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Politica Energetica efficace e duratura

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  • #91
    Originariamente inviato da bedi Visualizza il messaggio
    Fra l’altro mi risulta che la scelta nucleare sfugga ai meccanismi dell’ETS; quindi perché dovrebbero cambiare politica energetica ?

    Lo ammetto, sto chiedendo un cambio di politica energetica e cerco di dimostrare che la mia proposta è migliore delle politiche attuali per tutti (anche per i fornitori d'energia commerciale).
    Fra l'altro la politica che propongo rende praticamente impossibile l'attuale elettronucleare e capisco che a qualche nostalgico d'accentramento dei poteri non piaccia affatto.
    Infatti, come è sempre avvenuto finora, le centrali nucleari sono costruite solo se lo Stato impegna i soldi di tutti noi per finanziarle, o per garantir loro sufficienti guadagni (che è lo stesso e paghiamo sempre noi).
    Lo farebbero anche soggetti economici privati, ma non a loro rischio.
    Ti assicuro che non è certo l'attuale ridicolo differenziale dell'ETS (che crea un vantaggio di meno di 10 €/MWh rispetto al carbone) che può convincere degli imprenditori avveduti a mettere soldi propri ed a proprio rischio in centrali nucleari del tipo attuale.
    Ho sviluppato il ragionamento sulla non fattibilità degli investimenti privati in centrali elettronucleari negli interventi #11, #14 e #15 della discussione
    http://www.energeticambiente.it/discussioni-sui-massimi-sistemi-del-mondo-energetico/14721306-articolo-del-sole-24-ore.html
    Pur invitandoti a leggere l'intera discussione, stralcio alcuni paragrafi dei citati interventi, che fotografano le mie conclusioni sul tema:
    "E' quindi certamente significativo il fatto che (con costi del petrolio adeguatamente alti): "le energie rinnovabili hanno attirato 71 miliardi di dollari di capitali privati in tutto il mondo nel 2007, mentre il nucleare ha attirato zero dollari."
    Effettivamente, oltre ai problemi tecnici non risolti dalla tecnologia nucleare ora disponibile, quelli economici nascono ad esempio dal fatto che una centrale a progetto attuale potrebbe entrare in funzione solo tra 10 anni e trovarsi obsoleta tra 30, quando i sostenitori del nucleare affermano che saranno pronte quelle che risolveranno i problemi tecnici [principalmente di sicurezza a lungo termine].
    E' ovvio che nessun privato può affrontare il rischio di dismettere un impianto ad un terzo della sua vita tecnica [60 anni](ciò di fatto triplica il costo del MWh) senza adeguate assicurazioni statali.
    Peraltro quale stato può assicurare che tra venti o trent'anni una legge od un referendum popolare non blocchi il funzionamento di tutte le centrali nucleari obsolete e quindi assai più pericolose di quelle di nuovo modello?
    ......."Costruire i reattori non ha molto senso a meno che non sia qualcun altro a pagare.".......
    .......Anche se tutti i governi decidessero di fare nuove centrali nucleari, il raddoppio non avverrebbe in meno di dieci anni e tra venti anni difficilmente il nucleare potrebbe superare il 60 % dell'attuale richiesta d'energia elettrica, senza aver ancora risolto i problemi tecnici che finora ne hanno bloccato lo sviluppo.
    Tra questi il fatto che le riserve note di minerale di Uranio economicamente estraibile, con l'attuale tecnologia nucleare bastano per poco più di 80 anni per le centrali attuali e quindi per soli 20 anni per il quadruplo.
    Poi quanti anni serviranno per sostituire tutte le centrali di tipo vecchio con quelle di tipo nuovo?
    Quindi costruendo altre centrali nucleari di tipo vecchio o progettandone di tipo nuovo, non si riesce a garantire l'energia elettrica richiesta nel 2030 meglio che investendo sulle FER .
    Anzi investire in altre centrali nucleari di tipo vecchio rischia di ritardare la ricerca sul nucleare nuovo e di far mancare le sovvenzioni eventualmente necessarie per lo sviluppo delle centrali elettriche da FER."
    Queste sono per me le ragioni fondamentali per cui le centrali nucleari non si faranno se, come espressamente previsto dalla prima mossa della politica energetica differenziale (PED) da me proposta:
    "Nella prima mossa si azzerano ....... e qualunque futuro intervento economico, o garanzia statale, nella produzione ed uso dell'energia commerciale con particolari tecnologie."
    Nella PED si prevede che ogni tecnologia stia sul mercato al suo prezzo industriale modificato solo dal differenziale per l'uso del carbonio fossile.
    E' ben evidente che, mentre le FER hanno nicchie di mercato in cui svilupparsi, l'elettronucleare civile deve forzatamente confrontarsi con le grandi centrali e cedere energia alle grandi dorsali di distribuzione.
    Tu ripeti più volte che per le grandi società energetiche, presumibilmente in cartello tra loro, "l’obiettivo rimarrebbe l’aumento della rendita nel breve-medio periodo (ossia la “mission” delle multinazionali)".
    Come potrebbero queste multinazionali "miopi" fare a loro rischio investimenti che:
    - si ammortizzano in 60 anni,
    - sono improduttivi per i primi 10 anni dall'impegno iniziale,
    - si prevede che diventeranno tecnicamente sorpassati entro 30 anni,
    - potrebbero essere resi inutili da una legge o da un referendum appena c'è una miglior tecnologia (prima di 30 anni) od al primo incidente nucleare.
    Ultima modifica di ggavioli; 04-10-2009, 19:08.

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    • #92
      Originariamente inviato da bedi Visualizza il messaggio
      perché mai la comunità territoriale dovrebbe essere esclusa dalle scelte tecnologiche (almeno a livello di fonte energetica utilizzata) ?
      Forse non mi sono espresso bene.
      O la mia affermazione ha bisogno di esempi concreti.
      Intanto credo che debba essere chiaro che la "politica energetica differenziale" PED è basata sulla puntuale conoscenza da parte della pubblica autorità territoriale (e da ogni cittadino a semplice richiesta) delle fonti energetiche (grezze o raffinate che siano) utilizzate per produrre l'energia commerciale usata nel territorio.
      Questa affermazione mi sembra ampiamente documentata nel mio intervento #75 da cui stralcio:
      "Un consorzio obbligatorio per ciascun settore di fornitori di vettori ha il compito di verificare per ogni fornitore dati semplici già noti alla P.A., cioè la quantità di vettore (EN MWh/a) fornita al mercato ed il carbonio minerale contenuto in tutte le fonti energetiche grezze usate (CM tCO2/a) ed in eventuali vettori energetici commerciali usati."
      Dire che ciò non piace ai fornitori d'energia al mercato è come dire che, senza cambiar politica energetica, i cittadini italiani non potranno mai conoscere le materie prime dei vettori energetici che acquistano:
      - energia elettrica (fornita a 15.000 V, 380 V, 220 V, ....),
      - combustibili gassosi (GN, gas di città, gas d'acqua, biometano, biogas, sintgas ...)
      - combustibili liquidi (prodotti petroliferi, etanolo, biodiesel, biocombustibili liquidi, ....)
      - combustibili solidi (carbone minerale o lavorato, carbone vegetale, legno in varia pezzatura, ....)
      I dati sulle filiere di produzione dei vettori energetici in commercio sono già noti alla Pubblica Amministrazione perché sono solo parte dei dati richiesti per le accise e per l'ETS, assai più complicati da verificare (anche nella raccolta dati si riducono i costi burocratici).
      Quando affermo che "La comunità territoriale competente deve chiedere ad ogni soggetto economico risultati misurabili", intendo quindi questi dati essenziali e già fiscalmente rilevati, che sono effettivamente necessari e sufficienti per classificare le prestazioni all'interno di un gruppo di soggetti economici che forniscono al mercato lo stesso tipo di vettore energetico.
      Quando affermo che "La comunità territoriale competente .... non può pretendere di scegliere le tecnologie che ciascuno deve usare per ottenerli", intendo che la valutazione di riduzione dell'uso del carbonio minerale, ad esempio per produrre energia elettrica, è semplicemente da effettuare in base al rapporto tra il contenuto di carbonio minerale delle fonti energetiche di fatto utilizzate da un produttore per ogni MWh, non in base a giudizi, sempre opinabili, sull'efficienza delle tecnologie utilizzate per trasformarle.
      Naturalmente le semplici misure richieste dalla PED servono solo per valutare se quel fornitore d'energia elettrica provoca (direttamente o indirettamente) più o meno emissione di CO2 da carbonio minerale di un altro che fornisce la stessa quantità d'energia elettrica.
      Gli effetti di una qualunque attività umana (non solo produzione d'energia elettrica) sulla qualità della vita nel territorio circostante l'insediamento di quell'attività e sulla salute delle persone che lavorano nell'insediamento, non riguardano la politica energetica e tantomeno la lotta ai cambiamenti climatici globali.
      Tali profili di tutela sono tipicamente di pertinenza locale e non possono quindi essere sottratti alla comunità degli abitanti del territorio che ha prerogative costituzionali circa la difesa del territoio e della salute dei suoi abitanti (tramite loro rappresentanti, ma anche con referendum).
      Ultima modifica di ggavioli; 04-10-2009, 21:20.

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      • #93
        Risposta a messaggi #89,#90,#91

        Il messaggio #89 di ggavoli è causa di un fraintendimento. Forse non sono stato chiaro io, o forse ggavoli ha letto la mia frase, che poi cita, al di fuori del contesto in cui è inserita. Era senz’altro meglio se aggiungevo quanto adesso scritto in rosso: “…..la politica energetica centralistica dell’attuale governo è già orientata dal “cartello” delle multinazionali fornitrici. Perché mai un governo con un così alto consenso (altrimenti) rischierebbe un bel po’ di punti percentuali (di consenso) su scelte non certo popolari ?”. Dove con scelte non popolari intendo il nucleare, non certo la “prima mossa” di ggavoli. Non sto quindi dicendo che ggavoli voglia spingere i “decisori politici” verso scelte impopolari; anzi, sarebbe una bellissima cosa se la sua “politica energetica” potesse avere successo. La mia non è contrarietà, ma scetticismo dettato dal fatto che siamo in un sistema capitalistico di mercato “all’italiana”, con un governo che ogni volta che parla di finanziamenti per grosse infrastrutture, annuncia inesistenti investimenti dei privati. Proprio ieri sera alla trasmissione “Presa diretta”, hanno spiegato molto bene cosa è accaduto per la TAV. Era prevista una spesa di 15 miliardi euro, di cui il 60% da capitali privati. La realtà è stata ben diversa: i miliardi sono già diventati 32 e ancora la TAV non è finita. Di investimenti privati neanche un euro: l’alta velocità è tutta a carico del cittadino che la sta pagando con le tasse perché per trovare i fondi lo stato italiano si è indebitato per decenni. Ci vorranno due generazioni per saldare il debito che ha contratto. Io penso che con il nucleare accadrà la stessa cosa (il governo è il medesimo). Quindi non posso che essere in accordo anche con quanto ggavoli sostiene al successivo messaggio #90; ossia che nessuna multinazionale investirà veramente sul nucleare. Le centrali verranno pagate ancora una volta con il debito pubblico!! E le multinazionali si spartiranno la fase di gestione del ciclo produttivo e la distribuzione. Sullo smaltimento, anche se inizialmente costrette, troveranno il modo di scaricarlo nuovamente sullo Stato.
        Infine, riguardo al messaggio #91, la precisazione di ggavoli è chiara e concordo con le sue opinioni.
        Saluti.

