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Politica Energetica efficace e duratura

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  • #61
    Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
    Ciò vale certamente per le principali politiche energetiche alternative alla carbon tax, ma con gli stessi obbiettivi:"accise sui prodotti energetici", "conto energia", "certificati verdi", "certificati bianchi" ed "emission trading".
    Almeno nel caso del conto energia per il fotovoltaico l'incentivo non può essere messo a paragone con la carbon tax. Questa è una misura senz'altro interessante, ma va chiarito l'impatto che essa può avere sulla filiera produttiva e di riflesso sulla competitività del prodotto italiano verso l'estero. Non vedo invece grossi problemi nell'eventuale aumento del carico tariffario generale. E' una misura che può essere presa anche a titolo definitivo per riequilibrare le fonti.
    Il conto energia non si prefigge questo scopo e ha una valenza esclusivamente temporanea di supporto alla creazione ed organizzazione autonoma di un segmento di mercato che senza di esso semplicemente non esisterebbe, carbon tax o meno.
    “Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda.” Bertrand Russell

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    • #62
      Originariamente inviato da BrightingEyes Visualizza il messaggio
      Il conto energia ..... ha una valenza esclusivamente temporanea di supporto alla creazione ed organizzazione autonoma di un segmento di mercato che senza di esso semplicemente non esisterebbe, carbon tax o meno.
      Per questo è a tempo definito.
      La sua valenza di supporto ad una tecnologia promettente e che sta riducendo i costi per kW di picco con velocità superiore alle più rosee previsioni di dieci anni fa è positiva, ma non generalizzabile.
      E' comunque sempre rischioso promuovere una tecnologia troppo al di là delle sue prestazioni attuali.
      Fra l'altro i tempi d'introduzione di una tecnologia senza basi produttive locali non possono essere abbreviati più di tanto, altrimenti ci riduciamo a comprare all'estero tecnologia invece che fonti energetiche non rinnovabili.
      Se poi questa tecnologia costa molto è quasi sempre per la notevole quantità d'energia necessaria per produrla.
      Nel caso specifico, oltre tutto, le nicchie di mercato in cui la tecnologia è utilizzabile già ora a prezzo pieno non sono poi così ristrette ed ovviamente crescono man mano che cala il prezzo della tecnologia.
      Vedremo alla fine in che misura andranno gestite delle eccezioni, tuttavia quello che intendo proporre è una politica energetica efficace e duratura che massicciamente promuova qualunque tecnologia che sia ora capace di concorrere alla riduzione dell'uso delle risorse energetiche non rinnovabili e che massicciamente penalizzi qualunque tecnologia alternativa meno efficiente a tal scopo.
      File allegati
      Ultima modifica di ggavioli; 13-09-2009, 23:30.

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      • #63
        una politica energetica efficace e duratura che massicciamente promuova qualunque tecnologia che sia ora capace di concorrere alla riduzione dell'uso delle risorse energetiche non rinnovabili e che massicciamente penalizzi qualunque tecnologia alternativa meno efficiente a tal scopo
        Scritta così non mi è molto chiara. Cos'è che vuoi penalizzare? Le alternative alle rinnovabili o le alternative alle non rinnovabili che sono meno efficienti?
        Definisci poi cos'è per te l'efficienza a cui fai riferimento.

        E' un thread interessante, ma poco "forumistico" per il modo in cui viene condotto... mi adeguerò comunque.

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        • #64
          Originariamente inviato da endymion70 Visualizza il messaggio
          Definisci poi cos'è per te l'efficienza a cui fai riferimento.
          Significa che sono efficienti le tecnologie (di produzione o di uso dell'energia commerciale) che nel sostituire le corrispondenti tecnologie usuali comportano un alto rapporto tra CO2 evitata ed aumento dei costi correnti.
          L'ENEA nel documento linkato in #5 attribuisce ad un significativo insieme di modalità disponibili il costo da sopportare usandole per ridurre l'emissione di CO2 (vedi da #4 a #7).
          Molte di tali modalità d'approccio all'energia hanno costi specifici negativi, specialmente nell'uso dell'energia.
          Anzi in media l'efficienza energetica non ha un costo (vedi #5), bensì comporta un guadagno di 118 € per evitare l'emissione di una tonnellata di CO2 (riducendo l'uso specifico d'energia).
          D'altro canto ridurre l'emissione di CO2 in fase di produzione dell'energia commerciale comporta invece costi medi 84 €/tCO2.
          Se ogni soggeto interessato sceglie, al momento di rinnovare la tecnologia usuale, la tecnologia meno costosa per ridurre l'emissione di CO2 (direttamente o indirettamente) sceglie appunto la più efficiente per lui in quel momento.
          Questa è l'efficienza da premiare. Scelte diverse (in quel momento e per quella situazione di produzione, o uso d'energia) sono le alternative meno efficienti da penalizzare.
          Non mi riferisco quindi all'efficienza assoluta (tCO2/€) di una tecnologia nel ridurre (direttamente o indirettamente) l'emissione di gas serra, bensì alla miglior efficenza disponibile per una specifica attività umana al momento in cui è possibile prendere una decisione.
          Ultima modifica di ggavioli; 14-09-2009, 08:44.

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          • #65
            Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
            Significa che sono efficienti le tecnologie (di produzione o di uso dell'energia commerciale) che nel sostituire le corrispondenti tecnologie usuali comportano un alto rapporto tra CO2 evitata ed aumento dei costi correnti.
            Quindi, se non ho mal interpretato, ci sono due grandi settori di interesse:
            1) La produzione energetica
            2) L'utilizzo dell'energia
            Sul secondo punto credo si possa essere in generale accordo. E' relativamente facile immaginare una politica di indirizzamento delle scelte produttive di beni vari verso le tecnologie più efficienti e in grado di ridurre le emissioni. Qualcosa si sta già facendo e una politica fiscale ad hoc potrebbe dare ottimi risultati.
            Sul primo punto invece non mi è chiara l'azione proposta. Come si dovrebbe intervenire per orientare le scelte tecnologiche produttive e, sopratutto, su quali soggetti si dovrebbe intervenire?
            “Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda.” Bertrand Russell

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            • #66
              Passo 5 (Esiti macroeconomici a medio e lungo termine)

              Sia per semplicità d'esposizione, sia perché la carbon tax è la politica energetica meno costosa a regime per il territorio, la politica energetica che si vuol proporre prende le mosse dalla carbon tax, ma deve eliminarne i difetti, che cerchiamo di analizzare.
              In verità la carbon tax ha molti vantaggi rispetto alle altre politiche usate in Italia ed in Europa (Passo 4), ma il sovracosto medio per il prezzo del carbonio minerale è mediamente scaricato da ciascun settore merceologico sugli acquirenti dei suoi prodotti (magari col ricarico usuale sui costi).
              Un primo effetto è che tale aumento del prezzo medio tende ad allontanare gli acquirenti dal prodotto tipico del settore, fatto non sempre possibile e non sempre auspicabile (comunque sempre ferocemente osteggiato dai produttori di energia, di beni, di servizi).
              L'aumento dei prezzi in tutti i settori merceologici innesca inflazione (almeno il 6,6 % sopra la tendenziale, dovuta a quasi il raddoppio del costo industriale dell'energia commerciale).
              L'inflazione diventa poi depressione appena cala la fiducia dei consumatori, o c'è crisi di liquidità per altre ragioni di mercato.
              Inoltre la carbon tax a 200 €/tCO2 oggi comporterebbe un prelievo fiscale di 200*500M=100 G€/a cioè 100/1500=0,066=6,6 % del PIL.
              Una tassa di tale portata potrebbe forse evitare altri aumenti di tassazione e ripianare il disavanzo pubblico italiano, o far ridurre le tasse su altre risorse (ad esempio risorse umane) che per l'azienda Italia conviene che siano maggiormente usate, in alternativa ai composti minerali del carbonio.
              Però tali sconquassi dell'economia sono possibilmente da evitare, anche perché difficilmente rimediabili con equità e quindi senza rivolte sociali.

              Comunque, superati i danni macroeconomici dei primi dieci - trent'anni, se il prezzo del carbonio è adeguato, risulterà che gli aumenti dei costi di produzione ad esso legati avranno ridotto l'Intensità d'Uso del Carbonio minerale (IUC = tCO2 per ogni M€ di Valore Aggiunto) da parte di tutti i settori merceologici, partendo dai settori con IUC medi (IUCm) più elevati e con maggiori dispersioni delle IUC tra i concorrenti naturali.
              Se sono adeguatamente stimolati a ridurre la IUC, i soggetti economici, al momento di rinnovare gli impianti produttivi, ne acquistano di diversi, o li modificano perché riducano l'uso di risorse energetiche non rinnovabili ed usino di più altre risorse produttive (ad esempio: territorio, risorse economiche e risorse umane).
              A regime (50 anni) i flussi monetari entro il territorio trovano sempre adeguate vie di scorrimento dal consumo alla produzione e viceversa (se non vanno all'estero).
              Sostanzialmente il vantaggio macroeconomico a regime per l'Italia è lo stesso che si avrebbe se le stesse modifiche tecnologiche avvenissero senza bisogno di stimoli normativi.
              A livello europeo, per mitigare il temporaneo effetto depressivo, si prevede che la carbon tax sia introdotta gradualmente; portandola a regime da 25 a 200 €/tCO2 in circa 30 anni.
              Questa progressività rallenta però il processo di cambiamento delle tecnologie molto oltre i tempi tipici d'ammortamento delle attuali tecnologie e di adeguamento delle industrie necessarie per produrre in Italia le nuove tecnologie e farne la manutenzione.
              Ultima modifica di ggavioli; 14-09-2009, 10:54.

