molti pregi e difetti come tutte le cose....... il risparmio è la prima forma specie in famiglia........ si parlasse di qualche possibile azione reale per realmente trovare soluzioni, partendo da qualche forma possibile costruttiva di protesta via telematica al ministero......sig Gavioli questa SUA disussione aperta da un lato non condivido perchè ci vedo un politico
      Riguardo alle decisioni centralizzate rileggi #24 e #28.
      Riguardo alla convenienza del risparmio energetico rileggi #4, #5, #6, #7, #8, #31.
      L'azione possibile è una proposta condivisa di "politica energetica efficace e duratura" ed è il risultato a cui questa discussione intende arrivare.
      Non sono un politico, anzi finora i miei colloqui con politici si sono sempre conclusi con la domanda da parte loro: "perché allora nessuno adotta la sua proposta?".
      Insisto quindi che prima siamo noi cittadini attivi che dobbiamo sapere ciò che vogliamo e poi proporlo ai politici.
      Ultima modifica di ggavioli; 07-09-2009, 07:25.

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      • #33
        Energia: processo di decisione politica virtuoso ?

        Questa discussione va troppo veloce per le mie disponibilità temporali………. cerco di recuperare.
        Adeguandomi anche alle nuove regole di questo forum, provo a ritornare al punto di partenza della discussione, quindi a quello che ggavoli chiedeva di mettere a fuoco; anche perché è rispondendo alla seguente questione che la mia esperienza di lavoro (messaggio #17) mi permette di contribuire.

        Scrive ggavoli al messaggio #8 (30/08/2009, 12:26)

        Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
        I "decisori politici" ........
        Il punto che chiedo di mettere a fuoco in questa discussione non è quindi:
        - quali siano le tecnologie più efficaci in assoluto per raggiungere gli obbiettivi (si può considerare sufficiente l'analisi ENEA), bensì
        - come "il processo di decisione politica" possa orientare liberi soggetti economici e liberi consumatori a usare le tecnologie che per ciascuno di loro (quindi per tutti) siano più efficaci nel raggiungere gli obbiettivi comuni.

        Occupandomi di sistemi di ausilio alle decisioni dovrei trovarmi subito a mio agio. Invece, prima di divenire propositivo, devo fare una premessa essenziale che circoscrive meglio la problematica:
        i “processi di decisione politica” al livello di governo centrale sono molto diversi da quelli “locali”, ed il fatto che decentramento e federalismo siano l’argomento politico più discusso dell’ultimo decennio ci obbliga a dover proporre l’opportuno (e forzatamente diverso) “processo decisionale energicamente virtuoso” per ognuno dei due ambiti (nazionale e locale).
        - riguardo all’ambito nazionale - Poiché siamo in un sistema capitalistico di libero mercato (che ggavoli non vuole certo mettere in discussione, perché parla di “liberi soggetti economici e liberi [?] consumatori”), faccio notare che a livello governativo il processo di decisione politica si basa ben poco su scelte suggerite dai reparti tecnici dei vari ministeri, quanto sulla spinta dei “grossi portatori di interesse” (o lobby, una sorta di “associazionismo” fra i “liberi soggetti economici”; che sono così “liberi”, da poter scegliere quando e quanto farsi concorrenza, diminuendo così in modo drastico il livello di “libertà” di noi “consumatori”). Avete mai auto l’occasione di conoscere personalmente un lobbista ? Avete mai visto come si muove in un ministero ? Io, giovane ed ingenuo, ebbi per caso questa esperienza e dalle stanze che si aprirono a lui, rispetto ai corridoi dove fui smistato io, in un attimo capii che i risultati del piccolo incarico di consulenza di ricerca che stavo presentando sarebbero finiti nel fondo del solito cassetto. Da allora il mio target è “locale” (regioni, province, comuni) ed anche il mio pensiero “politico energetico” si sta decentrando…..
        Che tipo di “processo decisionale politico” possiamo allora proporre per l’ambito nazionale ? Temo che non resti che adeguarsi……… (non mi azzardo certo a mettere in discussione il “sistema”, altrimenti “farei politica”). I “liberi soggetti economici” del mercato FER e risparmio energetico sono pronti per creare una lobby competitiva con quella dei “portatori di interessi” della CO2 e del nucleare ? Direi che ci stanno provando, con qualche piccolo successo, se pensiamo ad alcuni “dietrofront” del governo su decisioni che penalizzavano le FER, grazie a reazioni forti e decise, addirittura appoggiate da Confindustria. Quindi non resta che far crescere e contare sempre di più soggetti come EnergoClub, ed anche alzare la voce, che rimane il trucco migliore quando siamo pochi e si vuol far credere il contrario……..
        - riguardo all’ambito “locale” - Gli amministratori locali (regioni, province, comuni) non sono certo del tutto esenti dalla logica lobbistica, ma comunque sono più sotto il controllo diretto di chi li ha votati. Come già detto in altro messaggio, la mia attività di ausilio alle scelte decisionali ha successi ed insuccessi. Da cosa dipendono i successi ? Certo dalla “bontà della proposta”, ma anche e soprattutto da:
        1 - la zona in cui agisci ed il livello di rispetto delle regole;
        2 - l’onestà del “decisore politico”;
        3 - la presenza di circoli/associazioni ambientali/culturali e di forme di partecipazione codificate.

        (continua……..)
        Ultima modifica di gymania; 07-09-2009, 11:55.

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        • #34
          (prosegue) dal messaggio delle 10.20