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        • #94
          Originariamente inviato da bedi Visualizza il messaggio
          L’attuale posizione dell’eventuale minoranza posso immaginarmela…… ma con politiche energetiche (locali) più vicine alle esigenze del consumatore/cittadino (massimo sostegno all’utilizzo delle FER ed a una parallela crescita della filiera produttiva) possiamo tentare di uscire da una dipendenza che rischia di escludere del tutto la popolazione dalle scelte.
          Ho qualche speranza che le mie proposte pian piano vengano comprese?
          Se poi sono accettate, dovrebbero essere anche promosse dagli intelocutori consenzienti, che però mi sembrano timidi.
          Rispondendo a bedi, ritengo sia meglio non limitarsi ad immaginare solo qualitativamente il ruolo che avrebbe una maggior percentuale di FER del 10 % all'interno del mercato elettrico, con le attuali politiche energetiche ed in presenza della politica energetica differenziale da me proposta.
          Possiamo facilmente ipotizzare che in Italia si dovranno comunque dismettere entro 5 anni 30.000 GWh/a (il 10 % della capacità produttiva) di centrali obsolete con emissione specifica sopra la media (media 0,5 tCO2/MWh su 300.000 GWh/a).
          Gli attuali fornitori dovranno scegliere tra produzioni centralizzate a carbone (4 centrali, ognuna 1 GW di picco, 7500 GWh/a a 0,9 tCO2/MWh) e produzioni assai più distribuite basate su FER (40.000 impianti, mediamente a 0,02 tCO2/MWh).
          E' ragionevole attendersi che gli impianti che usano FER siano ripartiti principalmente tra:
          - fotovoltaici: ognuno di 3 kW di picco e 0,025 GWh/a, a 0,04 tCO2/MWh,
          - eolici: ognuno da 3 MW di picco e 6 GWh/a, a 0,01 tCO2/MWh,
          - a biocombustibili da filiera corta in cogenerazione: ognuno 100 kW di picco e 0,3 GWh/a, a 0,01 tCO2/MWh.
          - a metano minerale, biometano, o biogas in cogenerazione: ognuno 30 kW di picco e 0,1 GWh/a, a 0,1 tCO2/MWh (lato elettrico).
          Si presume che il mix di FER abbia un costo medio di produzione+distribuzione a 220 V di 300 €/MWh.
          Per 4 centrali a carbone, i costi di distribuzione sono più alti di 50 €/MWh, ma complessivamente i costi medi in rete a 220 V risultano 200 €/MWh.
          Gli attuali incentivi per le FER (riferibili alla CO2 risparmiata rispetto alla media) sono ricavati da aumenti generalizzati per gli utenti, sono assai variabili (da 900 €/tCO2 per il fotovoltaico a meno di 100 €/tCO2 per l'eolico e le biomasse in cogenerazione), sono in diminuzione ed a tempo determinato.
          Con incentivo medio 150 €/tCO2, l'aumento generalizzato per gli utenti è 150*(0,5-0,02)*0,1=7 €/MWh.
          Il vantaggio per i fornitori che usano FER è dovuto agli incentivi ed all'ETS.
          Il prezzo di fornitura da carbone aumenta per l'ETS (ora 15 €/tCO2) di 0,9*15= 13 €/MWh => 220 €/MWh
          Il prezzo di fornitura da FER cala per gli incentivi di 150*(0,5-0,02)-15*0,02 = 72 €/MWh => 235 €/MWh
          Così gli incentivi attuali e l'ETS riducono da 100 a 15 il maggior costo dell'elettroFER, ma gli incentivi sono in rapido calo, mentre l'ETS è fissato dai mercati ed è ora un esborso all'estero di 15*0,5*300M=2.250 M€/anno.

          Con la prima mossa della politica energetica differenziale per gli utenti d'energia elettrica (per la quale ora si emettono 150 su 500 MtCO2) i costi medi si riducono di (30.000M€)*(150/500)/(300 TWh) = 30 €/MWh.
          Con la PED gli utenti d'energia elettrica evitano anche i costi dell'ETS cioè circa 15*0,5=7,5 €/MWh.
          Con la PED gli utenti d'energia elettrica hanno quindi vantaggi medi per 30+7,5=37,5 €/MWh.
          Ricordo che ciò comunque non riduce le risorse economiche alla pubblica amministrazione.

          La PED modifica i costi di produzione dell'energia elettrica venduta in Italia in base al consumo specifico di carbonio minerale con la CTo=40 €/tCO2 e con punC=60 €/tCO2
          Il costo dell'energia elettrica da carbone cresce di 40*0,9+60*(0,9-0,5)-37,5= +22,5 €/MWh
          Il costo medio dell'energia elettrica cresce di 40*0,5+60*(0,5-0,5)-37,5= -17,5 €/MWh
          Il costo dell'energia elettrica da FER cresce di 40*0,02+60*(0,02-0,5) -37,5= -65,5 €/MWh
          Così la PED riduce da 100 a 12 il maggior costo dell'elettroFER.
          Inoltre punC può essere aumentato quanto basta (da 60 a 80 €/tCO2).
          Il costo dell'energia elettrica da carbone cresce di 40*0,9+80*(0,9-0,5)-37,5= +30,5 €/MWh
          Il costo medio dell'energia elettrica cresce di 40*0,5+80*(0,5-0,5) -37,5= -17,5 €/MWh
          Il costo dell'energia elettrica da FER cresce di 40*0,02+80*(0,02-0,5) -37,5= -75,1 €/MWh
          Così la PED può rendere il costo dell'elettroFER più basso di 5,6 €/MWh rispetto a quello dell'elettroCarbone senza aumentare il prezzo medio dell'energia elettrica.
          Il prezzo medio dell'energia elettrica attuale, con la PED sarebbe comunque più basso di 17,5 €/MWh.
          Ultima modifica di ggavioli; 08-10-2009, 07:39.

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          • #95
            Le macchine energeticamente rilevanti (1)

            Come ho affermato nell'intervento #82 in risposta al #81 di Osvaldo,
            "Il modello di politica energetica proposta in "quattro mosse" negli interventi #74, #75, #79, #80, è denominato "Politica energetica differenziale" ed agisce sostanzialmente sulla emissione di gas serra dovuta all'uso dei composti minerali del carbonio.
            Se si osservano i dati statistici riferiti all'Italia (StoricoCO2Italia.pdf allegato al #30), si nota che l'emissione italiana di CO2 da carbonio minerale è cresciuta da 435 MtCO2/a nel 1990 a 493 MtCO2/a nel 2005.
            Tuttavia l'emissione italiana di altri gas serra (CH4, N2O, .....) è stata equivalente a 82 MtCO2/a nel 1990 e 86 MtCO2/a nel 2005.
            Peraltro l'uso del territorio, il cambio d'uso e la gestione delle foreste (LULUCF) ha permesso di riassorbire 80 MtCO2 nel 1990 e 110 MtCO2 nel 2005.
            ..... almeno per i prossimi dieci anni, visti i tendenziali degli altri gas serra e del bioriassorbimento, ci si può accontentare di ridurre di 10 MtCO2/a ogni anno l'emissione di CO2 proveniente da composti minerali del carbonio, ottenendo così un'almeno pari riduzione del bilancio netto italiano dei gas serra, che dal 1990 al 2005 è passato da 437 a 470 MtCO2eq/anno.
            Il quadro delle azioni pubbliche in campo energetico si completa con quella prevista per promuovere direttamente l'adozione delle "macchine di produzione industriale energeticamente più efficienti" da parte degli utilizzatori e dei piccoli produttori d'energia commerciale."
            Ovviamente i soggetti economici ed i consumatori, per ridurre le emissioni senza ridurre i servizi finali (cioè senza decrescita), possono solo individuare ed usare i beni strumentali (macchine) che con maggior efficienza trasformano energia grezza in energia commerciale ed energia commerciale in beni e servizi finali.
            A tal fine il valore di CTo (circa 40 €/tCO2) e quello iniziale di punC (complemento a 100 €/tCO2) si ritiene siano sufficienti a far ridurre l'emissione netta di CO2eq dall'Italia di 10 MtCO2eq/a.
            Tuttavia, sia per non aumentare punC a pari riduzione annuale dell'emissione dall'Italia, sia in sostituzione degli attuali incentivi (rottamazioni, sconti IVA, rimborsi fiscali, conto energia, .....), con i loro costi burocratici, si può favorire (all'acquisto, fatto quando è più opportuno per l'acquirente) la fornitura dei beni strumentali più efficienti nel trasformare l'energia (grezza o commerciale) in energia commerciale od in servizi finali.
            A nessuno sarà sfuggito che la "politica energetica differenziale" non prevede sussidi pubblici a nessuna fonte energetica, né a particolari tecnologie di sfruttamento per ottenerne vettori energetici standard od altre capaci di utilizzare con maggior efficienza l'energia commerciale.
            Anzi, esplicitamente azzera subito tutti i sussidi correnti alle fonti fossili ed esclude nuovi sussidi o garanzie pubbliche ad altre fonti o tecnologie per trasformare l'energia.
            In sostanza si tratta di prevedere una "quinta mossa" (meno burocratica possibile e che non pesi sui bilanci pubblici e privati) per rendere più agevoli le scelte che soggetti economici e consumatori devono comunque fare per ridurre l'emissione senza ridurre i servizi finali.
            Ultima modifica di ggavioli; 08-10-2009, 12:30.