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              • #67
                Originariamente inviato da BrightingEyes Visualizza il messaggio
                ci sono due grandi settori di interesse:
                1) La produzione energetica
                2) L'utilizzo dell'energia
                Sul secondo punto.....Qualcosa si sta già facendo e una politica fiscale ad hoc potrebbe dare ottimi risultati.
                Come si dovrebbe intervenire per orientare le scelte tecnologiche produttive e, sopratutto, su quali soggetti si dovrebbe intervenire?
                Tuttavia è proprio sull'uso dell'energia che si compie il paradosso ribadito da ENEA in REA2008:
                "Nella realtà, però, queste decisioni [sull'efficienza] risentono di una serie di fattori quali:
                - l’uso di tassi di sconto distorti (in quanto sulle decisioni incidono fattori diversi dai soli costi economici);
                - l’esistenza di deficit informativi e/o asimmetrie informative (le informazioni su costi e performance degli investimenti in efficienza energetica sono difficili da acquisire);
                - la scarsità di incentivi per i finanziatori degli investimenti (anche quando i costi dell’efficienza energetica sono nettamente inferiori a quelli dell’acquisto di energia, gli investimenti necessari sono spesso difficili da finanziare); ……
                L’investimento nelle tecnologie efficienti risulta dunque inferiore a quello ottimale, ed il sistema è caratterizzato dalla presenza di un c.d. «energy-efficiency gap» o «energy-efficiency paradox».
                Per superare queste barriere, che non sono di carattere economico, molto spesso è quindi necessario affrontare dei costi, come ad esempio quelli delle campagne informative o della fornitura di finanziamenti agevolati."
                Ho analizzato tale paradosso in #31 e successivi.
                La stessa ENEA quantifica il peso del paradosso fornendo dati che dimostrano che i cambiamenti tecnologici verso l'efficienza energetica non avvengono nonostante che ogni tonnellata di CO2 evitata attraverso di essi non comporti costi per gli interessati, bensì benfici per 118 €.
                Come avrai notato è certamente utile trattare a parte i fornitori d'energia per i quali in media evitare l'emissione di una tonnellata di CO2 costa 84 €.
                Per questi sono già adeguatamente ottimali tecnologie che costino meno di 84 €/tCO2.
                In sostanza non si possono penalizzare o premiare nello stesso modo gruppi di soggetti decisori che hanno a disposizione opportunità così radicalmente diverse.
                Premi e penali vanno giocati solo tra competitori alla pari.
                Ho anticipato volentieri il nucleo del mio pensiero che però intendo svolgere con ordine e passo passo, come già detto in #58.
                Ultima modifica di ggavioli; 16-09-2009, 10:12.

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                • #68
                  Continuo a seguire anche se sono al limite delle mie capacità.
                  Mi sembra di aver capito che a questo punto non è particolarmente importante che il CO2 prodotto dall'attività umana sia determinante per l'effetto serra o meno.
                  Diventa il sistema più facile per intervenire su di un sistema poco efficiente nel lungo periodo in maniera che diventi più efficiente intanto che ho ancora le risorse per poter attuare al meglio il cambiamento.
                  Giusto?

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                  • #69
                    Originariamente inviato da Osvaldo Visualizza il messaggio
                    non è particolarmente importante che il CO2 prodotto dall'attività umana sia determinante per l'effetto serra o meno.
                    Si e No.
                    Intanto saprai che l'effetto serra naturale medio negli ultimi 2 Milioni di anni è stato intorno a 25 °C, con variazioni naturali intorno a 10 °C ogni circa 100.000 anni.
                    L'attuale situazione critica proviene dal fatto che, da circa 10.000 anni, siamo sicuramente in un periodo di massime temperature per ragioni naturali (detto interglaciale) e pare decisamente inopportuno che le attività umane, con la emissione artificiale di gas serra in atmosfera BAU (Businnes As Usual) aggiungano fino a 6 °C all'attuale picco (per i tempi geologici) di temperatura.
                    Ovviamente non tutte le cause naturali delle variazioni di temperatura alla superficie terrestre sono note e quantificate concordemente dagli scienziati, ma credo che sia da considerare "imprudente" chi intendesse rischiare un aumento della temperatura molto superiore a 2 °C nei prossimi 1000 anni per cause umane, potendo peraltro evitarlo senza far danni all'economia mondiale e locale.
                    L'allegato successivo credo che spieghi adeguatamente la situazione.
                    Ho tuttavia appositamente chiesto di restringere questa discussione alla fattibilità d'una riduzione del 2 %/a dell'attuale emissione di gas serra dall'Italia al minimo costo per i consumatori finali, per i soggetti economici fornitori di beni e servizi, per i fornitori di energia commerciale, per i bilanci pubblici statali e locali.
                    Questo è infatti l'obbiettivo pratico di riduzione delle emissioni che lo Stato Italiano ha già accettato fino al 2050 (G8 del 2009).
                    La missione di una politica energetica efficace e duratura è appunto almeno avvicinarsi a tale risultato macroeconomico, visto che lasciando andare le cose come finora (BAU), l'azienda Italia nel 2040 ci rimetterà circa 60 Miliardi di euro all'anno in spese all'estero e circa 30 G€/a per maggiori costi dell'energia utilizzata.
                    Ultima modifica di ggavioli; 16-09-2009, 18:54.

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                    • #70
                      L'allegato spiega le ragioni principali dell'accordo di Kyoto (1997) e gli obbiettivi assegnabili agli accordi post-Kyoto.
                      File allegati
                      Ultima modifica di ggavioli; 16-09-2009, 18:49.

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                      • #71
                        Passo 6 (Inflazione e depressione frenano le decisioni politiche)

                        La carbon tax da 200 €/tCO2, od altra politica che introduca per tutti gli utilizzatori un uguale costo per tutto il carbonio minerale usato, deprime per almeno 20 anni la domanda di beni e servizi all'interno del paese ove è applicata.
                        ((potrà piacere ai fautori della decrescita, ma sottrae consensi ai decisori politici))
                        I decisori politici, con obbiettivi a meno di cinque anni, sono assai contrariati dal dover prendere decisioni che sembrano impopolari.
                        In Italia poi, se non è uguale per tutta l'economia mondiale, la carbon tax fa anche perdere competitività all'estero se il prezzo del carbonio è più alto dei paesi competitori.
                        Tuttavia un alto prezzo delcarbonio è condizione per rapide modifiche delle tecnologie.
                        Perdere competitività all'estero è peggio della depressione economica interna, specialmente per paesi come l'Italia la cui economia, senza materie prime od energia minerale in proprio, nel mercato mondiale si regge sulla loro trasformazione in beni industriali di qualità.

                        Il sistema ETS (applicabile a circa il 40 % delle emissioni fisiche italiane), all'attuale prezzo di mercato internazionale dei diritti d'emissione (15 €/tCO2) si tradurrà in un'emorragia verso l'estero di 500M*0,4*15=3000 milioini di euro all'anno senza incidere, per il troppo basso prezzo del carbonio minerale, sulle tecnologie adottate nei settori abilitati all'ETS e comunque soggetti a controlli tecnologici minuziosi (peraltro inutili per i risultati sul bilancio nazionale delle emissioni).
                        Quando (2015) il sistema ETS si sarà esteso tanto da far aumentare adeguatamente il "prezzo del carbonio" (a circa 40 €/tCO2), il costo per l'Italia crescerà in proporzione, ma sarà troppo tardi per ottenere nei tempi concordati la riduzione voluta dell'emissione netta di gas serra dall'Italia.
                        Nel 2015, anche con l'emissione già calata del 10 % il costo netto dell'ETS per l'Italia sarebbe 450M*0,4*40=7200 M€/a.
                        Ovviamente sono spese nette evitabili con una politica energetica che comporti transazioni economiche solo all'interno del territorio nazionale.
                        Ultima modifica di ggavioli; 16-09-2009, 13:20.

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                        • #72
                          Passo 7 (Il quadro internazionale)

                          In definitiva, i ritardi dei singoli paesi nell'attuare politiche energetiche efficaci dipendono soprattutto dalla mancanza di armonizzazione internazionale delle politiche energetiche standard, i cui esiti a regime gli scienziati ritengono comunque necessari per migliorare il futuro di tutta l’umanità.
                          L'Europa ha però ritenuto comunque prevalente il rischio d'una crescente dipendenza da fonti energetiche estere (già ora ad oltre il 60 %) rispetto ad una perdita di competività commerciale sui beni industriali che più richiedono energia durante la produzione.
                          L'Europa si è data quindi obbiettivi significativi per il 2020, in particolare una riduzione del 20 % della emissione assoluta del 2005, che era già il 4 % in meno del 1990.
                          Con uno sviluppo economico anche solo del 20 % in 10 anni, l'intensità carbonica dell'energia commerciale dovrà calare almeno del 20 % in 10 anni e l'intensità energetica della produzione di beni e servizi calare del 20 %.
                          Mi risulta che solo tali obbiettivi al 2020 (per l'Italia risultano invero meno ambiziosi che per la media europea) siano veramente tassativi, non il tipo di politica energetica da utilizzare per raggiungerli.
                          Così se in Italia entro tre anni la riduzione dell'emissine di gas serra da un anno all'altro si stabilizzasse a 10 MtCO2eq/anno, non credo vi sarebbero obiezioni delle istituzioni europee circa la politica adottata in Italia per ottenere rapidamente questo tasso annuo di riduzione assoluta e mantenerlo fino al 2050.
                          Non credo infatti che l'attuale frammentazione e complicazione delle politiche italiane in campo energetico sia considerata tanto grave in quanto tale, quanto perché anche con esse nel 2005 le emissioni di CO2 da energia erano aumentate del 12 % rispetto a quelle del 1990, invece di ridursi (l'obbiettivo medio per il periodo 2008 - 2012 è - 6,5 %).