          Più in dettaglio:
          1 - In alcune zone d’Italia anche i decisori politici locali sono scelti dalle lobby e seguono quindi logiche di scelta vincolate da forti interessi locali, non certo da analisi strategiche oggettive. I loro programmi di mandato elettorale sono spesso risibili, poiché il livello politico/culturale della maggior parte dei votanti è basso, o c’è rassegnazione, e il programma non viene nemmeno letto. Insomma il processo decisionale politico è falsato, e pensare di essere chiamati ad aiutare i decisori nel tradurre gli intenti in azioni è un’utopia. Un lavoro come il mio sarebbe inutile: i regolamenti e le norme vengono fatti sulla base di un “copia-incolla” di documenti di altre realtà territoriali; tanto sono lì solamente per poi essere disattesi. Generalizzando, manca la cultura del rispetto di regole e norme e non esiste un vero e proprio controllo dei cittadini sull’operato dell’Amministrazione locale.
          Che senso ha, in queste situazioni, pensare ad un “processo di decisione politica virtuoso” ? La natura però ci viene incontro: sono le regioni dove c’è più sole ed almeno le FER non possono andare male; basta attendere il prossimo aumento delle energie fossili e ci sarà un altro bum. Poi arriveranno i primi effetti del decentramento, e penso che i cittadini non rassegnati sapranno ripristinare le regole e riprenderanno a vigilare sulle Amministrazioni locali.
          2 - Il “decisore politico” onesto agisce in base al suo programma elettorale ed alle pressioni dei cittadini/consumatori, e, se è anche bravo, non aspetterà che tali pressioni provengano da comitati di protesta o movimenti di piazza, ma proseguirà semplicemente il dialogo con le associazioni o circoli “politico culturali” (portatrici di interessi tematici collettivi, non prettamente economici; quindi non definibili come lobby) che hanno condiviso il suo programma elettorale e lo hanno poi appoggiato con il loro voto. Il “decisore politico” un po’ meno onesto agisce in base alle spinte di lobby economiche e, se è proprio “fradicio”, ciò coincide anche con un proprio forte interesse.
          Come possiamo intervenire nel “processo di decisione politica” ? Per il primo caso (“onesto”) è spiegato in seguito, in fondo al punto 3. Ciò che ci rimane da fare nel secondo caso (“meno onesto”) è invece già stato detto in precedenza.
          3 – Circoli ed associazioni ambientali/culturali devono essere parte attiva di forme di partecipazione codificata, con il ruolo di consolidare le relazioni delle amministrazioni locali con l’esterno ed agevolare in definitiva il processo decisionale. Altrimenti (per chi non se ne fosse ancora reso conto) in Italia basta un manipolo di manifestanti locali (un “comitatino”) per bloccare o rallentare processi decisionali su scelte ambientali/energetiche, anche largamente condivise dalla maggioranza dei cittadini (da me è già successo per un campo eolico e una centrale a biomassa). Quindi il “processo decisionale politico” diventa “virtuoso” se è “partecipato”.
          >>
          In sintesi ritengo che cercar di definire un “processo decisionale politico virtuoso” in campo energetico abbia senso solo in ambito locale e non in tutte le regioni (se non prima eliminando o contrastando alcune condizioni a contorno).
          Ma dove si può, si deve agire. Come ? Ce lo insegnano i migliori paesi europei e qualcuno anche in Italia sta già dando da fare:
          - agite localmente. Organizzatevi in circoli/associazioni, meglio se di stampo anche ambientale oltre che energetico. E’ certo opportuno che l’associazione abbia anche un riferimento a livello nazionale, ma ciò che è fondamentale è l’azione locale;
          - chiedete con forza alle vostre Amministrazioni (comunale, provinciale, regionale) di attivare processi partecipativi: rientra fra i dettami delle Comunità Europea, non bisogna inventarsi nulla;
          - chiedete alle vostre Amministrazioni di iniziare un processo di certificazione energetico/ambientale del territorio amministrato dall’Ente, che comprenda anche un audit energetico del territorio con stima dell’impronta ecologica complessiva e di darsi obiettivi temporali ben precisi rispetto alle decisioni UE (es.: entro il 2015 l’obiettivo è ridurre le emissioni di CO2 del 16%........ per il 2020 garantiamo il 20/20/20……, ecc.);
          - sfruttate l’opportunità dei processi partecipativi per contribuire allo sviluppo degli atti di pianificazione locale (es.: Piani energetici comunali, provinciali, regionali) ed in seguito controllarne l’applicazione e monitorarne gli effetti.
          >>

          Alla prossima>>
          Ultima modifica di gymania; 07-09-2009, 11:57.

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          • #35
            Originariamente inviato da bedi Visualizza il messaggio
            Come possiamo intervenire nel “processo di decisione politica” ?
            Questa domanda e le risposte che tu dai sono del tutto ragionevoli ed applicabili al "processo di decisione politica" da svolgere per tutte le principali risorse che servon al territorio, disponibili localmente, o nelle competenze dei soggetti individuali e collettivi attivi in quel territorio.
            Mi sembra comunque evidente che questa modalità di "processo di decisione politica", se riguarda la singola tecnologia, non possa avere la rapidità che vantano i "politici decisionisti" decidendo eventualmente in modo irrituale.
            Ricordo che affidandosi ad essi si hanno però i problemi esposti negli interventi #24 e #28.
            Per me quel tipo di problemi e l'impossibilità di una gestione partecipativa delle decisioni e del controllo, bastano per escludere che si possano decidere in modo centralistico le singole tecnologie (e relative modalità tecniche d'applicazione) adatte alla miglior gestione della risorsa in esame, qualunque essa sia.
            Il ragionamento che propongo in questa discussione ha però un obbiettivo più limitato.
            Precisamente serve ad individuare la normativa pubblica che può essere decisa (come una legge quadro) per la gestione delle risorse energetiche, stimolando quanto basta i soggetti economici ed i consumatori e riducendo il più possibile il livello di costrizione conseguente alla normativa stessa.
            Credo che una caratteristica assolutamente appetibile di una tale normativa sarebbe quella di poter dosare lo stimolo anche solo localmente, senza che sorgano effetti collaterali che peggiorino i rapporti economici con i territori limitrofi, o con cui sono rilevanti i rapporti economici (esportazioni+importazioni=interscambio superiore al 10 % del PIL del territorio).
            Nella ricerca della normativa-quadro più adatta eviterò giudizi etici sui comportamenti soggettivi, cercando però di modificare quelli a maggior probabilità statistica e ridurre al minimo le costrizioni non strettamente necessarie al raggiungimento dell'obbiettivo della riduzione dell'emissione di gas ad effetto serra.
            Insisto infatti che occorre raggiungere, senza effetti collaterali, il duplice obbiettivo:
            - ridurre del 2 % ogni anno l'emissione di gas serra dall'Italia che nel 2005 era circa 500 MtCO2eq/anno
            - ridurre del 2 % ogni anno la dipendenza energetica dell'Italia dall'estero che nel 2005 era circa dell'85 %
            Ricordo pure che, se i soggetti economici ed i consumatori ottenessero spontaneamente tale risultato, l'Italia ne avrebbe consistenti benefici economici, sia come minori costi dei servizi finali, sia come maggior occupazione in Italia.
            Al riguardo è utile rileggere #4, #5, #6, #7, #8, #31.
            Ultima modifica di ggavioli; 08-09-2009, 06:17.

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            • #36
              Le ragioni dell'apparente paradosso (2)

              I "decisori politici", anche se onesti e conoscitori della materia, non accampano scuse dicendo che hanno difficoltà a garantire la necessaria riduzione annuale delle emissioni di CO2eq dal territoio di competenza.
              Sono infatti oggettive le "barriere psicologiche" per i consumatori e soggetti economici, che rendono difficile adottare tecnologie innovative, anche se nettamente a favore economico dell'insieme di tutti i soggetti economici e consumatori attivi sul territorio.

              Per i soggetti economici, attivi in un libero mercato di risorse e di prodotti, la condizione necessaria e sufficiente perché sia scelta una tecnologia diversa dal solito, è che essa prospetti un aumento del successo dell'impresa economica.
              Occorre cioè che l'innovazione prometta un aumento significativo del valore aggiunto per unità di prodotto tipico realizzato e ciò deve risultare in primo luogo nei confronti della media dei loro concorrenti naturali.
              Però, specialmente se la nuova tecnologia richiede capacità operative degli addetti diverse da quelle utilizzate negli usuali sistemi produttivi, si evidenzia ed occorre fronteggiare, anche il "rischio tecnologico", cioè il rischio che l'investimento inusuale non dia affatto i risultati promessi.
              Gli investimenti in modifiche delle tecnologie produttive che promettono una redditività non abbastanza superiore a quella delle tecnologie tipiche dei sistemi usuali facilmente non sono al riparo dal rischio tecnologico, ed i vantaggi economici possono comunque risultare poco rilevanti nell'accrescere il margine d'impresa rapportato al Valore Aggiunto.
              Questi investimenti al limite della convenienza economica sono definiti "economicamente neutri".

              Anche i soggetti economici fornitori d'energia commerciale tendono a valutare il rischio tecnologico in termini soggettivi, anziché in termini di convenienza netta per il territorio (macroeconomici).
              Per loro il paradosso è parzialmente nascosto dal fatto che "grandi riduzioni dei consumi di carbonio minerale per unità d'energia commerciale fornita" in genere comportano aumenti e non riduzioni dei costi per produrre l'energia offerta al consumo.
              Ultima modifica di ggavioli; 08-09-2009, 06:06.