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            • #96
              Le macchine energeticamente rilevanti (2)

              Affinché, tra macchine d'uso simile, l'utilizzatore finale possa scegliere quella che ha più efficienza energetica nel ciclo di vita, la macchina deve essere accompagnata da adeguata certificazione energetica, sia dell'intensità energetica della produzione (specificando la quantità di energia utilizzata per produrre la singola macchina venduta), sia della sua efficienza energetica durante l'uso.
              In genere la prima certificazione non è ora comunicata al compratore, ma la politica energetica differenziale modifica il prezzo di vendita del bene e tale certificazione è opportuna.
              Presumendo condizioni standard d'utilizzo della macchina, deve poi essere chiaramente riportata in etichetta, sia l'unità di misura del servizio (o del bene finale) che la macchina è destinata a produrre usando energia, sia tipo e quantità corrispondente di energia utilizzata.
              Ad esempio è usuale indicare tipo e consumi di carburante per km percorso dalle automobili e lo si deve precisare alle velocità standard di 50, 90 e 130 km/h..
              Il soggetto economico utilizzatore di una macchina, che la usa per produrre beni o servizi da offrire al mercato, è certamente in grado di valutare la propria convenienza a utilizzare macchine diverse e concorrenti a parità di risultato tecnico atteso.
              In tal caso la reale efficienza energetica della macchina in esame modifica automaticamente l'efficienza energetica della produzione e quindi il bilancio economico del soggetto economico; che pertanto sceglie sempre con accuratezza i macchinari per svolgere ciascuna fase produttiva.
              Anche l'acquirente generico dovrebbe tenere conto dell'efficienza energetica della macchina che acquista, almeno per il maggior costo dell'energia consumata da una macchina meno efficiente.
              Si deve notare che, anche semplificando al massimo la valutazione della macchine offerte al mercato, assicurarne l'esatta etichetta per il loro uso energetico è molto più complesso che verificare il consumo totale d'energia commerciale ed il valore aggiunto creato nei siti produttivi che le costruiscono.
              Sembra quindi ragionevole richiedere l'etichetta energetica solo per macchine di grande serie e che all'acquisto costano molto meno del valore dell'energia che trasformano durante la vita utile media.
              Sostanziamente con riferimento ai gruppi merceologici di macchine che usano molta dell'energia (grezza o commerciale) consumata in Italia, l'Autorità preposta prenderà in considerazione per primi quelli col il massimo totale d'energia usata per tipo di trasformazione finale.
              Per essi è quindi massimo il rapporto:
              (costo energia usata all'anno) / (ammortamento acquisto).
              Si ricorda che nessuna forma d'energia è gratis, così anche le fonti rinnovabili d'energia hanno un costo riferito almeno all'uso del territorio (risorsa da salvaguardare).

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              • #97
                Le macchine energeticamente rilevanti (3)

                quinta mossa
                Oltre all’etichettatura energetica delle “macchine più rilevanti per l’efficienza energetica in Italia”, è possibile un’azione diretta sui prezzi di vendita di tali macchine offerte sul mercato italiano.
                Il parco di macchine nuove capaci di fornire un dato risultato tecnico, lo fornisce a minor costo energetico, se è più basso il rapporto:
                (valore commerciale della quantità occorrente della forma d'energia usata)
                / (Risultato Tecnico Atteso)
                Questo rapporto, detto "Intensità Energetica di Trasformazione" = IET, è certamente significativo per chi acquista una macchina per ottenere un preciso risultato tecnico.
                Nel caso di macchine per produrre energia (anche in cogenerazione), il "Risultato Tecnico Atteso" = RTA può avere come unità di misura il "MWh equivalente elettrico" = MWhee.
                (l’equivalenza tra forme d’energia diverse si fa sui prezzi medi correnti dei MWh forniti nelle varie forme)
                Nel caso di automobili l'unità di misura di RTA è il già noto "km percorsi in condizioni standard".
                Anche per le altre macchine che forniscono servizi o trasformano beni, si individua facilmente l'unità di misura più significativa (tecnicamente e commercialmente) da indicare anche nell'etichettatura.
                Per ciascun tipo di trasformazione il cui miglioramento risulta essere d’interesse generale, l'Autorità istituisce un consorzio tra i fornitori delle macchine concorrenti (forse già creato, o somma di consorzi formatisi spontaneamente in risposta alla mossa 4).
                È compito del consorzio verificare l’esattezza dell’etichettatura energetica di quello specifico tipo di macchine offerte sul mercato nell’anno in corso.
                Per ogni fornitore consorziato si valuta IET sul venduto e di questo il valor medio IETm nel consorzio.
                Per definizione di IET, chi usa una macchina con IET < IETm, durante la media vita utile della macchina risparmia una certa quantità d'energia entrante a cui corrisponde l'importo economico:
                dCosto_energia = (IETm-IET)*RTAvu €
                Il differenziale premiale sul prezzo (cioè l'importo che i produttori di macchine più efficienti ricevono dai produttori di macchine meno efficienti per unità di risultato tecnico fornito durante l'intera vita utile delle macchine vendute con bilancio zero sul consorzio) è una quota "q" di tale risparmio economico.
                dPrezzo = q * (IETm -IET)*RTAvu €/macchina
                dPrezzo / RTAvu = q * (IETm-IET) €/RTA
                Come valore iniziale si pone q=0,1.
                La riduzione effettiva nell’anno “aa” dei consumi specifici delle macchine tipiche vendute dai consorziati è
                re(aa) = 1-IETm(aa)/IETm(aa-1)
                La riduzione effettiva media “rem(aa)” (dei consumi specifici di tutte le macchine nuove che forniscono “risultati tecnici prioritari” i cui consumi specifici è interesse generale ridurre) si calcola pesando le riduzioni “re(aa)” nei singoli consorzi con i costi annui dell’energia usata dalle macchine vendute l’anno “aa”:
                rem = Sommatoria sui consorzi (re*numero_macchine*IETm*RTA/vu)/
                Sommatoria sui consorzi (numero_macchine*IETm*RTA/vu)
                “rr” è la riduzione annua richiesta per i consumi specifici medi dovuti ai risultati tecnici prioritari (es. rr =0,02 a^-1).

                Se l’anno “aa” risulta rem(aa) minore di rr, si pone:
                q(aa+1) = q(aa)*rr/rem(aa) e non si cala più (analogamente a punC).
                L'Autorità per la libera concorrenza, con la consulenza tecnica di ENEA riferisce al Parlamento, con relazione di pubblico dominio, sui risultati ottenuti in ciascun settore che fornisce macchine per dare un RTA prioritario ed i cui consumi specifici calano meno dell'80 % di quelli medi complessivi dei settori prioritari.
                Lo Stato addebita il costo dell'indagine e della sua pubblicità ai fornitori riuniti nel corrispondente consorzio, in proporzione al fatturato di ciascun fornitore in Italia.
                Ultima modifica di ggavioli; 12-10-2009, 11:40.

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                • #98
                  Efficienza energetica dei pubblici servizi (1)

                  Negli interventi #74, #75, #79, #80 e #96 ho illustrato le cinque mosse di una politica energetica nazionale che permetta all'Italia di ridurre le attuali emissioni nette di gas serra (circa 500 MtCO2eq/a) almeno del 2 % (10 MtCO2eq/a) ogni anno.
                  Tuttavia, come annunciato in # 86, vorrei spiegare come una comunità territoriale può anticipare tale politica energetica nazionale senza essere danneggiata nei rapporti commerciali con altri territori, né creare scompensi interni.
                  Sono convinto (vedi REA2008) che una maggior efficienza energetica nei pubblici servizi sia tecnologicamente fattibile poiché, da almeno cinque anni e per i prossimi trenta, usare le tecnologie energeticamente più efficienti rispetto a quelle ora usuali comporta una riduzione dei costi medi dei servizi finali resi disponibili sul territorio, a pari prezzi medi dell'energia e dei beni strumentali.
                  L'aumento dell'efficienza energetica dei servizi forniti sotto responsabilità funzionale ed economica di un Ente Pubblico inizia da una gestione mirata degli acquisti correnti e dei beni strumentali.
                  A tal scopo, ogni Ente Pubblico deve comportarsi come un soggetto economico che, a pari qualità della fornitura richiesta, con specifiche clausole d'acquisto pone in concorrenza esplicita i propri fornitori di beni e servizi non solo (come già ora dovrebbe essere) sul miglior prezzo, ma anche sulla minor intensità d'Uso di Carbonio Minerale (UCM) dell'energia richiesta e sulla minor intensità energetica dei beni e servizi richiesti.
                  Sempre nei limiti della sostenibilità economica, gli acquisti di tutta la Pubblica Amministrazione presente sul Territorio (PAT) sono anche da indirizzare verso quei beni strumentali (con cui la PAT usa energia per fornire servizi) che usano meno energia a pari qualità e quantità dei servizi finali forniti.
                  Si ricorda che la PAT nel complesso gestisce servizi al territorio per cui spende in media il 40 % delle risorse economiche circolanti nel territorio e se la PAT acquista l'energia ed i servizi finali col minor UCM ed i beni strumentali più efficienti, già il 40 % dell'economia del territorio della PAT è orientata in tal senso e diventano più convenienti l'energia, i beni ed i servizi a minor UCM.
                  Ultima modifica di ggavioli; 23-10-2009, 16:07.

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                  • #99
                    Efficienza energetica dei pubblici servizi (2)

                    Se gran parte della popolazione del territorio concorda (tramite l'Ente Locale che la rappresenta) di usare quella stessa modalità d'acquisto di energia, di beni e di servizi che usa la PAT, l'obbiettivo di ridurre l'UCM pro capite nel territorio, si può perseguire per via contrattuale.
                    La modalità d'acquisto concordata può corrispondere alla mossa 2 della politica energetica differenziale (intervento #75), così il prezzo medio d'offerta dell'energia nel territorio dell'Ente Locale non cambia, ma cala il prezzo dei prodotti energetici a minor UCM e cresce il prezzo di quelli a maggior UCM.
                    Il conguaglio dei differenziali, con un prezzo unico locale del Carbonio minerale (pulC) si fa (tra i fornitori) alla fine d'ogni anno sull'energia effettivamente acquistata da chi concorda l'accordo territoriale e sugli acquisti dell'anno successivo si procede con acconti (non conoscendo la mole di acquisti).
                    Le variazioni di prezzo finale riducono l'offerta e gli acquisti d'energia a maggior UCM e quindi il prezzo medio d'acquisto a pari tecnologie offerte, senza che i fornitori esterni a quel territorio abbiano cambiato le tecnologie produttive.
                    Si ricorda che l'Ente Locale, tramite le accise sui prodotti energetici, è in grado di conoscere le filiere produttive dei prodotti energetici commercializzati nel territorio.
                    Naturalmente le conoscono ancora meglio i produttori dei vettori energetici e proprio tra essi, sotto il controllo degli acquirenti rappresentati dall'Ente Locale, avvengono gli acconti ed i conguagli sui differenziali calcolati sulla media fornitura dell'anno nel territorio.
                    Anche i soggetti economici attivi sul territorio possono liberamente concordare questo modo d'acquistare l'energia, ottenendone benefici economici aggiuntivi, poiché possono ridurre l'UCM a pari energia acquistata senza aumentare i costi energetici.
                    Con accordi generalizzati tra gli acquirenti locali d'energia (PAT, consumatori e soggetti economici), quasi tutta l'energia commercializzata localmente può essere sottoposta ad un regime d'acquisto equivalente alla politica energetica differenziale (mossa 2), con chiaro vantaggio per i territorio e nessun svantaggio medio per i fornitori d'energia.
                    Ultima modifica di ggavioli; 01-11-2009, 09:14.