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                          • #73
                            Passo 8 (I danni da evitare)

                            La politica energetica da confezionare deve essere efficace come una carbon tax da 200 €/tCO2eq, ma non creare i corrispondenti danni macroeconomici.
                            Per raggiungere contemporaneamente questi due obbiettivi, essa deve:
                            a) realizzare, tra i due soggetti economici direttamente concorrenti ipotizzati nel (Passo 3) lo stesso differenziale del 2,8 % sul prezzo medio al consumo del prodotto tipico.
                            b) non deve penalizzare anche il soggetto più efficiente e quindi non causare un aumento del suo prezzo per il prodotto tipicamente in concorrenza, né ridurre la sua competitività all'estero.
                            Ovviamente deve possibilmente essere semplice come la carbon tax, ma soprattutto molto più semplice e con meno burocrazia di quella prevista in:
                            "conto energia", "certificati verdi", "certificati bianchi", "emission trading", "accise sull'energia", "tasse su macchine", "incentivi su macchine", "sconti fiscali", "norme tecniche locali".....
                            Molte delle complicazioni burocratiche che trasformano le attuali normative in veri "uffici complicazioni affari semplici" provengono dalla pretesa della pubblica amministrazione di giudicare a priori l'efficacia tecnica delle innovazioni che i soggetti privati mettono in atto per ridurre i propri costi energetici (è così che i soggetti privati riducono, quasi sempre, l'uso del carbonio fossile).
                            L'altra fonte di complicazioni burocratiche è la selva di esenzioni, di ritardi e di date ultimative nell'attuare norme pensate per stimolare innovazione e ristrutturazione energetica delle attività umane, sia quelle a fine economico, sia quelle non a fine economico.
                            Tutte le complicazioni burocratiche hanno un costo che toglie molte risorse economiche (e soprattutto risorse umane) alla vera ristrutturazione energetica delle attività umane e praticamente l'impediscono quando la convenienza soggettiva non è platealmente certa.
                            L'altro aspetto che rende poco attraenti (quindi inefficaci) le attuali politiche energetiche italiane è l'incertezza negli anni.
                            E' un rischio "difficilmente eliminabile" se tali politiche dipendendono da decisioni in materia di bilancio pubblico statale, o locale.
                            Ultima modifica di ggavioli; 17-09-2009, 07:54.

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                            • #74
                              Passo 9 (Caratteristiche richieste ad una nuova politica energetica)

                              S'è visto che tra le caratteristiche da richiedere ad una nuova politica energetica efficace affinché sia anche duratura c'è quella di non incidere sui bilanci pubblici statali o locali (né alimentandoli, né svuotandoli).
                              E' una caratteristica che manca alla carbon tax e che può evitare molte truffe.
                              Si dovranno poi mantenere alcune ottime caratteristiche proprie della carbon tax standard (integrale e senza esenzioni):
                              - semplicità e minimo costo pubblico di rilevamento dei dati necessari per attivare la politica energetica;
                              - indipendenza del risultato dalla segmentazione delle filiere produttive dei settori economici;
                              - nessun dirigismo pubblico in campo tecnologico;
                              - possibilità di intensificare gli stimoli;
                              - possibilità di mantenere gli stimoli a tempo indefinito;
                              - tendenza ad indirizzare gli investimenti disponibili verso le tecnologie meno costose a pari riduzione dell'emissione di gas serra.
                              Comunque tutti i singoli soggetti economici ed i consumatori, che avessero già acquisito diritti in base alle diverse norme vigenti prima dell'avvio della nuova politica energetica, devono veder onorati gli impegni presi dalla pubblica amministrazione nei loro diretti confronti.
                              Le suddette caratteristiche ottimali richieste per politiche fiscali e normative che hanno elevata correlazione con la produzione e l'uso dell'energia, come pure le trappole da evitare, possono far apparire problematico definire una politica energetica migliore dell'insieme di quelle attuali e della carbon tax.
                              In verità, sono proprio le complicazioni a creare le trappole e la semplicità dovrebbe essere la principale caratteristica di una politica energetica migliore delle attuali.
                              La politica energetica che di seguito viene proposta pare semplice ed in grado di evitare molte delle trappole citate in (Passo 8) ed in cui le politiche energetiche attuali perdono d'efficacia ed anche d'equità.
                              La politica che propongo si attua in quattro mosse principali e risulta più semplice di quanto si possa supporre.
                              Due mosse rivolte ai fornitori di energia commerciale.
                              Due mosse rivolte agli acquirenti d'energia commerciale.
                              Ultima modifica di ggavioli; 18-09-2009, 08:03.

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                              • #75
                                Passo 10 (Eliminare gli uffici complicazioni affari semplici)

                                Nella prima mossa si azzerano tutti gli "uffici complicazioni affari semplici" citati in (passo 8) e genericamente correlati alla produzione ed all'uso dell'energia commerciale, nonché qualunque futuro intervento economico, o garanzia statale, nella produzione ed uso dell'energia commerciale con particolari tecnologie.
                                Contestualmente, il corrispondente bilancio netto degli introiti pubblici (le accise sui prodotti energetici ed il bollo sui mezzi di trasporto si sono calcolati in circa 20 G€/a al netto dei costi burocratici di gestione) viene convertito in "carbon tax originaria", applicata rigorosamente senza esenzioni.
                                La Carbon Tax originaria, per i vettori energetici usati in Italia a qualunque scopo, a tali condizioni vale circa CTo=20.000M€/500MtCO2=40 €/tCO2
                                Contribuiscono direttamente alla CTo i soggetti che estraggono od importano fonti energetiche minerali e precisamente in base al contenuto di carbonio minerale contenuto nelle fonti energetiche ovunque estratte per fornire vettori energetici commerciali (comunque siano poi usati).
                                Tutti i soggetti economici ed i consumatori, che singolarmente avessero già acquisito diritti in base alle norme vigenti prima della nuova politica energetica, vedranno onorati gli impegni presi dalla pubblica amministrazione nei loro diretti confronti e quindi potranno scegliere:
                                - o di rimanere nel regime di incentivazione attuale per il tempo contrattuale, sostenendo le corrispondenti residue spese burocratiche,
                                - o di recedere per volontà espressa dal contratto specifico in qualunque momento, accedendo ai benefici della nuova politica.
                                I risultati immediati di questa prima mossa sono:
                                - riduzione del prelievo fiscale di circa 10 miliardi di euro all'anno, senza ridurre l'introito netto per lo stato;
                                - stimolo (prima inestistente) sui fornitori d'energia a ridurre l'uso di composti minerali del carbonio.
                                - il personale fiscale liberato dalla burocrazia (ora necessaria anche per verificare le numerose esenzioni) sarà indirizzato a perseguire con più efficacia le evasioni fiscali di IVA e IRPEF (quasi il 25*0,4= 10 % del PIL => circa 150 G€/a).
                                La CTo = 40 €/tCO2 è destinata a rimanere invariata nel tempo e ciò comporta una progressiva riduzione dell'attuale prelievo fiscale, che viene ridotto subito dagli attuali circa 30 a 20 G€/a per arrivare a 4 G€/a nel 2050, quando l'emissione totale dall'Italia dovrà essere ridotta da 500 a 100 MtCO2/a.
                                Ultima modifica di ggavioli; 17-09-2009, 15:28.

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                                • #76
                                  Passo 11 (Prezzo unico nazionale per lo scambio del carbonio)

                                  Nella seconda mossa è definito un "prezzo unico nazionale per lo scambio del carbonio minerale",
                                  con un valore iniziale punC(0)=60 €/tCO2.
                                  Contestualmente tutti i fornitori di vettori energetici commerciali, già ben conosciuti dalla P.A. per via delle accise sull'energia, sono raccolti in quattro settori merceologici standard:
                                  energia elettrica, combustibili gassosi, combustibili liquidi, combustibili solidi.
                                  Un consorzio obbligatorio per ciascun settore di fornitori di vettori ha il compito di verificare per ogni fornitore dati semplici già noti alla P.A., cioè la quantità di vettore (EN MWh/a) fornita al mercato ed il carbonio minerale contenuto in tutte le fonti energetiche grezze usate (CM tCO2/a) ed in eventuali vettori energetici commerciali usati.
                                  Il consorzio ogni anno rende espressamente noti a tutti i consorziati questi due dati per ogni consorziato e nel complesso del consorzio, rendendoli conoscibili anche da parte del pubblico.
                                  Il consorzio calcola poi il valore dell'intensità carbonica dell'energia fornita ICE=CM/EN tCO2/MWh per ognuno dei consorziati ed il valor medio nel consorzio ICEm tCO2/MWh.

                                  I consorziati con ICE minore di ICEm ricevono ogni anno dal consorzio un beneficio
                                  BN = punC*(ICEm - ICE)*EN €/a
                                  I consorziati con ICE>ICEm pagano ogni anno al consorzio una penale speculare
                                  PN = punC*(ICE - ICEm)*EN €/a
                                  Ovviamente il 50 % dei consorziati più efficienti della media difenderà apertamente il proprio diritto a ricevere da quelli meno efficienti il beneficio corrispondente al loro minor uso del carbonio fossile.
                                  La pubblica amministrazione deve solo garantire che ciò avvenga, controllando il consorzio incaricato delle transazioni economiche.
                                  La pubblica amministrazione (Autorità per l'Energia) verifica e pubblicizza la riduzione annuale del valore di ICEm di ognuno dei quattro consorzi ed annualmente relaziona pubblicamente sulle attività del consorzio che riduce ICEm meno degli altri.
                                  Nell'indagine si avvale della consulenza gratuita di ENEA, nonché, entro una spesa definita, di quella di istituti universitari e centri di ricerca specializzati.