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              • #37
                Il tutto si riduce ad una speculazione del fatto che la CO2 ed altri gas ,potrebbero e non è chiaro a nessun livello, che possano innescare un riscaldamento globale , ne si può quantificare in che percentuale influiscono. La fonte maggiore del riscaldamento o raffreddamento della terra , è stata sempre il sole e/o la zona di galassia che ci troviamo ad attraversare (sono dati storici risalenti a milioni di anni fà...) , ma di questo nessuna traccia nella discussione , quindi è logico desumere , che il problema principale non è la co2 e gli altri gas , ma utilizzarli come grimaldello , per parlare di qualcos'altro .Quindi di usa un presunto ambientalismo per parlare di " Politica Energetica efficace e duratura" .
                Bisogna capire allora cosa vuol dire , in termini assoluti, efficace e duratura .

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                • #38
                  Le ragioni dell'apparente paradosso (3)

                  È fisiologico che gli "investimenti innovativi in campo energetico economicamente neutri" siano sistematicamente evitati, ma è anche probabile che gli "investimenti rilevanti e con redditività adeguatamente superiore agli impieghi in produzione" siano già stati fatti, senza bisogno dello stimolo d'una politica energetica.
                  Generalmente tali investimenti "innovativi e convenienti" sono effettuati da una minoranza tra i concorrenti naturali che offrono al mercato lo stesso prodotto (bene o servizio percepito equivalente dal mercato).
                  A parità d'altre condizioni tale minoranza è alla lunga risultata vincente nella competizione sul mercato d'acquisto dei prodotti specifici.
                  Finché il differenziale competitivo rimane tra il 2 ed il 5 % del prezzo d'offerta, le tecnologie innovative non vengono prese in considerazione dai concorrenti naturali, che però, quando decidono di adottarle, avvertono un minor rischio tecnologico.
                  Ad esempio, per una categoria merceologica per cui l'energia abbia una peso del 20 % sui costi della filiera di produzione, una differenza d'uso dell'energia del 20 % rispetto alla media , comporta una differenza del 4 % nel costo di produzione e tale differenziale, mescolato ad altri differenziali, può passare inosservato al mercato di consumo.
                  Pertanto non ci si deve assolutamente meravigliare del fatto che la varianza dell'intensità energetica in produzione (costo energia / valore aggiunto) all'interno di uno stesso settore merceologico possa superare il 50 % del valor medio.
                  Peraltro in molti "settori merceologici maturi" il guadagno netto del produttore è meno del 5 % dei costi della filiera di produzione.
                  Per questo il differenziale competitivo dei competitori vincenti generalmente rimane intorno al 5 % del prezzo di vendita (altrimenti sbaragliano la concorrenza e questa si sveglia).
                  Se la concorrenza si adegua ai competitori più efficienti, senza introdurre nel settore merceologico tecnologie effettivamente nuove, l'intensità energetica media del settore si riduce insieme al suo differenziale tra migliori e peggiori.
                  Il processo di adeguamento spontaneo (che parte solo se il differenziale competitivo è soggettivamente significativo) è però lungo almeno quanto il tempo d'ammortamento delle tecnologie attuali.
                  Solo aumentando l'importanza economica relativa di questo differenziale competitivo, i soggetti economici a maggior intensità energetica di prodotto sono portati a ridurre la propria intensità adottando tecnologie spesso già collaudate dai loro concorrenti.
                  Ultima modifica di ggavioli; 08-09-2009, 19:24.

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                  • #39
                    Originariamente inviato da arpagone Visualizza il messaggio
                    Quindi di usa un presunto ambientalismo per parlare di " Politica Energetica efficace e duratura".
                    Credo di non contrabbandare niente, tant'è che ho intitolato questa discussione "Politica Energetica efficace e duratura".
                    Il presupposto di questa discussione è chiaramente espresso nell'intervento d'apertura, attraverso la constatazione che:
                    1. L'attuale governo italiano si è impegnato a ridurre l'attuale emissione di gas serra dall'Italia (equivalenti a circa 500 milioni di tonnellate di CO2 all'anno) del 20 % in dieci anni e dell'80 % in quaranta anni (non mi risulta che un'eventuale alternativa di governo intenda impegnarsi per meno).
                    Non ho assegnato a questa discussione la domanda se il governo italiano abbia fatto bene ad impegnarsi in pratica a ridurre l'attuale emissione di CO2eq del 2 % ogni anno ((potrei approfondire il tema in altra discussione, se qualcuno me la indica)).
                    L'obbiettivo che ho espressamente assegnato a questa discussione parte invece da altre due constatazioni:
                    2. Ogni 20 % di riduzione dell'emissione attuale di gas serra (vedi #4, #5, #6, #7) il costo dei servizi finali ottenuti usando energia si riduce da un minimo di 4.000 M€/a (favorendo alcune tecnologie di produzione) ad un massimo di 10.000 M€/a (puntando di più sull'efficienza energetica).
                    3. Sul costo complessivo dell'energia commercializzata in Italia (circa il 10 % del PIL) la metà (circa 60.000 M€/a) è spesa all'estero per acquistare composti minerali del carbonio, quindi ogni 20 % di riduzione dell'emissione da carbonio fossile e relativi acquisti, gli acquisti risparmiati (circa 12.000 M€/a), anche se i costi finali non calassero, sono trasformabili in lavoro italiano.
                    Tutto ciò constatato, ribadisco che la domanda assegnata a questa discussione è solo ((ma non mi sembra da poco)):
                    E' definibile una politica energetica capace di far ridurre l'attuale emissione netta di CO2eq del 20 % ogni dieci anni senza perdere i vantaggi (16.000 M€/a) che l'Italia ha se tale riduzione proviene da scelte spontanee dei soggetti economici e dei consumatori?

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                    • #40
                      Cerco di esprimere anch’io la mia opinione su un argomento che mi appassiona.
                      Ho l’impressione che ci troviamo tutti su di una barca in discesa in una rapida di cui non si vede il fondo.
                      Nessuno la sta guidando ,od è in grado di modificarne la rotta, però se ci spostiamo tutti insieme magari riusciamo a schivare qualche scoglio, pronti per andare a sbattere su quello successivo.
                      Difficile anche convincere qualcuno ad alzarsi dal suo posto a sedere, quando lo sport più diffuso è occupare i posti lasciati liberi.

                      Approvo tutti i ragionamenti fatti fin qui, sono questioni di metodo e di principi che condivido.

                      Ho controllato le tabelle proposte di partenza, niente da eccepire fino al 2007, ultimo anno di cui sono disponibili i dati definitivi.
                      Il tutto adesso andrebbe ricalibrato sul nuovo che sta avanzando.

                      La crisi, come la peste di Manzoniana memoria, potrebbe avere spazzato via anche tanto male insieme al buono.
                      Per esempio, se i 1.296 kt di coke da cokeria consumati dagli altiforni a pag 9 di questo pdf http://dgerm.sviluppoeconomico.gov.i...n/ben_2007.pdf
                      Erano relativi agli altiforni che sono stati chiusi, adesso non sono più un problema, lo stesso dicasi per i consumi delle ceramiche di Sassuolo che sono state chiuse, e più in generale, per le 10.000 aziende che negli ultimi due anni hanno de localizzato la produzione all’estero.
                      A pag 8 ho letto anche le colonne Rifiuti e Biomasse rispettivamente 5.005 e 5236 nel 2007.