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                    • Efficienza energetica dei pubblici servizi (3)

                      Posto che in via generale le FER sono reperibili localmente, mentre l'energia non rinnovabile viene quasi sempre da fuori, se cresce l'uso delle FER può crescere il valore aggiunto per produrre energia localmente e quindi può crescere il PIL del territorio.
                      L'aumento del PIL comporta generalmente minori costi pubblici per l'assistenza sociale, con meno difficoltà economiche per l'Ente Locale (ma anche per la PAT in generale, visto l'aumento della base impositiva).
                      Anche con la gestione dell'acquisto dei beni e servizi finali e dell'acquisto dei beni strumentali capaci di ridurre l'UCM a pari servizi pubblici forniti al territorio, la PAT può promuovere comportamenti analogamente virtuosi da parte degli abitanti del territorio e dei soggetti economici che vi operano.
                      Per le tipologie di beni e servizi che la PAT utilizza direttamente, la PAT propone, ai fornitori di beni e servizi di pubblico interesse a suo carico, l'adesione alla concorrenza energetica palese prevista dalla mossa 4 della Politica energetica differenziale (vedi intervento # 80).
                      La PAT utilizza prevalentemente servizi analoghi al settore terziario ed ai consumatori, quindi i risultati ottenuti dalla PAT con la mossa 4 della PED saranno pubblicizzati poiché risultano significativi anche per consumatori e terziario.
                      Consumatori e terziario possono certamente concordare con la PAT di chiedere a tutti i fornitori di quei beni e servizi al territorio l'adesione alla mossa 4 della PED locale.
                      La mancata adesione di taluni fornitori ovviamente va pubblicizzata perché può solo significare che per loro non è importante quel mercato, o, più probabilmente, che sono tra i fornitori che usano più energia a pari beni e servizi forniti.
                      Quanto ai beni strumentali di rilevante interesse energetico, la PAT può ovviamente pretendere come acquirente rilevante di conoscere l'efficienza energetica dei beni richiesti ai fornitori e di prevedere tra i fornitori in concorrenza per le forniture un regime di premi e penali analogo alla mossa 5 della PED (vedi intervento # 96).
                      Ultima modifica di ggavioli; 03-11-2009, 08:52.

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                      • Efficienza energetica dei pubblici servizi (4)

                        Il tasso annuo di riduzione della spesa energetica della PAT, corretta con la "PED locale" (limitata alle mosse 2, 4 e 5 della PED a livello di stato), deve essere deciso nella sede più rappresentativa del territorio ove la PAT opera (Ente Locale o assemblea cittadina) e gli importi annuali di spesa energetica devono essere resi pubblici.
                        E' sottinteso che, in mancanza di una PED nazionale, vanno comunque colte a tal fine tutte le opzioni nazionali e regionali a favore dell'efficienza energetica della PAT e ciò è un preciso impegno per le risorse umane della PAT.
                        Se l'Ente Pubblico ha meno di 20 dipendenti, i problemi tecnico-economici legati ai servizi possono essere gestiti da un unico centro decisionale, cioè da chi ha mandato di organizzare i nuovi acquisti, le ristrutturazioni, i contratti dei servizi energetici e le procedure interne per conseguire la riduzione concordata delle spese energetiche per unità di servizio fornito.
                        Se però il numero di dipendenti è più elevato, il miglioramento dei conti economici dei singoli reparti operativi è gestito in collaborazione tra l'ufficio tecnico ed il responsabile di reparto (RR), come già avviene nei soggetti economici che hanno maggior successo della media dei concorrenti.
                        Il RR gestisce i beni strumentali del reparto in base alle loro prestazioni, all'eventuale necessità di ristrutturazione o di rinnovo totale, affinché il reparto dia le prestazioni tecniche chieste (quantità e qualità di trasformazioni o di servizi).
                        Se è possibile che il RR sia la persona responsabile dei costi e delle prestazioni di reparto, RR, come occore già ora, valuta qualità e quantità delle prestazioni ai cittadini a fronte dei costi per l'Ente e per i cittadini ed in particolare valuta i costi energetici a pari prestazioni finali, con l'obbiettivo di ridurli del tasso concordato (a prezzi deflazionati).

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                        • Mi sembra di poter suggerire che il controllo dell’applicazione della PED venga gestito a due livelli (centrale e locale) sulla base della taglia o produttività degli impianti e dei fabbisogni e meccanismi di “import/export” di un determinato territorio rispetto agli altri. Delocalizzerei del tutto la gestione delle FER, lasciando liberi gli Enti locali di decidere una loro politica energetica “integrativa”, rendendo ad esempio nuovamente compatibili gli incentivi locali con la possibilità di scaricare il 55% delle spese dalle tasse. La logica è: se un territorio preferisce investire parte delle sue risorse sullo sviluppo delle FER ed il decentramento della produzione energetica, invece che su altri servizi, perché mai dovrebbe essergli impedito ? Ed invece è ciò che è accaduto lo scorso anno….
                          Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                          Posto che in via generale le FER sono reperibili localmente, mentre l'energia non rinnovabile viene quasi sempre da fuori, se cresce l'uso delle FER può crescere il valore aggiunto per produrre energia localmente e quindi può crescere il PIL del territorio.
                          Chiedo a Gavoli se non ritenga che al territorio, oltre all’ovvio valore aggiunto dato dalla produzione locale di energia, debba essere o no riconosciuto anche un congruo importo per le “risorse” utilizzate.
                          Faccio questa domanda perché ciò indubbiamente avvicinerebbe una politica energetica nazionale che pensasse ad un forte decentramento della produzione tramite lo sviluppo delle FER (pura ipotesi con l’attuale governo), a ciò che invece io propugno come veramente necessario, ossia un decentramento delle stesse politiche energetiche sulle FER, che possa responsabilizzare maggiormente PP.AA. locali e cittadini. Se venisse espressa una politica energetica nazionale che riconosca al territorio un congruo valore per TUTTE le risorse locali che vengono adoperate (o si sia in grado di adoperare) per la produzione energetica, ciò potrebbe anche convincermi a dire che non c’è più bisogno di un decentramento delle politiche energetiche. Se tale politica energetica nazionale fosse poi così “illuminata” da premiare in modo differenziato la disponibilità di FER rispetto alle carbon-fossili (come in definitiva prospetta anche la PED di Gavoli), mi toglierei tanto di cappello.
                          Ma l’attuale realtà è del tutto inversa: il valore prodotto dall’utilizzo delle risorse locali viene riconosciuto solo per le carbon-fossili ! La legge denominata “sviluppo/energia”, in vigore dal 15 agosto di quest’anno, all’art.45 “Istituzione del Fondo per la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti nelleregioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi”riduce il costo alla pompa nelle regioni con impianti di estrazione (Basilicata, Veneto, ecc.).
                          In questo modo di fatto già si introducono elementi di “federalismo energetico”, ma in modo iniquo e dannoso. Perché la scelta è ricaduta solo sulle fonti carbon-fossili e non SOPRATTUTTO per le rinnovabili carbon-free (produzione compresa) ? E perché solo per i combustibili e non per energia termica e elettrica ?
                          Un chiaro esempio. Risiedo in un territorio che ha un bilancio energetico di CO2 (certificato dai più importanti organismi internazionali) prossimo all’equilibrio. Un’intera provincia che auto produce l’energia che consuma, “assorbe” oltre il 95% della CO2 prodotta e certamente arriverà entro il 2015 ad essere totalmente carbon-free. Sembra una favola, ma non lo è: grazie al geotermico (che è classificato come FER) viene infatti prodotto circa l’80% dell’energia consumata. Ma il territorio non ne ha alcun vantaggio; anzi la popolazione ne subisce solo gli svantaggi (soprattutto per le emissioni di boro). Gli impianti non possono essere gestiti che dall’ex monopolista che ci fa pagare le bollette come al resto della popolazione italiana, ma che ha una resa altissima da questo tipo di energia. Come si può pretendere che le amministrazioni di questo ed altri territori (pensiamo a quelli alpini con l’idroelettrico….) continuino le loro buone pratiche ed un percorso verso la sostenibilità, senza alcun riconoscimento per i propri cittadini ? Le ultime quote di energia abbiamo iniziato a produrle con risorse ottenute a seguito di un attento ciclo di smaltimento dei rifiuti (termovalorizzatori “veri” a valle di una raccolta differenziata prossima al 75%, non inceneritori che bruciano di tutto….) e con qualche piccolo impianto a biomasse (abbiamo la percentuale boschiva più alta in Italia). Tutti gestiti in base ad accordi locali, fatti a monte della loro progettazione. E la differenza si vede: i conflitti sociali sono praticamente assenti, perché i cittadini che risiedono nelle località in prossimità degli impianti hanno forti agevolazioni; mentre invece per il geotermico la popolazione è scesa più volte in piazza, perché esclusa da una vera trattativa.
                          Concludendo: ho qualche perplessità che una responsabilizzazione della popolazione, necessaria anche per la crescita delle FER, sia compatibile con politiche energetiche centralizzate.

                          Saluti.

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                          • Originariamente inviato da bedi Visualizza il messaggio
                            elementi di “federalismo energetico”...... ho qualche perplessità che una responsabilizzazione della popolazione, necessaria anche per la crescita delle FER, sia compatibile con politiche energetiche centralizzate.
                            In verità il ragionamento che sto svolgendo intende dimostrare che si possono usare localmente le parti della PED per cui non occorre chiedere permessi a livello nazionale, anticipando qualunque politica centralizzata.
                            E' così possibile arrivare a risultati molto avanzati localmente poiché non si intaccano minimamente i bilanci degli Enti Locali coinvolti, ma si riescono a sfruttare le favorevoli opportunità economiche fornite tecnicamente dal passaggio da un'economia locale a base di carbonio minerale ad un'economia locale basata sulle fonti d'energia rinnovabili (FER) e sull'efficienza energetica (EE).

                            Nei prossimi giorni illustrerò alcuni possibili esempi pratici di gestione locale delle problematiche globali dei cambiamenti climatici e della prossima fine delle fonti energetiche non rinnovabili a buon mercato, gestione possibile e localmente conveniente anche in assenza di una politica energetica efficace a livello nazionale.
                            Oggi rispondo volentieri alla domanda sul possibile raccordo tra politiche energetiche locali ed impegni nazionali di riduzione dell'emissione di gas serra.
                            Ritengo che un tale raccordo sia fattibile già adesso, se gli enti che rappresentano i territori sono responsabilizzati sull'uso del fonti energetiche e dell'energia commerciale che è rimasto non definito a livello europeo.
                            In effetti per i settori industriali più energivori e per i grandi produttori del settore energetico ora vale già a livello europeo l'emission trading sistem (ETS), che ho già dimostrato che va sostituito con la PED, ma ovviamente la battaglia politica per tale sostituzione è da condurre a livello europeo.
                            Per i "settori non ETS", che comunque gestiscono più del 50 % delle emissioni dirette di gas serra, la politica energetica europea prevede, come politica standard, una carbon tax crescente (fino a 200 €/tCO2) per convincere soggetti economici e consumatori ad una maggior efficienza energetica (EE), cioè ridurre l'uso d'energia per ottenere gli stessi servizi finali.
                            In tali settori per l'Italia è comunque richiesta una riduzione dell'uso di carbonio fossile del 17 % rispetto a quello del 2005 entro il 2020.
                            Per ora sembrano ancora tutte da decidere le modalità con cui tali risultati richiesti a livello nazionale possono essere richiesti a livello locale responsabilizzando i decisori politici locali, a cui già ora fanno capo molte prescrizioni tecniche in campo edilizio e nel terziario.