                                  punC è destinato a crescere, ma solo se l'emissione di gas serra dall'Italia non si riduce di 10 MtCO2eq ogni anno.
                                  Anche un'aumento notevole di punC non provoca, per definizione, aumenti medi del costo di produzione dei vettori energetici.
                                  Provoca tuttavia lo stesso spostamento degli acquisti causato da una carbon tax di pari valore, riducendo quindi di fatto il costo medio d'acquisto di ogni tipo di vettore energetico.
                                  Ultima modifica di ggavioli; 18-09-2009, 21:36.

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                                  • #77
                                    Passo 12 (Esempio dei fornitori d'energia elettrica)

                                    Con queste due mosse, ad esempio, se il consorzio dei fornitori italiani d'energia elettrica ha ICEm=0,5 tCO2/MWh,
                                    per gli acquirenti (tutti) il prezzo medio industriale dell'energia elettrica aumenta solo di
                                    40*0,5 = 20 €/MWh (meno delle attuali accise).
                                    Per le prossime valutazioni numeriche ci si riferisce alla tabella tratta dallo studio ufficiale europeo sui costi di produzione e consumo di carbonio minerale propri delle varie fonti e tecnologie per produrre energie elettrica (allegato a #61)
                                    In effetti, per i fornitori con ICE = 0,2 tCO2/MWh
                                    (es. 45 % GN_a_ciclo_combinato e 55 % eolico; costo medio 80 €/MW )
                                    il costo industriale varia di 0,2*40-(0,5-0,2)*60= -10 €/MWh,
                                    diventando 80-10=70 €/MWh.
                                    Mentre, per i fornitori con ICE = 0,9 tCO2/MWh
                                    (es. 100 % attuali tecnologie a base di carbone minerale; costo medio 55 €/MW)
                                    il costo industriale varia di 0,9*40-(0,5-0,9)*60= +60 €/MWh,
                                    diventando 55+60=115 €/MWh.
                                    L'acquirente che potesse scegliere cosa sceglierebbe?
                                    In tal modo i fornitori d'energia elettrica sono stimolati a modificare le tecnologie produttive con un differenziale pari a quello d'una carbon tax di 100 €/tCO2 cioè (0,9-0,2)*100=70 €/MWh, senza però il corrispondente aumento del prezzo medio 0,5*100=50 €/MWh.
                                    Rispetto alla carbon tax di pari differenziale tra due concorrenti, la conseguenza economica delle differenze tecnologiche tra concorrenti risulta essere più evidente, quindi il sistema differenziale puro è più efficace.
                                    Ovviamente gli acquirenti non subiscono alcun aumento di prezzo medio all'offerta di energia elettrica rispetto all'attuale.
                                    Anzi, indirizzando maggiormente gli acquisti, com'è spontaneo, verso i fornitori che abbassano i prezzi, gli acquirenti riducono il prezzo medio d'acquisto (insieme all'emissione di CO2) anche senza alcun cambio di tecnologia da parte dei fornitori.

                                    Attualmente i fornitori d'energia elettrica sono abilitati all'acquisto di diritti d'emissione in ETS ed ora il prezzo internazionale è circa 15 €/tCO2.
                                    Il differenziale tra i due produttori dovuto all'ETS: (0,9-0,2)*15=10,5 €/MWh è però troppo basso per stimolare un cambio di tecnologie (è circa un terzo di quello che serve per la cattura e lo stoccaggio della CO2, che porterebbe l'emissione da carbone a 0,3 tCO2/MWh).
                                    Oltre a ciò l'ETS a regime (2015) fa crescere il prezzo medio attuale dell'energia elettrica di
                                    0,5*15=7,5 €/MWh, con un esborso complessivo netto per l'Italia di circa
                                    7,5 €/MWh * 300.000.000 MWh/a = 2250 M€/a, che l'Italia si può risparmiare scegliendo subito la politica energetica proposta al posto dell'ETS (vedremo per tutti i settori ETS).
                                    Anche per le altre forme d'energia commerciale (combustibili liquidi, gassosi e solidi) si possono fare valutazioni analoghe.
                                    Ultima modifica di ggavioli; 19-09-2009, 08:51.

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                                    • #78
                                      Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                                      L'acquirente che potesse scegliere cosa sceglierebbe?
                                      L'energia elettrica costa in Italia circa 100 €/MWh per la grande industria e circa 200 €/MWh per il piccolo utente.
                                      Personalmente, tra due fornitori di energia elettrica che prima costavano alla grande industria 115 €/MWh e 85 €/MWh dovevo scegliere il secondo (a base di carbone) perché "l'energia elettrica non ha cattivo odore".
                                      Ma, se i prezzi diventano rispettivamente 100 e 150 €/MWh, non posso avere dubbi a scegliere il fornitore che usa meno carbonio minerale per fornirmi la stessa energia elettrica.
                                      Tuttavia, fatta questa ovvia scelta per avere l'energia elettrica al prezzo migliore, nulla mi spinge efficacemente a consumare meno energia elettrica per ottene gli stessi servizi finali come consumatore, oppure a consumare meno energia elettrica come soggetto economico, per produrre gli stessi beni e servizi da offrire al mercato.
                                      Unico argine ad aumentare i consumi sarebbe finora l'accisa (trasformata in CTo), che aumenta il costo dell'energia elettrica di circa 20 €/MWh.
                                      Ma non mi pare un gran deterrente, anche se nel passato ha contribuito a contenere i consumi pro capite d'energia elettrica in Italia, ad esempio rispetto alla Francia.
                                      Ultima modifica di sensopratico; 19-09-2009, 15:35.

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                                      • #79
                                        Originariamente inviato da sensopratico Visualizza il messaggio
                                        nulla mi spinge efficacemente a consumare meno energia elettrica per ottene gli stessi servizi finali come consumatore
                                        Vedo che le donne hanno senso pratico e penso che tutti gli acquirenti d'energia commerciale ne siano dotati quanto basta.
                                        In verità spero che tu abbia notato che il nuovo stimolo nascente dalle due prime mosse della nuova politica energetica è tutto rivolto ai fornitori di energia elettrica e di combustibili commerciali.
                                        Lo stimolo è tale da creare tra due fornitori la cui differenza di uso del carbonio minerale a pari energia fornita sia di 1 tCO2, una differenza di costi di 100 €.
                                        Avevo indicato in 200 €/tCO2eq lo stimolo totale da applicare all'economia italiana per indurla a ridurre l'emissione attuale di gas serra (circa 500 MtCO2eq/a) di 10 MtCO2eq/a ogni anno.
                                        La restante quota di stimolo cioè 100 €/tCO2eq verrà applicata agli acquirenti d'energia, tenendo conto che, a differenza dei fornitori, essi ora sono già frenati negli acquisti d'energia dalle accise sull'energia, equivalenti a 40 €/tCO2.
                                        Vedrai che le due mosse che descriverò domani saranno sufficienti a smuovere tutti gli acquirenti d'energia (a partire dai maggiori) a rinnovare le proprie tecnologie per ottenere beni e servizi con meno energia.
                                        E senza che un'insieme identico di beni e servizi goduti di fatto venga a costare di più.
                                        Colgo l'occasione per ricordare un'altra fondamentale differenza tra i fornitori e gli acquirenti d'energia commerciale.
                                        Come già ricordato in # 66 in base a dati aggiornati ENEA, i fornitori per ogni t di CO2 evitata a pari energia fornita devono spendere in media 84 € (che poi scaricheranno sugli acquirenti).
                                        Viceversa gli acquirenti se, consumando meno energia a pari servizi finali ottenuti, fanno ridurre di una t l'emissione di CO2, ci guadagnano 118 €.
                                        Così, se la riduzione dell'emissione di 10 MtCO2/a è ottenuta ogni anno per metà dai fornitori e per metà dagli acquirenti d'energia commerciale, i consumatori finali di beni e servizi beneficeranno di una
                                        riduzione di costi di 5M*118-5M*84 = 170 milioni di euro all'anno
                                        rispetto a non aver ottenuto la riduzione d'emissione di 10 MtCO2/a.
                                        Ovviamente i conti migliorano ancora se gli acquirenti d'energia sono più innovativi; la stessa riduzione complessiva può essere data per l'80 % dalle modifiche tecnologiche decise dagli acquirenti d'energia e per il 20 % da quelle operate dai fornitori.
                                        In quel caso, a fronte di una riduzione 10 MtCO2eq/a dell'emissione annuale di gas serra,
                                        il beneficio per i consumatori è: 8M*118-2M*84=776 M€/a.
                                        E' altrettanto ovvio che se si riducesse l'emissione di 10 MtCO2/a solo con i fornitori d'energia commerciale,
                                        i costi per i consumatori crescerebbero di: 10M*84 = 840 M€/a.
                                        ((Qualcuno dice che ridurre l'emissione di CO2 costa troppo e qualcun altro che è un'occasione di sviluppo. .... Dipende!!!))
                                        Ultima modifica di ggavioli; 20-09-2009, 14:41.