                      Da questa pag. Bilancio Gas Naturale, è possibile scaricare le tabelle xls dei consumi (provvisori) del gas naturale. Come anche del petrolio.
                      Luglio 09 rispetto a luglio 08 denuncia un calo delle importazioni superiore al 10%. Per il petrolio l’azzeramento quasi totale di OC BTZ e ATZ.
                      Incrociando i dati di queste tabelle, con quelle di TERNA scaricabili a questo link, http://www.terna.it/LinkClick.aspx?f...4%3d&tabid=720
                      Meriterebbe un approfondimento dei dati ed una sostanziale correzione nella situazione attuale di produzione di CO2 e delle prospettive a breve e medio periodo..

                      Osvaldo

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                      • #41
                        Originariamente inviato da Osvaldo Visualizza il messaggio
                        Il tutto adesso andrebbe ricalibrato sul nuovo che sta avanzando.
                        Certamente. Tuttavia le politiche quadro d'intervento debbono anche essere calibrate sugli eventi passati.
                        Per questo ci tengo a far notare che con una politica che avesse indirizzato efficacemente (e senza sovracosti) gli italiani a scegliere le tecnologie migliori esistenti 20 anni fa, ora i consumi d'energia sarebbero il 70 % degli attuali e le emissioni di CO2eq il 50 %, con quantità e qualità dei servizi finali al consumo pari a quelli attuali e prezzi non superiori.
                        Ultima modifica di ggavioli; 09-09-2009, 10:45.

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                        • #42
                          Le ragioni dell'apparente paradosso (4)

                          Per i consumatori, condizione necessaria perché sia scelta una tecnologia che avvantaggia la collettività, ma che è diversa dal solito, è che la redditività del maggior costo dell'intervento innovativo rispetto all'intervento usuale superi gli interessi di un mutuo (almeno il doppio in caso di tecnologie innovative).
                          Senza tali caratteristiche l'investimento non viene fatto e non è ragionevole che venga fatto.
                          D'altro canto tale condizione potrebbe non essere sufficiente in quanto presso i consumatori le cattive abitudini sono molto dure a morire ed una pubblicità spesso fuorviante sembra studiata apposta per perpetuarle.
                          Gli interventi che sono al limite di tale convenienza sono definiti "economicamente neutri" ed è fisiologico che siano evitati, ma è anche ovvio che quelli "convenienti" siano già stati fatti da molti al momento giusto (nuovi acquisti o ristrutturazioni), senza bisogno dello stimolo d'una politica energetica.
                          Anche la quantità (per ENEA circa il 20 % della richiesta d'energia) di puro spreco (o di irragionevole uso) dell'energia fa capire che vi sono abitudini consumistiche che devono trovare adeguati stimoli per essere abbandonate.

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                          • #43
                            1. L'attuale governo italiano si è impegnato a ridurre l'attuale emissione di gas serra dall'Italia (equivalenti a circa 500 milioni di tonnellate di CO2 all'anno) del 20 % in dieci anni e dell'80 % in quaranta anni (non mi risulta che un'eventuale alternativa di governo intenda impegnarsi per meno).
                            Non ho assegnato a questa discussione la domanda se il governo italiano abbia fatto bene ad impegnarsi in pratica a ridurre l'attuale emissione di CO2eq del 2 % ogni anno ((potrei approfondire il tema in altra discussione, se qualcuno me la indica)).
                            L'attuale governo ha più volte manifestato una contrarietà a queste ipotesi(prima di firmare gli accordi) e viste le riduzioni conseguite non mi sembra si faccia molto su questo versante.Non vorrei essere pesante , ma non è meglio intervenire sul metano disperso in aria dagli allevamenti agricoli piuttosto ? o tutte due insieme tenendo conto del potere serra relativo dei due gas , gli interventi sul metano disperso , sarebbero (forse) meno onerosi e anche redditizi , sotto forma di biogas , che genererebbero altra co2 ma dando energia e quindi minori importazioni .
                            Comunque per azzerare o ridurre significativamente le emissioni di co2 e altri inquinanti , basterebbe iniettare dell'acqua nella conbustione dei carburanti per autotrazione o utilizzare idrogeno dà elettrolisi ottenuta dà pannelli fotovoltaici (markus friedly in un grillo per la testa ) .
                            In definitiva i governi devono bilanciare gli introiti derivanti dai carburanti e quindi l'abbassamento di tali valori di co2 , in maniera drastica non potrà mai avvenire , in quanto legati alle risorse economiche imprescindibili e con legami politico-economici eccezzionalmente forti , a meno di non dotarsi di una Banca dello Stato d'Italia e non una banca privata d'Italia .

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                            • #44
                              Originariamente inviato da arpagone Visualizza il messaggio
                              L'attuale governo ha più volte manifestato una contrarietà a queste ipotesi(prima di firmare gli accordi) e viste le riduzioni conseguite non mi sembra si faccia molto su questo versante.
                              Certamente la ratifica del protocollo di Kyoto da parte dell'Italia
                              Legge n. 120 dell'1 Giugno 2002 - Ratifica protocollo di Kyoto
                              è avvenuta nel 2002 con l'attuale maggioranza, che da allora ha sempre governato tranne 18 mesi. Questo governo ha anche sottoscritto gli impegni di riduzione dei gas serra con l'Europa (- 20 % entro il 2020) e con i G8 (- 80 % entro il 2050).
                              I fatti sembrano dare ragione a chi suppone che a queste sottoscrizioni di accordi non corrisponda una volontà politica d'attuazione (sono bugiardi?).
                              Infatti, in coincidenza con questo governo l'emissione di gas serra dall'Italia ha continuato a crescere fino al 12 % sopra il 1990 invece di scendere del 6,5 %, come concordato con l'Europa per il 2010.
                              Ma, pur essendo certo che la visone economica del governo italiano non supera i cinque anni ed è miope, invece di attribuirgli un'inutile malvagità (poteva non sottoscrivere nulla come hanno fatto gli USA) ho finora mostrato che esistono difficoltà reali a convincere gli italiani che conviene modificare le tecnologie finora usate (miei interventi #31, #35, #37, #41).
                              Naturalmente la mia analisi può essere contestata punto per punto, ma, visto che non sono stati contestati i punti 2 e 3 dell'intervento #38, per il ragionamento in corso è superfluo invocare tecnologie diverse da quelle individuate da ENEA fino al 2040.
                              Al riguardo mi sembra difficilmente contestabile l'intervento #40.
                              Pertanto insisto ad affermare che, per raggiungere gli obbiettivi che l'Italia ha accettato fino al 2050, non mancano le tecnologie, né la convenienza economica ad utilizzarle in Italia, bensì manca solo una "politica energetica efficace e duratura".
                              Ritengo che sia possibile confezionarla a partire dalla soluzione delle difficoltà reali, non con una bacchetta magica.
                              Naturalmente, esaminando le opzioni di politiche energetiche possibili, cerco di evitare quelle più nocive (#8, #24, #28).
                              Ovviamente il mio ragionamento proseguirà in altri interventi.
                              Ultima modifica di ggavioli; 11-09-2009, 22:10.