                            La mia proposta per stimolare l'emergere di decisioni locali adatte a conseguire un tale obbiettivo esclude di riproporre lo stesso obbiettivo di riduzione percentuale delle emissioni a livello di territorio più piccolo, magari con multe analoghe a quelle previste a livello nazionale da parte della UE.
                            Giustamente bedi fa notare che localmente è possibile cogliere opportunità e volontà popolari non gestibili e nemmeno rilevanti a livello nazionale, quindi prevedo di responsabilizzare localmente in analogia alla PED; con bilancio nazionale nullo.

                            La mia proposta parte dall'emissione complessiva di CO2 dai settori non ETS di ciascun territorio nel 2005 ed il numero di persone allora domiciliate nello stesso.
                            Se ne calcola "l'intensità d'emissione dei settori non ETS" (IEP tCO2/anno per ogni Persona) di ogni territorio nel 2005 e questa classifica si deve considerare un dato di partenza per ogni territorio, che sterilizza l'influenza dei comportamenti storici e delle diverse opportunità, ad esempio climatiche, dei vari territori.
                            Negli anni successivi per ottenere il risultato nazionale nel 2020 basterebbe che ogni territorio riducesse di poco più dell'1 % ogni anno il valore dell'intensità IEP(2005) tCO2/a/P.
                            Come giustamente fa notare bedi, i risultati delle emissioni locali sono assai diversi, ma molto diversi sono anche gli andamenti delle emissioni negli anni sucessivi.
                            I dati locali necessari sono statisticamente noti a livello nazionale, quindi la IEP di ciascun territorio è nota, come pure è nota la media nazionale (che deve essere notificata a livello europeo, insieme all'adamento della popolazione domiciliata).
                            A ciascun territorio con andamento diverso dalla media è applicata una variazione del prelievo fiscale dal territorio così calcolata:
                            VPFT = (persone domiciliate nel territorio)*IEPm(2005)*(IEPm/IEPm(2005) - IEP/IEP(2005))*punC = €/anno
                            Si ricorda che punC è il "prezzo unico nazionale di scambio della CO2".

                            Ovviamente alcuni territori saranno penalizzati ed altri premiati e, per le proprietà delle medie, la somma delle penali sarà uguale alla somma dei premi.
                            Il premio (o la penale) per il territorio è suddiviso per il numero di persone domiciliate ed ogni parte accreditata alla persona fisica a cui ciascun domiciliato risulta fiscalmente a carico.
                            Se, ad esempio, nel 2010 la media nazionale IEPm(2010) è il 95 % di IEPm(2005) (circa 4 tCO2/a/P) nessuna penale o premio si applica ai territori che hanno ridotto la propria IEP del 5 % dal 2005 al 2010.
                            Supponiamo punC=60 €/tCO2 e che per un territorio risulti IEP/IEP(2005)=0,90.

                            Allora ad ogni abitante è accreditata la somma:
                            IEPm(2005)*(IEPm/IEPm(2005) - IEP/IEP(2005))*punC = 4*(0,95-0,90)*60 = 120 €/anno
                            Invero ritengo che le differenze locali nei progressi compiuti dal 2005 ad oggi siano molto più ampie e, per i territori che sono già più avanti degli obbiettivi nazionali per il 2020, in modalità PED è comunque garantito lo stimolo a continuare a migliorare.

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                            • Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                              In verità il ragionamento che sto svolgendo intende dimostrare che si possono usare localmente le parti della PED per cui non occorre chiedere permessi a livello nazionale, anticipando qualunque politica centralizzata….

                              Rassicuro Gavoli: non mi sono distratto. Avrà però notato che ogni tanto cerco di portare il discorso su ambiti decisionali più “alla mia portata”. Il mio obiettivo è capire cosa di quanto proposto da Gavoli sarebbe possibile concretizzare “in loco” e con la sola forza dell’attività di “supporto alle decisioni” di qualche tecnico specializzato e delle locali associazioni politiche che si occupano di sviluppo sostenibile.
                              Originariamente inviato da ggavioli Visualizza il messaggio
                              Nei prossimi giorni illustrerò alcuni possibili esempi pratici di gestione locale delle problematiche globali dei cambiamenti climatici e della prossima fine delle fonti energetiche non rinnovabili a buon mercato, gestione possibile e localmente conveniente anche in assenza di una politica energetica efficace a livello nazionale.

                              E vedo che Gavoli ha già risposto brillantemente a tale “esigenza”. La sua risposta di applicazione locale della PED, già prevede la necessità di meccanismi “premianti e punitivi” (che ritengo essenziali, pur a fronte di una necessaria, ma SOLO INIZIALE sussidiarietà). Leggerò quindi con estremo interesse gli esempi pratici di gestione che Gavoli intenderà illustrare nei prossimi giorni. Suggerisco anzi uno spunto per un “percorso” che renda possibile una equa applicazione locale della PED, con richiesta di verifica da parte sua.>>
                              Il suggerimento parte dalla constatazione che, senza dati veramente significativi sullo stato di un territorio, non sarà possibile applicare localmente ed equamente la PED, come del resto fare una seria programmazione e/o prendere giuste decisioni.>>
                              Non sono infatti completamente in accordo con Gavoli quando dice che “I dati locali necessari sono statisticamente noti a livello nazionale”, perché definire realisticamente la “produzione” di CO2 da parte di un territorio richiede che si faccia un “bilancio di gas serra”, nel quale occorre considerare anche le risorse locali “consumate” (oggetto del mio precedente messaggio) ed i gas “catturati”. Tutti concetti multitematici che riguardano la gestione del territorio, di piena competenza degli Enti Locali.>>
                              Quindi chiedo a Gavoli di verificare se le seguenti esperienze, possano costituire strumenti conoscitivi e “certificativi” in grado di rendere equa l’applicazione locale della PED.>>
                              Ritengo interessante tutto il percorso di sostenibilità ambientale di cui al link: Provincia di Siena - Sviluppo sostenibile>>
                              ma chiedo ovviamente a Gavoli di verificare solo il paragrafo del “bilancio gas serra”. In particolare se quanto al link: http://www.provincia.siena.it/upload...S_stampato.pdf>>
                              e le conseguenti certificazioni ISO http://www.provincia.siena.it/upload...6113601103.pdf>>
                              possano costituire criteri ben più “solidi” su cui basare i conti per l’applicazione “decentrata” della PED (nei settori non ETS).>>
                              Ritiene anche Gavoli che il percorso di certificazione ambientale delle emissioni di gas serra da parte dei preposti organismi internazionali possa essere alla base dei “conti” per l’applicazione “locale” della PED ? Potrebbe proprio essere questa la “modalità” con cui richiedere (e verificare) a livello locale il raggiungimento dei risultati imposti a livello nazionale, che Gavoli giustamente fa notare non essere stata ancora definita………>>
                              Attenzione: non si tratta di una complicazione burocratica o costo aggiuntivo. >>
                              Faccio presente che gli EE.LL. per legge devono già fare un Piano energetico gestito in modo complementare dai vari livelli istituzionali (Regione, Provincia, Comune), e che hanno quindi le risorse per farlo. Tutto sta a dare seri indirizzi a livello centrale e pretendere serietà anche per questa pianificazione di settore, indubbiamente nuova per gli EE.LL., ma INDISPENSABILE SE CREDIAMO NEL RISPARMIO ENERGETICO E SOPRATTUTTO NELLO SVILUPPO DELLE FER (per il quale è importantissimo che gli EE.LL. divengano “proattivi”). Nell’esempio riportato e più in generale con la certificazione EMAS (Provincia di Siena - REGISTRAZIONE EMAS)>>
                              l’Ente Provincia si è preoccupato di arrivare ad una certificazione ambientale principalmente per promuovere gli interessi economici dei vari soggetti territoriali (operatori turistici, dell’agricoltura di qualità, ecc.). L’applicazione locale della PED incentiverebbe ancor più le buone pratiche, inserendo anche il reparto energetico fra le attività economiche che beneficerebbero di tale promozione.>>
                              Quindi: perché non richiedere agli EE.LL. un percorso di pianificazione che certifichi (da parte degli organismi internazionali che hanno questo compito) la riduzione dell'uso di carbonio fossile (il 17 % del periodo 2005/2020) e che costituisca anche “dato certo” per i calcoli dell’applicazione “decentrata” della PED ? Non inventeremo molto di nuovo…….ci avvicineremo solo a ciò che da tempo sta succedendo in Europa.>>
                              Saluti.>>