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                                        • #80
                                          Passo 13 (Più efficienza nei consumi finali senza innescare inflazione)

                                          La terza mossa della politica energetica proposta è rivolta ai consumatori finali di beni e servizi (ed energia commerciale, causando circa il 30 % delle emissioni di CO2) e deve essere contemporanea alla quarta mossa che riguarda i soggetti economici che forniscono ai consumatori beni e servizi (usando anche loro energia commerciale)
                                          La terza mossa riguarda gli acquirenti non soggetti economici e carica sugli acquisti d'energia commerciale un'addizionale tipica per ogni tipo di vettore energetico
                                          AV=ICEm*punC €/MWh (ICEm è il valore medio nazionale attuale dell'intensità carbonica di quel tipo di vettore energetico).
                                          Tutto l'introito delle addizionali è restituito ai contribuenti persone fisiche.
                                          Precisamente l'introito complessivo per l'erario (dai soli consumatori ora sarebbe circa 0,3*500M*60 = 9000 M€/a) viene fiscalmente neutralizzato restituendolo tutto in parti uguali (circa 9.000M/60M = 150 €/a pro capite) ai singoli individui della popolazione domiciliata (che quindi consuma) in Italia, tramite le persone fisiche a carico delle quali essi sono (per il fisco).
                                          Ovviamente tale restituzione (preventiva a inizio d'anno e senza che le persone fiscalmente capienti lo debbano chiedere) è fatta anche ai non capienti richiedenti e non comporta alcuna nuova attività burocratica, tantomeno indagini sulle abitudini energetiche dei singoli contribuenti.
                                          Per rendersi conto di quanto ciò possa incidere sulle abitudini dei consumatori, si può valutare in circa un terzo del costo totale dell'energia quello ora direttamente pagato dai consumatori, cioè 120.000M/3=40.000 M€/a.
                                          E' evidente che i consumatori che acquistano direttamente proprio 40.000M/60M=667 €/a (la media) di energia commerciale per ogni persona a carico non hanno nessun vantaggio o svantaggio da questa politica energetica, ma chi ne acquista il doppio della media spenderà 150 €/a/P in più d'adesso (prezzo energia + 11 %), mentre chi ne acquista la metà ha un vantaggio di 75 €/a/P (prezzo energia -22 %).
                                          In media per ogni individuo noto al fisco nasce l'opportunità di investimenti differenziali per circa 1500 €/P in tecnologie che durino 10 - 20 anni e che forniscano gli stessi servizi finali riducendo i costi energetici (di oltre il 50 % per i servizi interessati e di almeno il 10 % nella media nazionale).
                                          Se poi la politica energetica rimane adeguatamente stabile (il valore di punC non si riduce col passare degli anni), chi ha risorse economiche disponibili trova conveniente investirle (invece che in dubbi prodotti finanziari) in tecnologie che durino 10 - 20 anni e che forniscano gli stessi servizi finali riducendo di almeno il 50 % i costi energetici collegati.
                                          Diversamente chi usa personalmente molta più energia della media è penalizzato dall'addizionale che aumenta fino al 22 % il costo dell'energia che lui acquista.
                                          ((Le persone fisiche che rifuggono ogni contatto col fisco nulla ricevono e spendono per l'energia il 22 % in più))

                                          I soggetti economici utilizzatori d'energia evitano di pagare l'addizionale sui vettori energetici per gli acquirenti d'energia commerciale, se aderiscono all'opzione "Concorrenza Energetica Palese" offerta in quarta mossa.
                                          E' probabile che una parte di soggetti economici (specie del terziario avanzato e finanziario) preferisca pagare l'addizionale piuttosto che mettersi in concorrenza palese coi suoi naturali concorrenti anche sull'uso dell'energia, ma ovviamente ciò è giustificato solo da una larga evasione dell'IVA.
                                          Calcolando i ritardi di decisione da parte dei soggetti economici con attività a bassa intensità energetica (per ora) ed un'evasione del 20 %, ci si attende per i primi anni un maggior gettito dell'addizionale, cioè circa
                                          (0,3+0,3)*500M*60 = 18 G€/a, con un recupero annuo, per ogni (persona a carico + 1) delle persone fisiche contribuenti, di 300 €/a/P, invece che di soli 150 €/a/P.
                                          In queste condizioni si ha quindi una riduzione temporanea (a carico degli evasori abituali) di (300-150)/667 = circa il 22 % del costo energetico mediamente affrontato dai consumatori ed il consumo pro capite per cui non si hanno aumenti né riduzioni del costo dell'energia risulta il doppio del consumo medio.
                                          Ultima modifica di ggavioli; 20-09-2009, 15:24.

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                                          • #81
                                            Passo 14 (Stimolo ai soggetti economici)

                                            La quarta mossa della politica energetica proposta stimola i soggetti economici verso l'efficienza energetica senza innescare inflazione.
                                            In primo luogo tutti i soggetti economici, cominciando da quelli che si riconoscono in associazioni nazionali di categoria imprenditoriale (alcune centinaia di associazioni), possono evitare l'addizionale al consumo di energia commerciale se, in quanto tra loro diretti concorrenti nell'offrire al mercato prodotti analoghi, si associano in consorzio per stimolare l'innovazione energetica, tramite la "Concorrenza Energetica Palese", che opera come segue.
                                            Il consorzio volontario costituito per un determinato settore merceologico di beni e servizi ha il compito di verificare per ogni soggetto economico consorziato dati già noti alla P.A. (almeno teoricamente) e generalmente pubblici attraverso i bilanci dei soggetti economici:
                                            - Uscite annuali per l'acquisto dei vettori energetici (CE M€/a) usati per produrre beni e servizi (anche intermedi per la filiera);
                                            - Valore Aggiunto annuale generato (differenza tra corrispettivi comunque ricevuti e corrispettivi fatturati pagati = VA M€/a).
                                            Il consorzio, in modo palese per tutti i consorziati e per la P.A., ogni anno rende noti questi due dati per ogni consorziato e per il consorzio.
                                            Il consorzio calcola inoltre l'incidenza economica dell'energia acquistata IE = CE/VA (proporzionale all'intensità energetica dell'attività economica Mtep/M€) per ognuno dei consorziati ed il valor medio per il loro insieme IEm.
                                            Il consorzio conosce, almeno per via statistica, il contenuto medio corrente di carbonio fossile per unità di costo dell'energia commerciale usata in quel tipo d'attività economica CEm tCO2/M€.
                                            L'ENEA fornisce da tempo ampie statistiche aggiornate sui prezzi ed i contenuti di carbonio.
                                            Ad esempio per il Gas Naturale (meglio chiamarlo "metano minerale") acquistato dall'industria
                                            CE = (0,002 tCO2/Nmc)/(0,3 €/Nmc) = 0,006666 tCO2/€ = 6666 tCO2/M€
                                            I consorziati con IE < IEm ricevono dal consorzio un beneficio annuale
                                            BN = punC*CEm*(IEm - IE)*VA €/a
                                            I consorziati con IE > IEm pagano al consorzio una penale annuale
                                            PN = punC*CEm*(IE - IEm)*VA €/a
                                            Il bilancio del consorzio è ovviamente nullo ed i costi di raccolta ed elaborazione dati si possono includere nell'iscrizione alla corrispondente associazione di categoria produttiva.
                                            Nessuna variazione è attesa sui prezzi medi d'offerta al mercato finché non si modificano effettivamente le tecnologie produttive, che generalmente risultano più convenienti delle attuali.
                                            Il 50 % dei consorziati deve ricevere i benefici ed è difficile che rinunci a benefici riconosciuti per legge e non avvii una palese concorrenza nell'offrire al mercato prodotti equivalenti, ma con minor uso d'energia per unità di valore aggiunto.
                                            Se alcuni dei consorziati con intensità energetica maggiore della media non pagano la penale, sono semplicemente esclusi dal consorzio e non sono più esentati dalle addizionali sull'acquisto dei vettori energetici (di per sè destinate ai consumatori), che quindi vengo a costare loro circa il 22 % in più d'adesso.
                                            Generalmente il consorzio riunisce l'intera filiera produttiva del prodotto offerto al consumo, dalle materie prime (esclusa l'energia commerciale) alla presentazione finale al consumo, quindi l'eventuale segmentazione della filiera non comporta distorsioni del prezzo del prodotto offerto al mercato.

                                            Ad esempio, supponiamo che due medie industrie concorrenti con valore aggiunto ognuna di 10 M€/a abbiano
                                            IE=0,18 e 0,22 e che il consorzio a cui aderiscono abbia IEm=0,2 e sia CEm = 5000 tCO2/M€.
                                            I valori aggiunti di consorziati con queste caratteristiche, in forza della Concorrenza Energetica Palese, variano come segue.
                                            Con IE = 0,18 il Valore Aggiunto (e l'utile) cresce di
                                            BN = 60*5000*(0,2-0,18)*10= 60.000 €/a = 6 % di VA
                                            Con IE = 0,21 il Valore Aggiunto (e l'utile) cala di
                                            PN = 60*5000*(0,22-0,2)*10= 60.000 €/a = 6 % di VA
                                            Rispetto ad adesso i due concorrenti sono stimolati a modificare le tecnologie produttive con un differenziale pari a quello d'una carbon tax del valore di punC = 60 €/tCO2 (nel caso specifico il 12 % di VA), però senza aumenti medi dei prezzi al consumo.
                                            Peraltro già ora, per l'incidenza media delle accise sui prodotti energetici e delle tasse sui mezzi di trasporto, i soggetti economici in media sono stimolati a contenere l'uso dell'energia in proporzione a TCo=40 €/tCO2 e continueranno ad esserlo, quindi per un totale di 100 €/tCO2.
                                            Ultima modifica di ggavioli; 21-09-2009, 09:55.

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                                            • #82
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                                              Ho ancora molte ombre però, per esempio nel campo dei trasporti.
                                              In attesa della macchina elettrica, che ognuno potrebbe attaccare alla propria spina, nel breve periodo (10/15 anni),dovrebbe essere più conveniente passare ad un'automobile a metano, di cui potrebbe esserci una discreta disponibilità sul territorio, grazie all'aumento ed alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento.
                                              Senza un'adeguata rete di distributori però, le case automobilistiche non punteranno più di tanto sull'auto a metano, senza un certo numero di potenziali clienti, nessuno si sognerà di aprire nuovi distributori.
                                              C'è ancora spazio per interventi di indirizzo politico particolare o potrebbe anche questo trovare posto nel quadro più generale?