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                              • #45
                                Un passo alla volta per uscire dal paradosso (1)

                                Come evidenziato in #4, #5, #6, #7, #8, se i soggetti decisori direttamente interessati modificassero spontaneamente le tecnologie di produzione e d'uso dell'energia commerciale, ne nascerebbe un significativo vantaggio macroeconomico per l'Italia.
                                Però, quanto già evidenziato in #24 ed in #28, mi sembra più che sufficiente per escludere l'adozione di una politica energetica del tipo comando+controllo+repressione e porta a scegliere politiche energetiche basate su fiscalità e strumenti di mercato.
                                Questa scelta è chiaramente preliminare ad ogni passo successivo del ragionamento in corso, quindi intendo eventualmente ridiscuterla, entro due giorni o mai più.
                                Si nota comunque che le politiche energetiche finora attuate in Italia sono risultate innefficaci a superare in tempo utile le diffuse sensazioni di rischio tecnologico (alcune forse diffuse ad arte).
                                Le tipologie possibili di politiche energetiche (fiscali e di mercato) debbono essere esaminate a fondo, perché esse possono essere più o meno efficaci e perfino diventare dannose per l'economia, e tutto ciò indipendentemente dalla disponibilità di tecnologie adeguate.
                                Ora è più preciso il nodo cognitivo e "politico" da sciogliere?
                                Ultima modifica di ggavioli; 10-09-2009, 09:08.

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                                • #46
                                  Ma, pur essendo certo che la visone economica del governo italiano non supera i cinque anni ed è miope, invece di attribuirgli un'inutile malvagità (poteva non sottoscrivere nulla come hanno fatto gli USA) ho finora mostrato che esistono difficoltà reali a convincere gli italiani che conviene modificare le tecnologie finora usate
                                  Si tratta essenzialmente di scarsa informazione e avversione intrinseca alle nuove tecniche , se gli dai dei soldi per cambiare lo faranno di sicuro , se devono basarsi solo su prospettive di guadagno , fosse anche di un solo mese , i soldi in anticipo non li tirano fuori ,stanno meglio in qualche conto estero.
                                  La visione miope del governo è il riflesso della capacità di innovazione degli Italiani ed in particolare delle pseudo industrie Italiane che invece di investire in ricerca e sviluppo , chiedono a chi lavora di abbassare le pretese economiche , introducendo gli immigrati , e di aumentare la produttività (che gli industrialotti intendono solo per ore in più lavorate e non come qualità del lavoro svolto) , cosa quest'ultima impossibile senza un apporto di innovazione tecnologia ed in un paese dove mancano le più elementari soglie di sicurezza sul lavoro , sembra un paradosso voler cambiare gli italiani dal basso .

                                  Quando ho scritto che i gas serra servivano per altri scopi , era riferito agli obiettivi presunti del 2050 , si usano i gas serra come grimaldello per cercare di cambiare le tecnologie , ma non è una questione politica è solo economica e non è la politica che controlla l'economia ma il contrario .

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                                  • #47
                                    Scelte “spontanee” o regole certe ?

                                    Gli ultimi interventi mi sono di stimolo ad andare avanti nell’esprimere il mio pensiero (vedi #32 e #33). Avrete capito che io credo nel decentramento del risparmio e della produzione energetica e quindi delle stesse “politiche energetiche”. Un decentramento che porti alla crescita e diffusione di nuovi soggetti economici, finanche, in una buona quota, alla capillare autoproduzione aziendale/domestica.
                                    Certo è che se ggavoli, con la sua ottima esperienza, afferma che sul fronte del risparmio energetico anche a livello di produzione dalle attuali centrali di grosso calibro c’è molto spreco, allora dico che assolutamente anche la politica statale dovrebbe, parallelamente, prenderne atto. Con quale “politica energetica”, o meglio, con quale approccio ? E’ su questo punto che mi resta difficile comprendere una parte della domanda che ggavoli (#38) ha assegnato a questa discussione:
                                    Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                                    Tutto ciò constatato, ribadisco che la domanda assegnata a questa discussione è solo ((ma non mi sembra da poco)):
                                    E' definibile una politica energetica capace di far ridurre l'attuale emissione netta di CO2eq del 20 % ogni dieci anni senza perdere i vantaggi (16.000 M€/a) che l'Italia ha se tale riduzione proviene da scelte spontanee dei soggetti economici e dei consumatori?
                                    Il punto, già riportato nei miei precedenti interventi, è: come si può parlare di “scelte spontanee”, sia per i soggetti economici (io qui intendo i produttori/distributori di energia) che per i consumatori, in un sistema “capitalistico di mercato” nel quale la libera concorrenza (quindi il mercato stesso) non si è ancora sviluppata ? Attualmente i “soggetti economici” scaricano tutte le loro inefficienze (costi) sui “consumatori”……. E, viste le recenti scelte del governo, non vedo tutta questa loro convenienza ad investire su efficienza e risparmio nelle attuali centrali, investimento che si ripagherebbe in tempi forse non molto diversi dal nucleare (quindi penso che i loro primi investimenti ricadano proprio sul nuke). E quali “scelte spontanee” potrebbero fare i consumatori, “anello finale di una catena” che fa di tutto per rimanere tale ? Se ricordate, una delle ultime pubblicità dell’ENEL (quella dove grandi e piccoli facevano dei buchetti sulla terra e ci infilavano una spina per far andare il trenino….) induceva il consumatore a pensare secondo una logica di gestione dell’energia centralista e rassicurante che all’incirca può essere tradotta in: “consumatore sappi che il sistema che sta dietro alla presa della corrente non è di semplice gestione, ma non ti preoccupare perché tanto ci pensiamo noi......”. Penso proprio che fino ad oggi non si possa parlare di “filiera dell’energia”, ma di una vera e propria “catena”. Adesso, grazie anche e soprattutto alle FER, possiamo cercare di “liberarci”, ribaltando la logica centralista ed attivando filiere alternative, ma non può essere un processo “spontaneo” !
                                    Senza incentivi fiscali e premi di produzione, il “consumatore” (per qualche tempo ancora) non risparmierà o produrrà energia (come dice ggavoli non si fanno investimenti “economicamente neutri”).
                                    Senza costrizioni da parte dello stato i “soggetti economici” continueranno a far pagare le loro inefficienze ai “consumatori”.
                                    Carota per i primi, bastone per i secondi.
                                    fficeffice" />>>
                                    (continua……..)

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                                    • #48
                                      (prosegue) Scelte “spontanee” o regole certe ?

                                      (……..prosegue)
                                      Secondo me una buona politica energetica nazionale dovrebbe quindi:
                                      - costringere i “soggetti economici” ad ottimizzare la produzione e la distribuzione di energia delle grosse centrali;
                                      - mantenere un alto livello di incentivazione fiscale per il risparmio energetico (a favore dei “consumatori”, che siano semplici cittadini o imprese);
                                      - agevolare (e premiare) la produzione decentrata;
                                      - stabilire blande linee guida per lo sviluppo locale di risparmio e fonti energetiche (quindi qualcosa di più leggero della “legge quadro” di cui parla ggavoli: semplici “indicazioni obbligatorie”, traducibili anche in “Istruzioni tecniche”; ma comunque il concetto è quello).
                                      Viceversa i “decisori politici” locali dovrebbero:
                                      - governare (incentivandolo ulteriormente) un decentramento basato il più possibile su un mix delle fonti locali disponibili, basandolo su Piani Energetici locali che recepiscono le generiche “indicazioni” statali;
                                      - armonizzare gli interventi dei vari livelli istituzionali in base ai fruitori (cittadini, piccole imprese, industrie, ecc.);
                                      - approvare regole (poche e chiare) sul possibile utilizzo del territorio ai fini energetici;
                                      - attivare sportelli informativi (non solo virtuali) soprattutto per i “consumatori”;
                                      - attivare processi partecipativi con i “portatori di interesse” locali (es.: imprenditori del settore energia ed edilizia) e le associazioni ambientali.
                                      E parallelamente, specialmente dove esistono maggioranze e consenso “stabili”:
                                      - iniziare un processo di certificazione energetico/ambientale del territorio amministrato;
                                      - attivare un audit energetico del territorio con stima dell’impronta ecologica complessiva;
                                      - darsi obiettivi temporali ben precisi rispetto alle decisioni UE, mettendo in gioco la propria credibilità (es.: entro il 2015 l’obiettivo è ridurre le emissioni di CO2 del 16%........ per il 2020 garantiamo il 20/20/20……, ecc.).
                                      Concludendo. Definire una politica energetica con gli obiettivi che si propone ggavoli è certo possibile, ma è alla spontaneità degli “attori” a cui ggavoli si riferisce che io non credo. Credo invece a regole serie e patti chiari. Il mio consiglio (che verrà senz’altro criticato) è quindi di continuare ad affidarsi alla “regia” del decisore politico (del resto: ci sono alternative ?), attivando però tutti quei processi di partecipazione e controllo di cui ho riportato anche in #32 e #33.
                                      Alla prossima.