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                              • Originariamente inviato da bedi Visualizza il messaggio
                                .....verificare solo il paragrafo del “bilancio gas serra”
                                .....ci avvicineremo solo a ciò che da tempo sta succedendo in Europa.
                                Nei prossimi giorni porterò a termine in modo organico l'illustrazione della mia proposta di gestione locale in modalità PED delle fonti energetiche grezze e dell'energia commerciale.
                                Faccio una breve parentesi per chiarire che per l'Italia non aver seguito l'esempio del resto d'Europa non significa solo che ha promesso e non mantenuto di dare un limitato apporto alla riduzione dell'emissione di gas serra.
                                Mi scuso preventivamente con i lettori di questa discussione, ma il ragionamento che farò in questo intervento nasce dalla mia deformazione professionale d'ingegnere industriale, che prima mi fa fare i conti all'ingrosso e poi mi fa esaminare i particolari difficili da risolvere.
                                Si sa che la mancanza di parola sulle emissioni di CO2 costerà all'Italia una multa (o acquisti all'estero di diritti d'emissione) di circa 1,3 Miliardi di Euro all'anno (1,3 G€/a) nel periodo 2008 - 2012.
                                Gli scettici dell'effetto serra sono già pronti a dire che la parola data da loro stessi nel 2002 non vale più nel 2009.
                                Ma discutere sulle opinioni degli scienziati sul futuro (ma perché mai il 90% dovrebbe aver torto ed il 10% ragione?) non può nè deve nascondere il fatto pratico ed attuale che, se le emissioni nel resto d'Europa si sono ridotte nel 2005 del 5 % rispetto al 1990 ed in Italia sono cresciute del 13 %, per l'Italia non è stato un affare (magari fosse stato utile a bilanciare le multe!).
                                Come ho già fatto notare nell'intervento # 4 di questa discussione, l'ENEA ha già ampiamente dimostrato che si sarebbe potuto tranquillamente ridurre le emissioni di CO2 da usi energetici del 2% ogni anno in nove anni sul tendenziale, evitando lo sforamento del 18 % sull'obbiettivo concordato, che invece c'è stato e per quasi 100 MtCO2/a.
                                Ma non è tutto qui.
                                ENEA ha dimostrato che con le tecnologie disponibili (in gran parte già 20 anni fa) per ogni 100 MtCO2/a non emessi (60 da più efficienza energetica e 40 da maggior uso di FER) i consumatori finali a pari servizi ottenuti avrebbero speso 3,9 G€ in meno.
                                Così questi ritardi rispetto al resto d'Europa ci sta costando, in spese all'estero, 1,3+3,9 = 5,2 G€ nel 2009.
                                (Altro che spesa sociale eccessiva, che almeno rimaneva in Italia)
                                Il ritardo tecnologico accumulato negli anni dal 2002 (anno in cui Berlusconi ha ratificato il protocollo di Kyoto) al 2009 è già costato circa 20 G€ ai consumatori italiani.
                                Ma c'è molto di più.
                                Tutti ora sanno che le importazioni di composti minerali del carbonio costano all'Italia circa 50 G€/a e comportano l'attuale emissione di circa 500 MtCO2/a.
                                Non è difficile notare che riducendo le emissioni di 100 MtCO2/a si possono ridurre le importazioni di circa 10 G€/a.
                                Ebbene, s'è già visto che ridurre di 100 Mt/a le emissioni di CO2 comporta un vantaggio per i consumatori di 3,9 G€/a, ma a ciò si deve aggiungere il fatto che, per fornire gli stessi servizi finali, il valore aggiunto in Italia cresce di 10 G€/a (non essendo spesi all'estero) a pari costo per i consumatori e ciò ovviamente avrebbe significato più lavoro in Italia ed aumento del PIL.
                                Ed in settori avanzati come le FER e l'efficienza energetica (non a spalare carbone).
                                Credo che anche "fare i conti all'ingrosso" ogni tanto serva a chiarirci il valore economico degli obbiettivi da perseguire.
                                Veramente avremmo fatto un buon affare a seguire il resto d'Europa.
                                Un affare che nasceva nel 2002 e sarebbe cresciuto fino a circa 15 G€/a nel 2010.
                                Ultima modifica di ggavioli; 06-11-2009, 12:05.

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                                • sig gavioli spero un giorno di vederla, visto che la leggo ogni tanto, e sempre ogni tanto scopro che dice quelo che noi ignoranti nei grandi numeri, ma nel settore produtivo diciamo da sempre, poi specie in questa nostra regiona martoriata da un male fino ad ora nascosto, che si chiama politica di M....., fatta solo ha rigor di interessi associativi e personali, e raccontavano che il sud era lontano, saluti

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                                  • Originariamente inviato da bedi Visualizza il messaggio
                                    costituire criteri ben più “solidi” su cui basare i conti per l’applicazione “decentrata” della PED (nei settori non ETS)
                                    Certamente la conoscenza (disponibile al pubblico) dell'uso diretto ed indiretto delle risorse energetiche non rinnovabili è la base della contabilità della PED in un territorio.
                                    Credo peraltro che la contabilità da me prevista non sia "semplificata", o approssimativa, bensì "semplice" e rigorosa.
                                    La filiera che dalle fonti energetiche grezze porta all'energia commerciale ed ai suoi utilizzatori è ben sorvegliata dai controlli già in atto per le accise sui prodotti energetici ed i corrispondenti dati sono assolutamente noti agli EE.LL. e pubblicizzabili.
                                    Ad esempio è più semplice e soprattutto certa, l'attribuzione di tutto l'uso dei "composti minerali del carbonio" per produrre carburanti per l'autotrazione alle raffinerie di petrolio, oppure verificare separatamente quanta CO2 è emessa dalle automobili e quanta da tutti i particolari camini di quella raffineria?
                                    E quando poi le raffinerie di combustibili liquidi cominceranno a raffinare "composti biologici del carbonio" chi distingue la CO2 proveniente dalle FER da quella proveniente dalle FEM?
                                    Peraltro che senso ha liberare gli utilizzatori dell'energia elettrica da qualunque responsabilità sulle emissioni di CO2 dovute alla sua produzione solo perché nei conduttori d'energia elettrica non passano certamente composti del carbonio, come invece nelle condutture del metano commerciale?
                                    In definitiva, non è molto complicata (ed assai poco certa) la contabilizzazione delle emissioni (intermedie e finali) di CO2 (nette per l'effetto serra) conseguenti all'uso delle fonti energetiche minerali (FEM) ed all'uso di fonti energetiche rinnovabili (FER)?

                                    Queste sono le domande che mi ponevo nel 2001 e la risposta è stata, che è certamente più sicuro contabilizzare la CO2 potenzialmente proveniente dalla combustione completa dei composti minerali del carbonio, piuttosto che tentare di valutare l'efficienza di ogni singola trasformazione nella filiera dell'energia che parte dalla fonte energetica grezza ed arriva al servizio finale per il consumatore.
                                    Peraltro nelle pieghe delle complicate misurazioni standard previste per penalizzare solo le emissioni dirette di CO2 si trova anche il premio per chi brucia male il carbonio minerale e lo restituisce in atmosfera come fuliggine!!!

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                                    • Misurare all'origine la CO2 potenziale

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                                      Tuttavia sappiamo che, per ridurre del 2 % all'anno le attuali emissioni italiane, serve una carbon tax di 200 €/tCO2, che indurrebbe in Italia un'inflazione aggiuntiva del 7 %.
                                      Molti modelli previsionali macroeconomici indicano che ciò porterebbe ad una riduzione del 10 - 20 % del PIL tendenziale (recessione) per molte decine d'anni.
                                      Ovviamente ciò è ancor più probabile e pericoloso in una congiuntura economica già recessiva, come l'attuale.
                                      La Politica Energetica Differenziale (PED; vedi interventi #74, #75, #79, #80, #96 ) ha in sè la semplicità di rilevamento dati della "carbon tax all'origine", ma non crea tensioni inflazionistiche, nemmeno iniziali.
                                      Così anche la contabilità per valutare le emissioni di gas serra imputabili ad un territorio può risultare semplice (ma non approssimativa), facendo strettamente riferimento a qualunque uso delle Fonti Energetiche Minerali (FEM; sempre e solo da esse, prima o poi, viene la CO2 che crea effetto serra) ed a qualunque uso dell'energia commerciale (valutata per i carichi medi di FEM).
                                      Nel territorio occorre certamente quantificare anche le variazioni complessive dell'assorbimento biologico della CO2 atmosferica, ma le ARPA ne hanno i mezzi.
                                      Le valutazioni delle Fonti Energetiche Rinnovabili (FER; dei cui impianti deve essere pubblicamente nota l'energia di fabbricazione, con corrispondente carico di FEM, da ammortizzare negli anni d'utilizzo) diventa allora assai semplice, perché in realtà i "composti rinnovabili del carbonio" semplicemente non causano "emissioni di gas serra".
                                      Naturalmente ciò è vero solo se sono completamente trasformati in CO2 prima dell'immissione in atmosfera.
                                      Il mandato dei tecnici in regime di PED è ottimizzare l'efficienza di tutte le trasformazioni che sono chiamati a gestire, per ottenere risultati che tutti (e certamente i concorrenti dei soggetti mandanti) possono verificare con facilità.
                                      Per i tecnici mi pare che sia di assai minor soddisfazione limitarsi a certificare qualità e corretta installazione di apparecchiature fatte in serie (nella speranza, spesso delusa, che verranno usate correttamente in futuro e che nessuno imbroglierà sul Conto Energia, sull'ETS, sulle varie certificazioni e sulle gestioni dei rifiuti variamente assimilati alle FER).
                                      La preziosa risorsa umana rappresentata dai tecnici è certamente meglio impiegata a sviluppare le specifiche opportunità presenti in ogni settore d'attività umana, anziché a certificare interventi standard sovvenzionati.
                                      In definitiva direi che, per ridurre l'emissione netta di gas ad effetto serra da uno specifico territorio, sono d'accordo con bedi sulla necessità di "premi con penali speculari", ma spero che saremo d'accordo anche su quali siano le misurazioni a cui riferirsi per penalizzare o premiare chi può decidere di usare più FEM o più FER, ovvero minore o maggiore efficienza energetica.
                                      Ultima modifica di ggavioli; 10-11-2009, 10:19.

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                                      • Efficienza energetica dei pubblici servizi (5)

                                        Finora questo sottotema dell'applicazione locale della PED è stato svolto negli interventi #86, #97, #98, #99, #100.
                                        Il tasso di riduzione annuale delle emissioni climalteranti che è perseguito dal territorio viene definito dall'istanza più rapprensentativa del territorio stesso e lo stesso tasso è l'obbiettivo medio per i reparti operativi di ogni Pubblica Amministrazione presente sul Territorio (PAT).
                                        Il raggiungimento degli obbiettivi è facilitato dalle politiche differenziali d'acquisto già indicate, ma occorre stimolare adeguatamente i responsabili di reparto e gli operatori.
                                        La necessità di uno stimolo economico nasce dalla constatazione che i risultati dei vari reparti potranno essere migliori o peggiori dell'obbiettivo complessivo, ma che certamente il 50 % è meglio della media dei risultati ed il 50 % peggio.
                                        Per migliorare la media, come già avviene nei soggetti economici più evoluti, si creano stimoli adatti:
                                        - Si premiano i reparti più rapidi a ridurre i costi energetici e si penalizzano specularmente i più lenti.
                                        - Il premio (o la penale) differenziale si somma algebricamente a parte del risparmio economico ottenuto a prezzi deflazionati e si suddivide il risultato tra responsabile ed operatori di reparto in proporzioni predeterminate.
                                        Mentre le percentuali di risparmio economico girate ai dipendenti della PAT hanno l'ovvio limite del 100 %, il differenziale competitivo tra i reparti (ed eventualmente tra linee di produzione) non costa nulla all'Ente e può essere ampliato fino ad ottenere il voluto tasso medio di riduzione dei costi energetici netti.
                                        Se s'immagina ogni PAT come una scatola nera in cui entrano risorse ed escono servizi al territorio, si nota che gli stimoli indicati comportano la sostituzione di risorse energetiche esterne al territorio con risorse umane disponibili localmente, ovviamente a pari prestazioni.
                                        Calano i costi per la PAT (pur con gli ammortamenti e gli altri costi di gestione) e cala l'emissione di gas serra ad essa attribuita.
                                        Ma è altrettanto evidente il vantaggio complessivo anche economico per il territorio, visto che mediamente le PAT gestiscono complessivamente circa il 40 % dell'economia del territorio.
                                        Solo a titolo d'esempio, dato che una parte significativa dei consumi d'energia degli enti pubblici consiste nei consumi energetici correnti degli edifici, può risultare significativa una specifica esperienza di Bolzano e le relative valutazioni:
                                        http://www.expost.it/download/Expost_ita_070608.pdf
                                        Spero proprio che i molti lettori di questa discussione esprimano qualche rapido commento alla mia proposta di guida alla riduzione delle emissioni nette di gas serra di qualunque territorio, anche senza piena sovranità, che ritengo applicabile a qualunque ente pubblico, in quanto senza effetti, se non positivi, sui bilanci pubblici.
                                        Spero che anche il tema delle semplificazioni contabili su cui si fonda la PED (interventi da #101 a #107) stimoli qualche rapido commento dei lettori.
                                        Gabriele Gavioli
                                        Ultima modifica di ggavioli; 11-11-2009, 11:49.