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                                              • #83
                                                La discussione sulla mia proposta non è rinviabile

                                                Originariamente inviato da Osvaldo Visualizza il messaggio
                                                Ho ancora molte ombre però, per esempio nel campo dei trasporti. ...... C'è ancora spazio per interventi di indirizzo politico particolare o potrebbe anche questo trovare posto nel quadro più generale?
                                                Il modello di politica energetica proposta in "quattro mosse" negli interventi #74, #75, #79, #80, è denominato "Politica energetica differenziale" ed agisce sostanzialmente sulla emissione di gas serra dovuta all'uso dei composti minerali del carbonio.
                                                Se si osservano i dati statistici riferiti all'Italia (StoricoCO2Italia.pdf allegato al #30), si nota che l'emissione italiana di CO2 da carbonio minerale è cresciuta da 435 MtCO2/a nel 1990 a 493 MtCO2/a nel 2005.
                                                Tuttavia l'emissione italiana di altri gas serra (CH4, N2O, .....) è stata equivalente a 82 MtCO2/a nel 1990 e 86 MtCO2/a nel 2005.
                                                Peraltro l'uso del territorio, il cambio d'uso e la gestione delle foreste (LULUCF) ha permesso di riassorbire 80 MtCO2 nel 1990 e 110 MtCO2 nel 2005.
                                                In realtà, con azioni pubbliche analoghe alle "quattro mosse" è possibile agire in modo efficace per ridurre l'emissione degli altri gas serra, ed agire con altrettanta efficacia per aumentare il riassorbimento di CO2.
                                                Tuttavia, almeno per i prossimi dieci anni, visti i tendenziali degli altri gas serra e del bioriassorbimento, ci si può accontentare di ridurre di 10 MtCO2/a ogni anno l'emissione di CO2 proveniente da composti minerali del carbonio, ottenendo così un'almeno pari riduzione del bilancio netto italiano dei gas serra, che dal 1990 al 2005 è passato da 437 a 470 MtCO2eq/anno.
                                                Il quadro delle azioni pubbliche in campo energetico si completa con quella prevista per promuovere direttamente l'adozione delle "macchine di produzione industriale energeticamente più efficienti" da parte degli utilizzatori e dei piccoli produttori d'energia commerciale.
                                                Tutte queste azioni pubbliche sono impostate come stimoli differenziali sui soggetti che hanno la possibilità tecnica di operare coscientemente le scelte più opportune, senza modificare il costo medio dei beni e dei servizi forniti al mercato per svolgere una data funzione.
                                                Pertanto, senza entrare ora nei particolari di tali azioni differenziali su tendenze meno critiche di quelle affrontate dalla "Politica energetica differenziale",
                                                credo che ormai sia tempo che i non pochi lettori di questa discussione esprimano pareri complessivi sulla "Politica energetica differenziale" finora illustrata.
                                                Naturalmente, se nei miei interventi si possono riscontrare errori che indeboliscono od annullano l'efficacia della mia proposta, o se alcuni interventi sono di comprensione inutilmente difficile, siete pregati di evidenziare errori ed incomprensibilità.
                                                Spero però di vedere anche, se la mia proposta lo merita, interventi pubblici di approvazione.
                                                Come ho già detto in altre piazze telematiche, spero di non dovermi accontentare di un silenzio - assenso.
                                                Ultima modifica di ggavioli; 22-09-2009, 01:53.

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                                                • #84
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                                                  Quanto "punC" (prezzo unico nazionale di scambio del carbonio minerale) sia rilevante e quindi decisivo nel richiedere a tutti i competitori naturali un continuo aggiornamento delle tecnologie verso la maggior efficenza energetica, dipende ovviamente dall'incidenza iniziale del costo dell'energia sui costi di produzione di quel particolare settore merceologico e dalla dispersione di tale incidenza all'interno dello specifico gruppo di competitori noti (e naturali).
                                                  I limiti tecnologici dell'efficienza energetica sono raggiunti solo quando l'aumento del beneficio (compreso quello dato dalla politica energetica) a cambiare tecnologie risulta effettivamente minore (a parità di altre risorse limitate) che ad aumentare la produzione.
                                                  Ovviamente anche la variabilità della capacità del mercato di sbocco ad assorbire la produzione gioca un ruolo importante nelle decisioni a breve termine del soggetto economico.
                                                  Dal punto di vista macroeconomico la velocità d'aggiornamento tecnologico è quindi il risultato di molteplici fattori e modificare il differenziale economico dell'energia tra concorrenti naturali (o prezzo differenziale dell'energia) può portare a qualunque velocità d'aggiornamento, che comunque deve rispettare i tempi d'ammortamento delle tecnologie da abbandonare.
                                                  Il fatto che la politica energetica fin qui illustrata stimoli in modo paritetico i fornitori e gli utilizzatori dell'energia commerciale rende sostanzialmente più remoto il pericolo che strutture tecnologiche operative siano abbandonate prima del loro tempo di vita tecnica (fatto di per sé negativo).
                                                  Infatti se lo stimolo differenziale agisse solo sulle tecnologie produttive dell'energia commerciale o solo su quelle che la usano, a pari riduzione annuale dell'emissione di gas serra dal territorio, la vita media disponibile per le attuali applicazioni tecnologiche dovrebbe essere dimezzata.
                                                  In generale le strutture tecnologiche attuali devono essere comunque sostituite o ristrutturate entro 60 anni (circa 40 anni per l'edilizia, 10 anni per gran parte delle tecnologie che usano l'energia, da 10 a 60 anni gli impianti per produrre energia) e, se i soggetti interessati passano alla tecnologia più efficiente al momento di rinnovare i beni strumentali, non si devono sopportare sovracosti del cambiamento di tecnologia per anticipato ammortamento di quella da sostituire.
                                                  Un punto fondamentale per ogni strategia a lungo termine tendente a far compiere determinate scelte è l'assenza di date limite o di occasioni irripetibili (comuni invece a molte politiche attuali).
                                                  E' infatti evidente che ogni decisore interessato ad una data scelta la compie spontaneamente al momento per lui più opportuno, essendo chiari e costanti da tempo i termini della scelta (incluso un valore di punC che non decrescendo non riduce la competitività dell'investimento).
                                                  Anche poter evitare premature dismissioni di beni strumentali, significa
                                                  ridurre i costi per raggiungere i 10 MtCO2/a di riduzione annuale dell'emissione di gas serra dall'Italia.
                                                  Ultima modifica di ggavioli; 25-09-2009, 11:41.

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                                                  • #85
                                                    Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                                                    credo che ormai sia tempo che i non pochi lettori di questa discussione esprimano pareri complessivi sulla "Politica energetica differenziale" finora illustrata.
                                                    Naturalmente, se nei miei interventi si possono riscontrare errori che indeboliscono od annullano l'efficacia della mia proposta, o se alcuni interventi sono di comprensione inutilmente difficile, siete pregati di evidenziare errori ed incomprensibilità.
                                                    Raccolgo la sollecitazione di ggavoli, ma devo rilevare che il proseguo del suo ragionamento non affronta le problematiche o intreccia i percorsi proposti dai miei precedenti interventi (messaggi 32,33,46,47,48) ai quali rimando (visto che su questo messaggio sono già "lungo") per capire meglio il perché del mio scetticismo.
                                                    Ritengo che il ragionamento di ggavoli, pur molto valido nella teoria (sui numeri non ho controllato bene, ma non ho motivo di dubitare), nasca su basi errate.
                                                    Il “peccato originale” consiste nel trattare l’argomento come se ci trovassimo in un teorico regime di “libero mercato”.
                                                    La realtà è che nell’attuale vero sistema “capitalistico di mercato” non ha senso, come fa ggavoli, parlare di “competitori naturali” e meno che mai porre produttori e consumatori di energia sullo stesso piano. In tale sistema, parlare di “scelte spontanee” (al di fuori cioè del sistema di incentivazione/agevolazione fiscale), per i soggetti economici produttori/distributori di energia ed anche per i consumatori è un presupposto errato. Qualunque politica che “stimoli in modo paritetico i fornitori e gli utilizzatori dell'energia commerciale” è utopica. Eventuali risparmi dovuti a maggiore efficienza, lato produzione, andrebbero ad aumentare le rendite degli azionisti delle multinazionali del settore energetico e non certo in minori esborsi da parte dei consumatori, che viceversa si troverebbero a pagare i costi della maggiore efficienza (come oggi pagano quelli dell’inefficienza). Così andrebbe, perché così funziona il sistema “capitalistico di mercato”: l’aumento della rendita azionaria è l’unica vera “mission” delle multinazionali. A loro ci consegnerebbe una politica energetica totalmente centralizzata.
                                                    Come ho già avuto modo di dire, ritengo invece che le scelte sulle politiche energetiche debbano essere decentrate, così come ovviamente la produzione e la distribuzione. In un tale ambito, più ristretto e collegato al territorio (con regole locali che seguano sì indicazioni del governo centrale, ma si differenzino fra di loro), si può più facilmente creare una vera competizione di “piccoli” produttori, che sia più vicina ad un regime di “libero mercato”.
                                                    Uno degli intenti di ggavoli è rimediare alla “complicazione di affari semplici”, ma, dati questi presupposti, il suo ragionamento rischia di ottenere il risultato contrario, ossia un’eccessiva “semplificazione di affari (purtroppo) complessi”. Non continuiamo ancora ad illuderci che il mercato possa autoregolarsi: la crisi attuale non ci ha insegnato niente ? Se è vero che potremo uscirne anche grazie alla “green economy”, per adesso bisogna difendere le politiche che vedono partecipi consumatori e piccole/medie imprese del settore.
                                                    Chiedo a ggavoli: ritiene che il loro mantenimento (o meglio: la loro evoluzione e delocalizzazione) non possa essere compatibile con una “politica energetica efficace e duratura”, almeno in una fase (decennale) di “lancio” delle FER ?
                                                    Secondo me, se ben gestite localmente, possono addirittura rappresentare la soluzione.
                                                    Concludo con alcune “mie certezze”:
                                                    - noi piccoli consumatori dobbiamo smetterla di pensare che ciò che succede al di là della presa elettrica o della caldaia “sono problemi di altri”. Chi continua ad avere questo atteggiamento è giusto che paghi molto l’energia, anche dopo aver applicato tutte le buone pratiche di risparmio domestico……
                                                    - voi imprenditori/installatori (su questo forum ce ne dovrebbero certo essere molti in ascolto…..) dovete migliorare il livello di assistenza e mettere in grado l’utente di gestirsi le situazioni più elementari, rifuggendo dalla tentazione di “battere il ferro finché è caldo”, perché nel lungo periodo ciò non paga……
                                                    - insieme (con le rispettive associazioni di “portatori di interesse”) bisogna proclamare la necessità di regole chiare e pretendere che possano avere una applicazione “snella” e duratura (incidendo direttamente dove possiamo: ossia sulle politiche locali), ma mai pensare di non rispettarle; altrimenti è il caos e la definitiva abdicazione a favore delle multinazionali dell’energia.
                                                    Saluti.