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                                      • #49
                                        Politiche energetiche locali o centralizzate ?

                                        Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                                        Questa domanda e le risposte che tu dai sono del tutto ragionevoli..............
                                        In sintesi ggavoli (#34) dice che le mie risposte/proposte sono del tutto ragionevoli ed applicabili a tutti i processi di decisione politica locale, ma che oggi le politiche energetiche richiedono tempi più stretti di quelli necessari ad attivare tali processi. Ritiene che i tempi di azione debbano essere necessariamente brevi e quindi vede di buon occhio decisioni centralistiche e crede poco ai processi partecipativi.
                                        Ma anche io non ritengo certamente possibile attivare processi partecipativi su scelte centralistiche ! Come già scritto in #32 e #33, in un sistema capitalistico di mercato, a livello di governo centrale non esistono processi partecipativi codificati. Gli unici soggetti che possono avere ascolto hanno una valenza economica. Sono le associazioni di “portatori di interessi” (usiamo pure il termine lobby, senza volergli attribuire un significato dispregiativo). Insisto invece sul necessario decentramento delle politiche energetiche e faccio notare che non c’è da inventarsi nulla di nuovo: le leggi ci sono da tempo. Ogni Regione era tenuta a fare il proprio Piano Energetico Regionale, che poi Province e Comuni dovevano declinare in azioni locali, da inserire nei loro piani di settore, strumenti urbanistici o regolamenti edilizi. Le regioni che hanno iniziato da tempo questo percorso potranno governare il decentramento; quelle che non lo hanno neppure previsto stanno senz’altro sfruttando male i fondi disponibili (e rischiano anche il caos nell’assetto dei loro territori).
                                        E’ oramai scontato che l’attuale governo ha intenzione di portare avanti una politica energetica più centralistica, ma che il decentramento energetico, i cui presupposti sono stati messi in atto dai governi precedenti (sia di destra che di sinistra !), è difficile da bloccare, perché ha scatenato interessi economici di non poco conto.
                                        Quindi il ragionamento che ggavoli va sviluppando potrebbe rivelarsi anche complementare a questo mio punto di vista. Senz’altro non antitetico. La differenza di pensiero mi sembra dipenda dal tipo di esperienze vissute. Le proposte che ho presentato nei precedenti messaggi non sono teoria, ma pratica vissuta nel mio attuale contesto territoriale di lavoro; in questa zona vedo che i processi di cui al messaggio #47 sono già stati attuati dai “decisori politici” locali. Ma anche in contesti limitrofi vedo che si stanno muovendo rapidamente. La stessa mia esperienza “domestica” sul risparmio energetico mi porta a testimoniare che, dove ben governate, le cose funzionano: tempi stretti per i cofinanziamenti (3 mesi per il solare termico 2007 dalla mia provincia, 2 mesi per il fotovoltaico dalla regione), mai un “no” da parte del Comune per tutti gli interventi di risparmio energetico. Certo: ho dovuto seguire pedissequamente il paragrafo del regolamento edilizio dedicato al risparmio energetico, ma il rispetto delle regole è alla base del rapporto fra soggetti, che siano pubblici o privati. D'altronde far rispettare le regole è un importante compito istituzionale degli Enti locali: non potrebbe essere che in nome di risparmio e produzione energetica si modifichi radicalmente la tessitura agricola o si stravolgano centri storici o tessuto urbano; si metterebbero in gioco altri interessi economici rilevanti (es.: turismo).
                                        Purtroppo ribadisco (vedi #32 e #33) che la situazione è molto diversa da regione a regione.
                                        Alla prossima

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                                        • #50
                                          Originariamente inviato da bedi Visualizza il messaggio
                                          (……..prosegue)
                                          Secondo me una buona politica energetica nazionale dovrebbe quindi:
                                          Concordo in toto. Secondo me un punto essenziale è quello che hai indicato con:

                                          - agevolare (e premiare) la produzione decentrata;

                                          Il segreto è tutto qua. Ma serve agire nell'ambito di un sistema di mercato che non può essere sovvertito dall'oggi al domani, ovviamente.
                                          Occorre trovare forme legislative che permettano alle realtà decentrate future di organizzarsi e competere/collaborare con la produzione centralizzata. Una soluzione possibile sarebbe quella di dare le basi normative (che non credo esistano) per creare entità locali, pubbliche, private o miste in grado di interfacciarsi sul mercato locale come fornitori energetici e sul mercato centralizzato come scambiatori di energia.
                                          Parlo sopratutto di produzione elettrica ovvio.
                                          In sostanza i consumatori di un distretto dovrebbero poter scegliere se fare un contratto direttamente con un'azienda di produzione centralizzata o con un'entità a livello locale (entità che può essere un consorzio o un'azienda privata o un misto) che in realtà gestisce l'intera produzione rinnovabile del distretto e si occupa della connessione, dell'accumulo della distribuzione a livello distrettuale e agisce da interfaccia unica verso la rete centralizzata.
                                          Ovviamente questa organizzazione non ha speranza di reggersi economicamente in concorrenza libera con la produzione centralizzata, ma qui deve intervenire il decisore politico con il riequilibrio fiscale.
                                          Il maggior costo iniziale della soluzione potrebbe essere assorbito dai vantaggi (ambientali, sanitari, sociali, occupazionali) della soluzione.

                                          “Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda.” Bertrand Russell

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                                          • #51
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                                            Elettricità fatta in casa
                                            Volkswagen lancia la sfida

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                                            • #52
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                                              In sintesi ggavoli (#34) dice che le mie risposte/proposte sono del tutto ragionevoli ed applicabili a tutti i processi di decisione politica locale, ma che oggi le politiche energetiche richiedono tempi più stretti di quelli necessari ad attivare tali processi. Ritiene che i tempi di azione debbano essere necessariamente brevi e quindi vede di buon occhio decisioni centralistiche e crede poco ai processi partecipativi.
                                              In verità (invito a rileggere tutto #34) ho scritto:
                                              "Mi sembra comunque evidente che questa modalità di "processo di decisione politica", se riguarda la singola tecnologia, non possa avere la rapidità che vantano i "politici decisionisti" decidendo eventualmente in modo irrituale.
                                              Ricordo che affidandosi ad essi si hanno però i problemi esposti negli interventi #24 e #28.
                                              Per me quel tipo di problemi e l'impossibilità di una gestione partecipativa delle decisioni e del controllo, bastano per escludere che si possano decidere in modo centralistico le singole tecnologie (e relative modalità tecniche d'applicazione) adatte alla miglior gestione della risorsa in esame, qualunque essa sia."
                                              Per arrivare a definire il tipo di politica energetica (legge quadro nazionale) più opportuna, ripeto la richiesta già espressa al #44:
                                              "quanto già evidenziato in #24 ed in #28, mi sembra più che sufficiente per escludere l'adozione di una politica energetica del tipo comando+controllo+repressione e porta a scegliere politiche energetiche basate su fiscalità e strumenti di mercato.
                                              Questa scelta è chiaramente preliminare ad ogni passo successivo del ragionamento in corso, quindi intendo eventualmente ridiscuterla, [ma] entro due giorni o mai più."
                                              Doserò con parsimonia i prossimi passi del ragionamento per arrivare ad una "politica energetica efficace e duratura", che ritengo compatibile con quanto gli interlocutori di questa discussione hanno indicato necessario per una gestione partecipata della questione energetica.
                                              Ultima modifica di ggavioli; 11-09-2009, 09:07.