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                                        • Ridurre le emissioni di altri gas ad effetto serra.

                                          La PED, in quanto contabilizza senza esenzioni qualunque uso delle risorse energetiche non rinnovabili (fin qui limitatamente ai composti minerali del carbonio), agisce su tutte le emissioni climalteranti di CO2 dal territorio di competenza, non solo quelle per usi energetici.
                                          Di seguito riporto un estratto della tabella allegata aggiornata dall'Istituto Governativo responsabile dei dati ufficiali di bilancio dei gas serra emessi e riassorbiti dal territorio italiano, ove vengono distinte le emissioni di CO2 provenienti da composti minerali del carbonio dalle emissioni di altri gas serra provenienti dalle attività umane sul territorio italiano.
                                          anno ...1990 ..2000 ..2007
                                          MtCO2 ..435 ....463 ...475 di CO2 da composti minerali del carbonio
                                          MtCO2eq 82 ......84 .....77 di altri gas ad effetto serra da attività umane
                                          MtCO2 ....67 ......79 .....71 di CO2 riassorbita da foreste e agricoltura
                                          Si vede quindi che i gas ad effetto serra diversi dalla CO2 da FEM finora sono causa solo del 14 % (in lieve calo) delle emissioni ad effetto serra attribuite all'Italia.
                                          Tuttavia, quando le attuali emissioni da uso dei composti minerali del carbonio saranno ridotte dell'80 % (nel 2050), i gas ad effetto serra diversi dalla CO2 saranno più determinanti della CO2 da FEM.
                                          Quindi, anche non subito, ma certamente entro il 2020, occorre estendere l'azione della PED ai gas ad effetto serra diversi dalla CO2 da FEM.
                                          La sesta mossa di estensione della PED, partendo dal principio che le misurazioni a valore fiscale devono essere commisurate ai risultati netti attesi, coinvolge solo i comparti merceologici in cui l'effetto serra della CO2 da FEM emessa complessivamente è inferiore a quello degli altri gas serra emessi dallo stesso intero comparto.
                                          I comparti merceologici principali responsabili delle emissioni di questi "altri gas serra" sono alcune attività agricole, alcune industrie e la gestione dei rifiuti biologicamente attivi.
                                          Ne consegue che i ministeri competenti per i rispettivi settori economici verranno coinvolti nell'individuazione e monitoraggio dei comparti merceologici interessati.
                                          Per questi comparti merceologici (il cui numero crescerà nel tempo), è resa obbligatoria l'adesione ai consorzi entro i quali, con bilancio nullo per il consorzio, verranno premiati i soggetti con emissioni specifiche di gas serra inferiori alla media e specularmente penalizzati quelli sopra la media.
                                          La contabilità di consorzio è del tutto simile a quella della "quarta mossa" con tCO2eq al posto di tCO2 e con un prezzo di scambio della tCO2eq uguale a punC €/tCO2.
                                          Con la supervisione dei ministeri interessati, di ENEA e di centri di ricerca specializzati nelle attività di comparto, le modalità d'attribuzione delle emissioni di gas serra ai singoli soggetti sono concordate (più semplici possibili) all'interno del consorzio obbligatorio, senza bisogno di certificazioni valide erga omnes.
                                          Effettivamente le eventuali contestazioni dei dati non hanno effetti fuori dal consorzio stesso, che raccoglie solo soggetti tra loro naturali concorrenti e tutti.
                                          La contabilità del consorzio, i dati dei consorziati essenziali per essa, i premi e le penali sono di dominio pubblico.
                                          Con questa sesta mossa della PED si prevede di ridurre in modo consistente (del 60 % entro il 2050) il potere di riscaldamento del clima delle emissioni di "altri gas serra" in Italia.
                                          Ultima modifica di ggavioli; 11-11-2009, 12:21.

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                                          • Ecco la tabella dell'ISPRA
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                                            • Il riassorbimento della CO2 (1)

                                              Sappiamo che, dal punto di vista del bilancio della CO2 in atmosfera, la combustione a CO2 della biomassa ottenuta da recente fotosintesi clorofilliana non aumenta, né diminuisce, l'accumulo di CO2 in atmosfera per mano d'uomo e di ciò è già tenuto conto nella PED.
                                              Così l'asportazione di biomassa agricola o forestale per bruciarla non crea vantaggio d'assorbimento se non per la parte che si sostituisce alla naturale decomposizione della biomassa in loco che, in ambienti naturalizzati da secoli, porta all'equilibrio di CO2 tra fotosintesi e decomposizione.
                                              Per un effettivo equilibrio dell'ecosistema naturale, le ceneri devono poi ritornare al luogo d'origine ripristinando i sali minerali.
                                              Da questo punto di vista, comporta certamente un parziale riassorbimento netto della CO2 una cogenerazione di energia elettrica e calore da biomasse agricole residuali e da pulizia dei boschi entro 20 km dai luoghi di produzione e con ritorno ad essi delle ceneri.
                                              L'aumento ed il mantenimento dell'assorbimento netto di CO2 passa però principalmente dall'aumento della biomassa viva in loco, o dalla sua trasformazione in manufatti non destinati alla combustione in tempi storici.
                                              Tra le trasformazioni possibili per mano d'uomo a tal scopo c'è anche l'uso di carbone vegetale come ammendante di lunga durata del terreno agricolo e forestale.
                                              Da questa descrizione del ciclo biologico del carbonio risulta anche che la deforestazione di una foresta naturale ha un doppio effetto negativo: riduzione dell'assorbimento per riduzione della fotosintesi clorofilliana ed aumento della emissione di CO2 per abbandono di residui forestali in decomposizione, o perfino per incendi.
                                              In Italia, come si vede anche in #109, l'uso del suolo e la gestione forestale sta contribuendo in modo significativo a contenere l'emissione netta di gas serra in quanto le foreste italiane dal 1950 stanno crescendo.
                                              Tale contributo (ora il riassorbimento è circa di 70 MtCO2/a) sarà decisivo a partire dal 2050, con le emissioni di CO2 da FEM a meno di 100 MtCO2/a e quelle da "altri gas serra" a meno di 30 MtCO2/a.
                                              Con un'attenta gestione forestale ed un appropriato uso del suolo agricolo, pare tecnicamente raggiungibile un assorbimento netto di 130 MtCO2/a da foreste ed agricoltura, portando così ad annullare l'aumento di riscaldamento globale attribuibile alle attività umane in Italia.
                                              Per avere tale risultato in tutt'Italia entro il 2080 si può attivare un'opportuna estensione della PED, che però presuppone un serio controllo del bilancio di carbonio dell'intero terreno e non solo di generiche attività umane sotto controllo della PED.
                                              Un'estensione della PED per gestire il bilancio biologico territoriale della CO2 (fotosintesi, decomposizione, asportazione con combustione e senza) può essere implementata anche in un piccolo territorio, migliorando il confronto con altri territori prospettato in #102.
                                              Ultima modifica di ggavioli; 14-11-2009, 08:02.

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                                              • Il riassorbimento della CO2 (2)

                                                All'interno di un territorio con presenza di terreni a copertura vegetale si può fare un accordo estensivo della PED per utilizzare al meglio la potenzialità di riassorbimento della CO2 atmosferica da parte della vegetazione.
                                                Ovviamente il bilancio dell'interscabio di CO2 di ciascun terreno con l'atmosfera è completo solo contabilizzando la biomassa asportata annualmente (BAA tCO2/a).
                                                Tuttavia, presumendo che prima o poi tale biomassa sarà bruciata e quindi ritrasformata in CO2 ceduta all'atmosfera, l'asportazione è da considerare ininfluente sull'interscambio di CO2 tra terreno ed atmosfera.
                                                In tal senso l'uso termico della biomassa (in particolare la cogenerazione d'energia elettrica e termica) nel luogo di produzione è fuori da ogni contabilità d'emissione di CO2 e l'eventuale energia commerciale resa disponibile si deve considerare esente da FEM (salvo quella per cotruire l'impianto ed ammortizzata con esso).
                                                Occorre anche ricordare che, a regime, la combustione controllata può semplicemente sostituire gran parte della decomposizione naturale della biomassa prodotta annualmente dalla fotosintesi clorofilliana, quindi un'efficace gestione della copertura vegetale di un terreno può rendere disponibile molta energia potenziale senza modificare l'accrescimento della biomassa viva in loco.
                                                Naturalmente un equilibrio del genere deve essere trovato sperimentalmente ed anche valutato in termini di costi per maggior uso di risorsa umana a fronte di un risparmio di risorsa non rinnovabile.
                                                Trasformare la biomassa in manufatti a lunga durata (o ammendare il terreno con carbone vegetale) si considera riduzione d'emissione netta annuale di CO2 in atmosfera in capo a chi utilizza la biomassa come materia prima per la propria attività.
                                                Il riciclo degli scarti (es. in lastre di trucciolato) mantiene tale riduzione dell'emissione.
                                                Tuttavia i manufatti (e gli scarti non bruciati, inclusi i manufatti già in essere) devono essere considerati come composti minerali del carbonio (FEM) ed il loro riciclo diventa responsabilità (assicurabile) degli utilizzatori.
                                                Questo fino alla combustione od alla decomposizione finale, che però può essere rimandata di secoli.
                                                L'uso d'energia commerciale (o perfino di FEM) da parte dei soggetti consorziati per il bioriassorbimento della CO2 atmosferica è contabilizzato nei consorzi di concorrenti nei settori merceologici della loro attività principale, come descritti nell'intervento #80 per il livello nazionale ed a cui devono già aderire.
                                                L'accordo sul bioassorbimento della CO2 si stabilisce a livello locale formando un consorzio volontario tra i gestori di terreni a copertura vegetale ed è giustificato anche dal fatto che, a fronte d'un aumento di riassorbimento certificato, il territorio può ricevere un premio come previsto dal tipo d'accordo nazionale o regionale indicato in #102.
                                                Come incentivo alla creazione del consorzio, si presume che la parte d'aumento di premio al territorio per riduzione netta dell'emissione di CO2 corrispondente all'aumento di riassorbimento biolologico certificato venga suddiviso solo tra i consorziati in proporzione al terreno a copertura vegetale.
                                                La quantità di terreno è corretta con coefficienti uguali al rapporto tra gli attuali assorbimenti netti e gli assorbimenti netti propri della foresta tipica di quel territorio, indicando quindi per ogni terreno inserito in consorzio una quantità iniziale di foresta tipica gestita = FTE kmq.
                                                Per la valutazione iniziale e per l'aggiornamento e contabilizzazione decennale, il consorzio si affida all'ARPA che valuta la biomassa viva in tonnellate di CO2 trattenuta dalla vegetazione (BV tCO2).
                                                La cadenza contabile decennale si presume congrua alla durata media dei cicli vegetativi ottimali per l'assorbimento, tuttavia il consorzio può decidere cadenze diverse in funzione delle specie utilizzate e del tipo di gestione.
                                                Da quanto già indicato nell'intervento #111 sull'uso della biomassa asportata, ogni consorzio presume la costanza della biomassa viva fino a successiva certificazione e può astrarre da essa anche inizialmente (ed evitarne costo) purché si impegni a mantenere la biomassa viva iniziale (mantenimento controllabile da satellite).
                                                A fine periodo di riferimento ad ogni consorziato è attribuita una variazione dell'assorbimento netto di CO2 corrispondente all'aumento in loco della biomassa vivente:
                                                dBV = BV(fine periodo) -BV(inizio periodo) tCO2/periodo
                                                L'assorbimento specifico annuale di CO2 di un dato terreno a copertura vegetale è:
                                                ASC = dBV/FTE/(anni del periodo) tCO2/kmq/a
                                                L'assorbimento annuale specifico medio netto di CO2 del consorzio risulta:
                                                ASCm = Sommatoria(dBV, cons)/Sommatoria(FTE, cons) tCO2/kmq/a
                                                Ogni anno il consorziato con ASC maggiore di ASCm riceve anche il beneficio differenziale:
                                                BN = pulC*(ASC - ASCm * FTE) €/a
                                                Ove pulC (€/tCO2) è il prezzo unico locale di scambio del Carbonio definito nel territorio ove si applica la PED, superiore a quello nazionale.
                                                Ogni anno i consorziati con ASC minore di ASCm sono specularmente penalizzati.
                                                Ovviamente il bilancio di penali e benefici nel consorzio è nullo, salvo il già indicato beneficio complessivo per l'aumento di riassorbimento di CO2 del territorio, valutato dall'ARPA con modalità omogenee in tutta Italia.
                                                Il bilancio del consorzio ed i relativi dati dei consorziati sono resi noti al pubblico almeno nel territorio ove si applica la PED.
                                                Ultima modifica di ggavioli; 15-11-2009, 12:11.