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                                                    • #86
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                                                      Qualunque politica che “stimoli in modo paritetico i fornitori e gli utilizzatori dell'energia commerciale” è utopica. Eventuali risparmi dovuti a maggiore efficienza, lato produzione, andrebbero ad aumentare le rendite degli azionisti delle multinazionali del settore energetico e non certo in minori esborsi da parte dei consumatori, che viceversa si troverebbero a pagare i costi della maggiore efficienza (come oggi pagano quelli dell’inefficienza). Così andrebbe, perché così funziona il sistema “capitalistico di mercato”: l’aumento della rendita azionaria è l’unica vera “mission” delle multinazionali. A loro ci consegnerebbe una politica energetica totalmente centralizzata.
                                                      ...........
                                                      Concludo con alcune “mie certezze”:
                                                      - noi piccoli consumatori dobbiamo smetterla di pensare che ciò che succede al di là della presa elettrica o della caldaia “sono problemi di altri”. Chi continua ad avere questo atteggiamento è giusto che paghi molto l’energia, anche dopo aver applicato tutte le buone pratiche di risparmio domestico……
                                                      - voi imprenditori/installatori (su questo forum ce ne dovrebbero certo essere molti in ascolto…..) dovete migliorare il livello di assistenza e mettere in grado l’utente di gestirsi le situazioni più elementari, rifuggendo dalla tentazione di “battere il ferro finché è caldo”, perché nel lungo periodo ciò non paga……
                                                      - insieme (con le rispettive associazioni di “portatori di interesse”) bisogna proclamare la necessità di regole chiare e pretendere che possano avere una applicazione “snella” e duratura (incidendo direttamente dove possiamo: ossia sulle politiche locali), ma mai pensare di non rispettarle; altrimenti è il caos e la definitiva abdicazione a favore delle multinazionali dell’energia.
                                                      Scusa, ma cerco di essere pratico.
                                                      Cosa ne dici in pratica dei risultati attesi indicati nel mio intervento #76?
                                                      In che modo gli attuali fornitori d'energia elettrica sfuggirebbero alla concorrenza energetica imposta per legge?
                                                      Pensi davvero che i fornitori d'energia elettrica all'Italia preferiscano piuttosto pagare l'ETS, solo per il gusto di farla pagare a noi?
                                                      Posto che non esiste più il monopolio di produzione dell'energia elettrica, vuoi che ti spieghi la posizione di un'eventuale minoranza (10 %) di produttori a base di FER?


                                                      Ma se rivendichi la necessità di politiche energetiche radicate il più possibile al territorio ed alle filiere corte di FER, sfondi una porta apertissima.
                                                      Il punto è che personalmente ritengo necessaria sia la sussidiarietà verticale, sia quella orizzontale. Quindi non solo:
                                                      quanto può essere efficacemente ottenuto localmente non ha senso cercarlo più lontano,
                                                      ma anche:
                                                      le conoscenze tecniche di un settore merceologico non possono essere gestite da chi ne è fuori.
                                                      La comunità territoriale competente deve chiedere ad ogni soggetto economico risultati misurabili,
                                                      ma non può pretendere di scegliere le tecnologie che ciascuno deve usare per ottenerli.
                                                      Leggi poi i miei prossimi interventi e discutiamone.
                                                      Ovviamente mi rileggerò i tuoi.
                                                      Ultima modifica di ggavioli; 26-09-2009, 17:43.

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                                                      • #87
                                                        Dal globale al locale

                                                        Rispondendo a bedi con l'intervento #34, valutando quanto si doveva chiedere alla miglior politica energetica scrivevo:
                                                        "Credo che una caratteristica assolutamente appetibile di una tale normativa sarebbe quella di poter dosare lo stimolo anche solo localmente, senza che sorgano effetti collaterali che peggiorino i rapporti economici con i territori limitrofi, o con cui sono rilevanti i rapporti economici (esportazioni+importazioni=interscambio superiore al 10 % del PIL del territorio)."
                                                        Qualche interlocutore avrà notato (ed avrei gradito l'osservazione) che
                                                        la "politica energetica differenziale" è tipicamente attivabile all'interno di qualunque ambito in cui agiscano soggetti che tra loro si conoscono e che si possono considerare alla pari per le scelte tecnologiche disponibili.
                                                        Esamino qui esplicitamente questa caratteristica della "politica energetica differenziale" finalizzata a ridurre l'emissione diretta ed indiretta di gas serra da un territorio, o da un settore merceologico.
                                                        L'ambito può venir ristretto al livello più opportuno, non solo per il tipo di settore merceologico, ma anche per l'ampiezza del territorio o per la combinazione delle due restrizioni.
                                                        Anche in un piccolo territorio e rimanendo valide le norme nazionali, può essere attuata la politica energetica differenziale, senza creare particolari imposizioni (economiche e burocratiche) agli abitanti del territorio e certamente senza rischi per il bilancio pubblico dell'Ente Locale competente.
                                                        L'attuazione della "politica energetica differenziale" è talmente indipendente dall'ampiezza dell'ambito d'attuazione, che l'Italia può attuarla senza alcuna perdita di competitività dei prodotti italiani all'estero.
                                                        Questa politica può essere proiettata anche nell'ambito locale a politiche nazionali costanti, come ho già fatto presente nel mio intervento del 20/07/2009 in
                                                        ConcorrenzaEnergetica | Il Cannocchiale blog
                                                        "Anche se non fosse ancora approvata una politica energetica differenziale nazionale, a ciascuna regione dovrebbe essere consentito applicare questo tipo di politica energetica (che non comporta costi per i bilanci regionali), specialmente se ad ognuna viene assegnato un calendario di riduzione della CO2.
                                                        In tal modo ogni regione potrebbe stimolare subito l'economia e gli abitanti del suo territorio e conseguire tutti gli obbiettivi del suo programma energetico, senza caricarli di maggiori costi, o di maggiore burocrazia.
                                                        Quando i consorzi di fornitori di beni e servizi hanno particolare rilevanza per una regione (ad esempio i produttori di piastrelle ceramiche in Emilia Romagna) la regione interessata deve essere espressamente aggiornata sulle attività del consorzio e deve poter favorire la diffusione delle conoscenze utili a ridurre l'incidenza media dei costi energetici nei settori economici corrispondenti, coinvolgendo Università, Centri di ricerca ed associazioni impreditoriali interessate.
                                                        E' opportuno che anche le amministrazioni provinciali e comunali impostino le politiche energetiche locali su base differenziale, a partire dai consumi di loro competenza, evitando il più possibile di imporre ai cittadini particolari tecnologie, con termini temporali tassativi - derogabili, con relativi controlli burocratici, multe ed inevitabili inefficienze complessive."
                                                        Nel prossimi interventi farò esempi di azioni pubbliche locali a favore di efficienza energetica e FER, tra questi:
                                                        - Più efficienza energetica nei servizi pubblici
                                                        - Promozione di biocarburanti a filiera corta
                                                        - Più efficienza nei servizi residenziali condominiali
                                                        - Meno acquisti di gas ed elettricità dei residenti
                                                        - Isola elettrica territoriale
                                                        Si vedrà che questi obbiettivi di riduzione dell'emissione diretta ed indiretta di gas serra dal territorio di competenza sono più facilmente raggiunti con la "politica energetica differenziale", che agisce più efficacemente sui soggetti interessati, con minimi effetti collaterali negativi.
                                                        Ultima modifica di ggavioli; 27-09-2009, 13:29.

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                                                        • #88
                                                          Risposta su risultati attesi (primo pezzo)

                                                          Per adesso mi limito a rispondere alle domande che ggavoli mi pone al messaggio #85, anche se mi sembra che il suo successivo messaggio si faccia ancora più interessante.
                                                          ggavoli chiede:
                                                          Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                                                          Cosa ne dici in pratica dei risultati attesi indicati nel mio intervento #76?

                                                          Vorrei che non rimanessero solo teoria, ma temo che non possano essere attuati. Anche se ritengo valida la teoria della “politica energetica differenziale”, io non mi attenderei i medesimi risultati. Perché non sono vere le condizioni di partenza (non esiste un vero regime di libera concorrenza per i servizi “vitali”; non siamo in un regime di “libero mercato”, ma di “capitalismo di mercato” e la differenza è notevole).>>
                                                          In che modo gli attuali fornitori d'energia elettrica sfuggirebbero alla concorrenza energetica imposta per legge?