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                                              • #53
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                                                Elettricità fatta in casa
                                                Volkswagen lancia la sfida
                                                Ed ecco il vecchio TOTEM della Fiat che rinasce.
                                                All'epoca (trenta anni fa) era stato un successone, circa un centinaio di impianti venduti.
                                                Auguro alla VW una migliore fortuna

                                                Tersite
                                                Ogni problema complesso ha una soluzione semplice. Ma è sbagliata
                                                Quando gli dei sono adirati contro un popolo mandano un filosofo a governarlo

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                                                • #54
                                                  Passo 2 (Le politiche energetiche standard)

                                                  Esistono politiche energetiche standard (codificate a livello internazionale) capaci di modificare le abitudini tecnologiche d'un territorio ad economia di mercato.
                                                  La carbon tax è una politica standard che gli economisti internazionali concordemente ritengono capace di dirigere l'interesse privato a cambiare abitudini tecnologiche e ad adottare complessivamente quelle a minor consumo di carbonio minerale.
                                                  La carbon tax standard prevede di far pagare alla fonte (cioè all'estrazione od all'importazione) un prezzo ufficiale (possibilimente uguale in tutto il mondo) per il carbonio contenuto nelle fonti energetiche minerali, con riferimento all'anidride carbonica potenzialmente sviluppabile da una combustione completa della fonte.
                                                  Il "prezzo del carbonio" può essere fissato sulla base del principio "chi inquina paga" ed a tal fine andrebbero concordemente valutati i danni collegati alle emissioni di CO2 in atmosfera (danni ovviamente indipendenti dal territorio da cui è emessa).
                                                  E' però certamente più efficace l'opzione che fissa il "prezzo del carbonio minerale" semplicemente ad un livello adeguato a favorire le tecnologie a basso uso di composti minerali del carbonio penalizzando quelle che li usano più intensamente.
                                                  Per ridurre l'emissione di CO2 del 20 % in dieci anni, gli istituti scientifici europei considerano mediamente adeguato un "prezzo del carbonio minerale equivalente" di 200 €/tCO2eq.
                                                  E' peraltro evidente che la carbon tax agisce sulle attività economiche solo in funzione dei risultati di effettiva riduzione dell'emissione e non favorisce, né penalizza nessuna particolare tecnologia tra quelle adottabili per ridurre nella stessa quantità l'emissione di gas serra.
                                                  Sinteticamente si indica questa caratteristica con l'espressione che questa politica energetica è "tecnologicamente neutrale".
                                                  Ultima modifica di ggavioli; 11-09-2009, 21:52.

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                                                  • #55
                                                    Per chi pensa che le decisioni politiche non influenzino l’economia.
                                                    Prendete i dati con il beneficio di inventario, perché basati sulla memoria e non controllati.
                                                    1996. autovetture immatricolate in Italia 32.000.000 abitanti 57.000.000
                                                    2000. autovetture immatricolate in Italia 37.000.000 abitanti 58.500.000.

                                                    Conseguenza dell’incentivo alla rottamazione . Da notare che i consumi di gasolio e benzina non incrementano del 20%.
                                                    La seconda macchina è diventata uno status simbol. Aumenta la richiesta di posti macchina e parcheggi .
                                                    Non conosco la situazione attuale, ma andrò a controllarla solo per curiosità.

                                                    Domanda impertinente.
                                                    Se su una certa villa di Arcore o di Porto Cervo venisse installato un 10 kWp di fotovoltaico, come sarebbe adesso la richiesta di nuovi impianti?
                                                    Invece di 45.000 saremmo già 450.000, con conseguenze ben diverse sulla produzione di energia elettrica futura.
                                                    Forse l’operazione di marketing che ha portato alla posa di una copertura fotovoltaica sulla sala Nervi, non è stata lungimirante né mirata. In fin dei conti non mi sembra di vedere impianti né sulle chiese, né sugli oratori o le canoniche.

                                                    Osvaldo

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                                                    • #56
                                                      Faccio ammenda.....

                                                      Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                                                      In verità (invito a rileggere tutto #34) ho scritto:..............
                                                      Devo scusarmi con ggavoli. Rileggendo più attentamente i suoi messaggi, mi rendo conto che ho sbagliato a scrivere “ggavoli……….vede di buon occhio decisioni centralistiche e crede poco ai processi partecipativi”.
                                                      Con la nuova lettura mi è sembrato di intendere che, proprio a causa della evidente impossibilità di attivare processi partecipativi su scelte centralistiche di singole tecnologie (e quindi più in generale su una politica energetica centralistica ?) del tipo comando+controllo+repressione (un esempio possono essere le attuali scelte sul nucleare ?), ggavoli esclude la possibilità di adottare una tale politica energetica, a favore invece di quelle basate su fiscalità e strumenti di mercato.
                                                      Sembra invece ritenere utili i processi partecipativi a livello locale, ma ciò non rientra adesso nel suo ragionamento, che è del tutto orientato ad indicare i criteri base a cui dovrebbe ispirarsi una “legge quadro nazionale” in grado di stabilire una "politica energetica efficace e duratura".
                                                      Se ho interpretato bene, la rilettura avvicina ancor più il suo pensiero al mio, ed è anche motivo per cui mi impegno a seguire con ancora maggior attenzione il suo ragionamento.
                                                      Per quanto ritenga infatti importante il decentramento delle politiche energetiche, anch’io credo sia urgente ridefinire il quadro normativo nazionale. Che ciò avvenga tramite una “legge quadro” o strumenti normativi più agili poco importa. Fondamentale è che tali norme abbiano i sufficienti gradi di libertà per permettere a regioni e istituzioni locali di definire, nel solco da esse tracciato, una propria politica energetica.
                                                      Saluti.