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                                                • Più che una discussione mi sembra solo una raccolta di dati e un monologo , che tende invariabilmente a disorientare ed essere poco chiaro e semplice .
                                                  La domanda principale è quanto influisce la CO2 e gli altri gas ,in percentuale o come meglio credi di esprimere , nel riscaldamento della terra ?
                                                  C'è qualcuno in grado di stabilirlo ?
                                                  Quanto incide il sole e l'assenza di macchie , nel raffreddamento della terra ?(minimo di Maunder)
                                                  Quanto incide la posizione della galassia , in cui ci troviamo ?
                                                  Dà un pò di tempo il sole è oggetto di un flusso energetico non meglio definito proveniente dà una zona ben precisa .
                                                  Quanto influisce questa energia di origine non conosciuta (o almeno non pubblicamente) sul riscaldamento o raffredamento della terra ?
                                                  Mi ripeto , mà questi gas, non sono affatto la causa del riscaldamento o raffreddamento , a seconda di chi si chiama a rispondere , ma questo tipo di "politica" serve solo a creare ad arte dei "mercati" , il cui unico scopo è lo scambio di soldi , senza minimamente poter pensare di risolvere nulla , in quanto non è a portata di mano un controllo delle temperature o del clima , a meno di non ricorrere ad armi di modificazione climatica , peraltro già molto avanti nello sviluppo e nel controllo del clima , come di recente si è visto in vari tg nazionali .Non è il classico ioduro di argento , ma ben altro , il cui livello di sofisticazione è molto alto , geoingegneria , così la chiamano oggi una guerra climatica.

                                                  Geoingegneria: come modificare artificialmente il clima | Liquida magazine

                                                  Geoingegneria: Soluzioni Concrete ed Efficaci per un Cambiamento Climatico. Uno Studio Rivela le Potenzialità e gli Ostacoli dei Metodi più in Voga per Frenare il Cambiamento Climatico in Atto

                                                  Geoingegneria: è Tempo di Fare sul Serio? Un Appello dagli Scienziati per Riconsiderare la Nuova Scienza in Grado di Cambiare il Clima. Ma è Davvero una Scelta Obbligata?

                                                  Quindi le emissioni di gas , non sono una ragione sufficiente tale dà poter modificare le emissioni del sole o una guerra climatica .Se si vuole parlare di politica energetica , bisogna ridurre alle giuste proporzioni ,l'influenza di questi gas , ma dato che la probabilità che possano causare qualche effetto non sono note , si possono considerare ininfluenti , rispetto ad altri "argomenti" .Basare la politica energetica su tali gas e la loro riduzione è un abbaglio e serve solo per rimpinguare le tasche di qualcuno , altrimenti non si spiega neanche il un Premio Nobel per la pace dato ad un vice presidente , solo per ricompensarlo del furto elettorale subito ....

                                                  Addimpospio

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                                                  • no arpagone, se ti servono dati per fare conferenze qui mister Gavioli ne ha scritte vagonate, il problema che alla gente non glie ne frega niente posto in questa maniera, troppo da pensare e da comprendere,la gente vuole semplicità e basta, comunque anche io ogni tanto leggo, ma le dura compredere il tutto, saluti

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                                                    • Proposta a Gavoli ed ai Moderatori

                                                      Vorrei che i moderatori verificassero l’opportunità di quanto segue.fficeffice" />>>
                                                      Da più di un anno frequento con assiduità questo forum e trovo che, fra le discussioni non tecniche, questa, un po’ “solitaria”, di Gavoli sia in assoluto la più propositiva. Insomma, via via che mi sono addentrato nella lettura, ho trovato sensibilmente più sensato, lineare e semplice quanto proposto da Gavoli rispetto a qualsiasi politica energetica espressa da governi precedenti ed attuale.>>
                                                      Indubbiamente però questo tipo di “esposizione personale” si presta male per un forum e non so quanto i ragionamenti di Gavoli possano essere stati seguiti. Personalmente ho fatto una certa fatica, ma sono contento di non “aver ceduto”, perché il “Gavoli pensiero” merita di essere seguito e conosciuto. Invito quindi i Moderatori a valutare se l’argomento non meriti di essere messo in qualche modo in evidenza.>>
                                                      Occorrerebbe forse che, quando Gavoli avrà terminato l’esposizione, egli si presti ad organizzare un documento (non necessariamente “di sintesi”, ma “unico”) sulla PED e che i moderatori valutino se promuoverne in qualche modo la diffusione.>>
                                                      Oltre che su un qualche angolo del forum, la proposta di PED di Gavoli meriterebbe di essere analizzata, e casomai promossa, anche tramite altri canali; ad esempio associazioni di portatori di interessi su FER e risparmio energetico, per fare un po’ di “lobby promozionale”.>>
                                                      Saluti.>>

                                                      Commenta


                                                      • In questa ed in altre discussioni di questo forum ho visto attribuirmi scopi "politici" ben lontani dalle mie intenzioni.
                                                        Probabilmente alcuni interlocutori, invece di discutere nel merito le mie proposte per rendere più semplice ed efficace la politica energetica in Italia, preferiscono supporre che io non sia un tecnico.
                                                        Negano a priori che io cerchi l'accordo con altri tecnici ed altri cittadini per presentare ai "decisori politici" una proposta di politica energetica migliore delle opzioni ora scelte.
                                                        Non ho finora dato conto della mia persona e del lavoro che faccio da trenta anni, perché non ho mai ritenuto significativi i titoli di studio ufficiali, né che le idee siano buone o cattive a seconda di chi le esprime.
                                                        Se però è così importante qualificarmi, nel mio profilo profilo utente del forum qualcosa c'è.
                                                        Chi cercasse sul web notizie (in italiano ed in inglese) su "Gabriele Gavioli residente a Bologna" e su "ggavioli" trova anche altro.
                                                        Comunque, rimanendo nell'ambito degli interessi per cui partecipo a questo forum, di seguito allego alcuni documenti scelti dalla mia attività di progettista e collaudatore d'impianti industriali dopo il 1970.
                                                        Curriculum breve
                                                        Ottimizzazioni energetiche negli essiccatoi (1979)
                                                        Ristrutturazione energetica industria ceramica (1981)
                                                        Proposta di teleriscaldamento per 100.000 persone (1996)
                                                        Aumento efficienza energetica stabilimento ceramico (2001)
                                                        Proposta politica energetica differenziale in industria (2008)
                                                        Proposta politica energetica differenziale nazionale (2009a)
                                                        Fattibilità ristrutturazione energetica economia italiana secondo ENEA (2009b)
                                                        Spero di aver soddisfatto la curiosità di alcuni interlocutori, senza appesantire questa discussione di inutili storie personali.
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                                                          • Documenti molto interessanti.
                                                            Se posso azzardare una sintesi, a mio parere il punto focale è rappresentato dalla creazione dei consorzi obbligatori per settori (la mossa 2).
                                                            La genialità della soluzione sta nel creare una pressione interna al consorzio, che non si scarica all'esterno in forma di costi e quindi inflazione, ma spinge i concorrenti all'interno del consorzio ad adottare soluzioni di consumo energetico a minor contenuto di carbonio.
                                                            L'idea è ottima, anche se penso che occorrerebbe sentire le eventuali obiezioni dei diretti interessati.
                                                            Non mi è invece chiarissima l'utilità della imposizione da redistribuire alla totalità delle persone fisiche. Non perchè sia scettico sull'utiltità dell'accisa, ma credo sarebbe meglio utilizzarla per premiare le scelte di risparmio e ottimizzazione puttosto che un contributo "a pioggia" che passa praticamente inosservato.
                                                            La mossa 1, cioè l'eliminazione di ogni forma di incentivo, sussidio, tariffa incentivante ecc. può essere condivisibile (ovviamente se strettamente collegata alla mossa 2) come impostazione generale nell'ottica della riduzione delle emissioni. Ma fra le stesse FER alcune tecnologie anche promettenti si troverebbero probabilmente penalizzate a favore di altre e, senza approfondire, non è detto che questo sia il solo fattore da tenere in considerazione.
                                                            “Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda.” Bertrand Russell

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                                                              Invito quindi i Moderatori a valutare se l’argomento non meriti di essere messo in qualche modo in evidenza.
                                                              Quello che posso fare è stickarlo in evidenza, come ho fatto.
                                                              Vedremo come evolve la discussione per eventuali altre misure.
                                                              “Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda.” Bertrand Russell

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