                                                          Intendi dire attualmente ?>>
                                                          Facendo “cartello” ed esercitando pressioni lobbistiche sui governi centrali. Così è sempre stato per i servizi “vitali” (energia, salute) nei sistemi capitalistici di mercato. La legge lo impedirebbe, ma non è facile individuare gli accordi “sotterranei” e colpire chi la raggira. Però sono certi ed evidenti gli effetti in quasi tutti i settori merceologici “essenziali” ed ogni tanto uno “scandalo” fa venire tutto alla luce. Non è solo un’accusa delle associazioni di consumatori e dell’opposizione, ma anche delle parti più deboli delle filiere e gran parte della maggioranza concorda.>>
                                                          O intendi dire applicando la “politica energetica differenziale” ?>>
                                                          Non penso che l’imposizione di un “consorzio” possa impedire che a monte già esista un “cartello”. Ed il risultato non sarebbe comunque una ottimizzazione dei costi di produzione energetica, ma l’obiettivo rimarrebbe l’aumento della rendita nel breve-medio periodo (ossia la “mission” delle multinazionali), ottenibile tenendo alto il valore medio dei costi al consumo.>>
                                                          Pensi davvero che i fornitori d'energia elettrica all'Italia preferiscano piuttosto pagare l'ETS, solo per il gusto di farla pagare a noi?

                                                          No, ma quale gusto……. il consumatore finale ed i suoi interessi non sono proprio presi in considerazione dalle multinazionali; l’unico obiettivo sono i dividendi degli azionisti nel breve-medio periodo: la politica energetica centralistica dell’attuale governo è già orientata dal “cartello” delle multinazionali fornitrici. Perché mai un governo con un così alto consenso rischierebbe un bel po’ di punti percentuali su scelte non certo popolari ? Fra l’altro mi risulta che la scelta nucleare sfugga ai meccanismi dell’ETS; quindi perché dovrebbero cambiare politica energetica ? Il nucleare per il consumatore ed il paese sarà solo un costo per almeno quindici anni, ma per le multinazionali inizierà ad essere un guadagno dal momento della posa della prima pietra…… E’ un errore pensare che sarà un loro investimento: sono convinto che saranno i consumatori a pagare la fase di transizione verso tecnologie meno emissive e ciò che non mi va giù è appunto il fatto che a decidere sia una politica centralista che impone una bella quota di nucleare. Riguardo alle tecnologie classiche di trasformazione energetica (che comunque continueranno ad avere un’alta incidenza percentuale sul mix), in questo contesto, è più probabile attendersi dalle multinazionali un’interruzione degli investimenti orientati alla maggiore efficienza, mantenendo in produzione solo gli impianti più moderni e smantellando via via i più antiquati.>>
                                                          Posto che non esiste più il monopolio di produzione dell'energia elettrica, vuoi che ti spieghi la posizione di un'eventuale minoranza (10 %) di produttori a base di FER?

                                                          Distinguerei in base al livello di tecnologia necessario per trasformare una determinata fonte energetica: più è alto, più i possibili fornitori/produttori diminuiscono. Che poi sia un monopolio o un duopolio o poco più, non risolve. Si tratta sempre di multinazionali che hanno tutto l’interesse ad accordarsi e sono così poche che per loro è anche semplice e poco rischioso farlo. Non possono essere vicine al consumatore, che ha esigenze contrastanti con la loro “mission”. L’attuale posizione dell’eventuale minoranza posso immaginarmela…… ma con politiche energetiche (locali) più vicine alle esigenze del consumatore/cittadino (massimo sostegno all’utilizzo delle FER ed a una parallela crescita della filiera produttiva) possiamo tentare di uscire da una dipendenza che rischia di escludere del tutto la popolazione dalle scelte.>>
                                                          Per questo mi piacerebbe che fossero “decisori locali” a scegliere le politiche energetiche locali: ci sono zone dove quella percentuale può farcela a divenire maggioritaria, e quindi a “fare scuola”.>>
                                                          (continua.......)

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                                                          • #89
                                                            Risposta su risultati attesi (secondo pezzo)

                                                            (....prosegue)
                                                            Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                                                            Ma se rivendichi la necessità di politiche energetiche radicate il più possibile al territorio ed alle filiere corte di FER, sfondi una porta apertissima. Il punto è........

                                                            Concordo pienamente ed è bene chiarisca meglio il mio pensiero, perché il continuo richiamo al “locale” mi fa forse apparire come un federalista convinto. Assolutamente no; però vorrei un decentramento delle politiche energetiche (indubbiamente affiancato da una sussidiarietà; anche se parzialmente “contabilizzata” in un qualche modo, affinché nessuna regione si “disimpegni”) per i seguenti motivi:>>
                                                            - non mi va di dover sottostare a scelte politiche centralistiche di tipo “totalitario” (avete un altro aggettivo per scelte di “maggioranza” che stravolgono il risultato di un referendum popolare ?)>>
                                                            - non mi va che un servizio “vitale” sia gestito centralmente e totalmente da multinazionali.>>
                                                            le conoscenze tecniche di un settore merceologico non possono essere gestite da chi ne è fuori.
                                                            La comunità territoriale competente deve chiedere ad ogni soggetto economico risultati misurabili,
                                                            ma non può pretendere di scegliere le tecnologie che ciascuno deve usare per ottenerli.
                                                            Su questo concordo solo parzialmente. E ciò dipende ancora in primo luogo dalla differenziazione delle politiche fra centro e periferia. Mi fanno un po’ paura proprio quei settori merceologici così “distanti” dal consumatore da escluderlo del tutto dalla gestione (finanche non capire assolutamente la genesi del “prodotto”). In questo senso vanno le “mie certezze” di cui a fine messaggio #84 e la mia critica alla pubblicità ENEL di cui al #46. In secondo luogo dipende dall’esperienza personale di “consumatore/risparmiatore/produttore”, che mi fa sentire le FER molto più “vicine” ed ha fatto aumentare in me il livello di responsabilizzazione sul consumo delle risorse. Penso di essere in buona compagnia: molte FER sono oramai facilmente gestibili a livello domestico. Quasi tutte le ditte idrauliche ed elettriche hanno a listino impianti solari termici, a biomasse e fotovoltaici (ecco il seme della vera concorrenza…… spero che cresca ed una certa parte faccia un salto di qualità, ampliando la propria offerta e passando dalla semplice installazione alla produzione di componenti, finanche alla microproduzione energetica diretta). Mio figlio, liceale minorenne, ha quasi autocostruito l’impianto fotovoltaico familiare, perfettamente funzionante, solo studiando un po’ dopo aver seguito i tecnici che montavano quello condominiale, e acquistando componenti su web. Le pratiche me le ha fatte (gratuitamente) un’agenzia pubblica locale costituita per promuovere le FER e mi hanno spiegato la successiva gestione (es.: cadenza dei pagamenti CE e SSP, ecc.). Gli Enti Locali (Regione FV e Provincia ST) mi hanno fatto avere la loro quota di incentivi in tempi lunghi, ma accettabili. In conclusione, un investimento sostenibile con rientro in un tempo inaspettato ed una certezza: fare si può, dipende da tanta volontà e solo un po’ di capacità.>>
                                                            Infine, perché mai la comunità territoriale dovrebbe essere esclusa dalle scelte tecnologiche (almeno a livello di fonte energetica utilizzata) ? E’ sacrosanto il diritto delle comunità a protestare per qualsiasi imposizione localizzativa di grosse centrali che venga dal governo centrale. E faccio notare che le FER generalmente non pongono di questi problemi da cui comunque, se non se ne delega condivisione e processo partecipativo agli organismi locali, non se ne esce indenni. Inoltre, chi più di un (buon) governo locale può agevolare lo sviluppo delle filiere energetiche più idonee alle peculiarità del proprio territorio ?>>
                                                            Saluti

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                                                            • #90
                                                              Originariamente inviato da bedi Visualizza il messaggio
                                                              Perché mai un governo con un così alto consenso rischierebbe un bel po’ di punti percentuali su scelte non certo popolari?

                                                              Non so a quali scelte politiche impopolari tu pensi che io intenda spingere i "decisori politici".
                                                              Spero tu abbia letto per intero il mio intervento #74, da cui stralcio alcuni paragrafi:
                                                              "Nella prima mossa si azzerano tutti gli "uffici complicazioni affari semplici" ...... genericamente correlati alla produzione ed all'uso dell'energia commerciale.....
                                                              Contestualmente, il corrispondente bilancio netto degli introiti pubblici (le accise sui prodotti energetici ed il bollo sui mezzi di trasporto si sono calcolati in circa 20 G€/a [miliardi di euro all'anno] al netto dei costi burocratici di gestione) viene convertito in "carbon tax originaria", applicata rigorosamente senza esenzioni......
                                                              I risultati immediati di questa prima mossa sono:
                                                              - riduzione del prelievo fiscale di circa 10 miliardi di euro all'anno, senza ridurre l'introito netto per lo stato;.....
                                                              La CTo = 40 €/tCO2 è destinata a rimanere invariata nel tempo e ciò comporta una progressiva riduzione dell'attuale prelievo fiscale, che viene ridotto subito dagli attuali circa 30 a 20 G€/a per arrivare a 4 G€/a nel 2050, quando l'emissione totale dall'Italia dovrà essere ridotta da 500 a 100 MtCO2/a. [dell'80 %]"
                                                              Vorrei un giudizio di merito sull'impopolarità di questa prima mossa.
                                                              O quale lobby la vorrà contrastare, visto che la CTo ovviamente rimarrà (pur più bassa) a carico degli acquirenti d'energia commerciale; proprio come adesso le accise ed il bollo auto.
                                                              Le accise sono poi un perfetto ufficio complicazione affari semplici, che costa molto a stato e contribuenti perfino in caso d'esenzione.

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