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                                                      • #57
                                                        Passo 3 (Come funziona la carbon tax)

                                                        Gli istituti di ricerca europei affermano sia necessario un "prezzo del carbonio da composti minerali" di 200 €/tCO2 a regime e non ritengo di poterne contestare la validità.
                                                        D'altro canto per l'Italia la sola importazione dei composti minerali del carbonio costa circa 50.000 M€/a a fronte di un'emissione di circa 500 MtCO2/a, quindi una tale emissione costa almeno 100 €/tCO2.
                                                        Per l'azienda Italia spendere al suo interno 100 € per ogni tonnellata di CO2 non emessa e prima riconducibile ad importazioni di composti minerali di carbonio, non sarebbe solo un pareggio, ma certamente un guadagno (in ore lavorate).
                                                        Si può valutare l'impatto che tale "prezzo" ha sulla media dei soggetti economici di un territorio in cui la domanda sia davvero libera di selezionare la migliore offerta di beni e servizi.
                                                        Con approssimazione sufficiente allo scopo, si può affermare che l'economia italiana per creare circa 1.500.000 M€/a di Valore Aggiunto usi carbonio minerale per 500 MtCO2/a e si può quindi considerare mediano un settore merceologico che per ogni per ogni M€ di valore del prodotto offerto al consumo (somma dei valori aggiunti della filiera completa del prodotto) causa l'emissione di 500.000.000/1.500.000=333 tCO2.
                                                        Naturalmente si definisce così l'intensità media d'uso del carbonio
                                                        (IUCm=333 tCO2/M€) in quel settore merceologico nell'anno corrente,
                                                        ove, in regime di libera concorrenza su qualità e prezzo del prodotto tipico, ciascun produttore avrà un proprio valore aggiunto prodotto VA M€ nell'anno corrente a fronte di un proprio consumo di carbonio UC tCO2 per l'energia da carbonio minerale usata (anche indirettamente attraverso l'energia usata).
                                                        Ciascun concorrente noto in quel settore merceologico ha quindi un valore dell'intensità d'uso del carbonio minerale
                                                        IUC=UC/VA tCO2/M€.
                                                        Supponiamo che due concorrenti di quel settore merceologico abbiano rispettivamente
                                                        IUC(1) = 260 tCO2/M€ e IUC(2) = 400 tCO2/M€.
                                                        Con una carbon tax di 200 €/tCO2, il primo ha un sovracosto di 260*200=52.000 €/M€ ed il secondo di 400*200=80.000 €/M€.
                                                        Il primo dei due concorrenti ha sul secondo un vantaggio di
                                                        28.000 €/M€ pari al 2,8 % del prezzo medio al consumo ed è questo vantaggio competitivo tra concorrenti naturali che stimola i concorrenti a ridurre la propria intensità d'uso del carbonio per non perdere quote di mercato.
                                                        Infatti gli acquisti si spostano sempre verso le offerte i cui prezzi crescono meno.
                                                        Anche senza che nessuno dei concorrenti modifichi le proprie tecnologie di produzione, si ha riduzione della IUCm del venduto in quel settore merceologico.
                                                        La carbon tax risulta anche di semplice applicazione poiché, oltre al controllo dell'importazione ed estrazione di fonti energetiche minerali (già in atto per le accise), non richiede alcuna attività d'indagine da parte della Pubblica Amministrazione ed i risultati di spostamento di mercato avvengono automaticamente.
                                                        La carbon tax (uguale per tutti i settori merceologici) ha inoltre la caratteristica di attirare spontaneamente gli investimenti disponibili verso gli interventi tecnologici che costano meno a pari riduzione delle emissioni di gas serra.
                                                        Però ci si deve anche aspettare che la media dei sovracosti 66.000 €/M€ sia scaricata sul prezzo al consumo e ciò corrisponde ad un aumento del 6,6 % del prezzo medio.
                                                        Ultima modifica di ggavioli; 12-09-2009, 16:05.

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                                                        • #58
                                                          Ragionamento ineccepibile.

                                                          Dubbio.

                                                          Finora i finanziamenti venivano concessi in base al presupposto di aumento di attività, quindi all'aumento del consumo di energia, mai alla diminuzione, a quando la formazione di banchieri così illuminati?

                                                          Non è che un politico da tutto questo ragionamento colga solo lo spunto "Allora c'è spazio per una tassa in più?".

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                                                          • #59
                                                            Originariamente inviato da Osvaldo Visualizza il messaggio
                                                            "Allora c'è spazio per una tassa in più?".
                                                            Ovviamente non c'è e lo vedrai nei miei prossimi interventi.
                                                            Fino al "Passo 8" descriveranno i difetti dei tipi di politica energetica (fiscale e di mercato) attualmente in atto nel mondo (dove c'è) e dal "Passo 9" descriveranno le caratteristiche della "politica energetica efficace e duratura" che intendo proporre a questa discussione.
                                                            Ed ovviamente anche ai "decisori politici", che, vedrete, saranno liberi di adottarla ad ogni livello territoriale.
                                                            A proposito invece delle politiche energetiche tipo comando+controllo+repressione, se nessuno le difenderà entro oggi, credo di poterle considerare (come ho annunciato in #44) escluse dalle reali possibilità in Italia; a parere unanime degli interlocutori di questa discussione.
                                                            Ultima modifica di ggavioli; 12-09-2009, 16:14.

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                                                            • #60
                                                              Passo 4 (Politiche in cui la P.A. giudica le tecnologie)

                                                              Se le tecnologie vengono davvero modificate e si ha un minor uso macroeconomico del carbonio minerale, i vantaggi economici per l'Italia sono sicuri, e (sulla base di dati ENEA; pagato dallo Stato Italiano) simili a quelli indicati in #4, #5, #6, #7, #8.
                                                              Naturalmente ciò è vero per una politica energetica come la carbon tax standard, "tecnologicamente neutrale, semplice da applicare, le cui le transazioni economiche rimangono nel territorio nazionale, senza costi burocratici aggiuntivi alle tassazioni attuali e che si può mantenere a tempo indefinito".
                                                              Altri tipi di stimolazione a modificare le tecnologiche mancano invece di una o più di queste caratteristiche necessarie per avere efficacia a lungo termine.
                                                              Ad esempio politiche energetiche di incentivazione di specifiche tecnologie sono certamente meno appetibili dal punto di vista macroeconomico (azienda Italia) in quanto sono spesso forzatamente a tempo determinato e comportano comunque anche controlli e certificazioni che, per l'intero territorio, sono assai più costosi di quelli per la carbon tax.
                                                              Ciò vale certamente per le principali politiche energetiche alternative alla carbon tax, ma con gli stessi obbiettivi:"accise sui prodotti energetici", "conto energia", "certificati verdi", "certificati bianchi" ed "emission trading".
                                                              Talune di queste politiche alternative appaiono meno costose della carbon tax perché i corrispondenti diritti d'emissione si possono trovare sul mercato a prezzo più basso della carbon tax efficace, ma proprio la possibilità di questi acquisti in alternativa alla modifica delle tecnologiche rallenta l'adozione delle nuove tecnologie, che è determinante per gli equilibri economici a lungo termine.
                                                              A tali "costi burocratici" (valutati da 20 al 50 % del valore della corrispondente energia fornita od usata) si aggiunge il fatto che la maggior parte dei diritti d'emissione devono poi essere acquistati all'estero, creando così un costo macroeconomico netto per l'ltalia (esborso netto per l'azienda Italia).
                                                              Tutte queste politiche energetiche "non tecnologicamente neutrali" sono mirate a sostenere settori merceologici in cui vi sono alti costi per ridurre l'emissione ed in definitiva aumentano gli investimenti negli interventi tecnologici che costano di più a pari riduzione delle emissioni di gas serra.
                                                              Tra le politiche energetiche "non tecnologicamente neutrali" sono da annoverare anche quelle tipo comando+controllo+sanzione, che (salvo non prevedano "sanzioni spropositate"=repressione e siano quindi liberticide) hanno gli stessi costi burocratici delle politiche d'incentivazione, con automatico pericolo d'evasione delle sanzioni economiche previste per chi non obbedisce ai comandi della Pubblica Amministrazione.
                                                              Ultima modifica di ggavioli; 13-09-2009, 11:37.

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