<b>6b</b> Transistor ad effetto di campo (jFET-MOSFET) - EnergeticAmbiente.it

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6b Transistor ad effetto di campo (jFET-MOSFET)

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  • 6b Transistor ad effetto di campo (jFET-MOSFET)

    NOTA: Per comprendere bene quanto segue sono necessarie alcune nozioni basilari.
    Consiglio pertanto la lettura prima & almeno dei seguenti argomenti:
    -5 Semiconduttori
    -6 Transistor bipolare (BJT)

    -------------

    Una variante al classico transistor a giunzione bipolare (BJT) sono i transistor ad "effetto di campo" (l'agricoltura non c'entra...)

    Se è visto che per BJT classici è la corrente di base a controllare quella transitante in collettore (in mod + o - lineare....) .. mentre la tensione Vbe poco ha causa (se non quella di "provocare" la corrente di B stessa)

    Esistono invece alcune evoluzioni del transistor dove non è una corrente a controllarne la conduzione ma una tensione. Rientrano in questa categoria i transistor JFET e MOSFET.

    La prima sigla indica un transistor a GIUNZIONE e ad EFFETTO DI CAMPO dall'inglese (iniziali) Junction field effect transistor
    La seconda è sempre riferita ad un transistor ad effetto di campo ma sprovvisto totalmente di "giunzioni" e fornito invece (in sua vece...) di un ossido metallico a semiconduttore ...dall'inglese
    Metal Oxide Semiconductor Field Effect Transistor

    I FET, come i BJT, sono principalmente caratterizzati da 3 terminali:
    Un terminale "di comando"/ingresso che invece che base è chiamato GATE (G) e due terminali di uscita, che prendono il nome di DRAIN (D), al posto del collettore, e SOURCE (S) al posto dell'emittore. Il BJT è da polarizzare (di solito) tra B ed E, il JFET è da polarizzare (di solito) tra G ed S, quindi la corrispondenza BCE e GDS è abbastanza vera.

    ---------------------------------------------------------------------

    Caratteristica dei JFET e quella di non avere alcuna giunzione tra i terminali d'uscita, ovvero D ed S, quindi tra questi due materialialmente si ritrova "secca" una barra... una striscia... se vogliamo un "CANALE" di materiale semiconduttore. Questo dovrebbe far intuire che in determinate condizioni in cui il canale non è... diciamo.. "perturbato".. esso si comporta come un normalissimo materiale semiconduttore, ovvero con una sua resistività/conducibilità. Dato che ha una ben definita dimensione fisica (sezione, lunghezza, ecc.) avrà pertanto una su resistenza.
    Di norma si tratta di un semiconduttore "drogato", quindi conducibilità/resistività e resistenza che ne deriva assumeranno i valori dati dal tipo/entità dei materiali droganti.
    Nei mosfet esistono invece delle giunzioni che non partecipano al funzionamento (almeno per quanto riguarda il "modo" BJT)

    Detto questo vediamo subito una differenza rispetto ai BJT. Quando i FET presentano la loro "resistenza intrinseca" (vedremo poi ...) si comportano proprio come un tale componente.
    Di conseguenza la caduta o tensione Vds (ex "Vce"...) DIPENDE dalla corrente di.. Drain (ex corrente di collettore...) e non da un discorso di giunzioni, ecc.
    Dal momento che la Vds è data dal prodotto delle resistenza drain-source o "Rds"... per il prodotto della corrente (Id) che la attraversa, ci saranno casi dove potrà quindi essere maggiore di quella ottenibile con un BJT (ovvero oltre 0.3... 1 V).. ma anche altri casi dove potrà anche essere minore, molto minore (!!), o a causa di una resistenza piccola o una corrente piccola o tutte e 2.
    Questo fa intuire (dovrebbe..) che l'eventuale potenza dissipata dal componente quando completamente "chiuso" (vedremo poi in dettaglio ...) non dipende linearmente dalla corrente o circa come per i BJT (essendo il prodotto tra una P =Vce"sat" circa fissa x la corrente di colletore) ma circa dal quadrato (essndo Vds=Rds x Id .. e quindi P =Vds x Id = Rds x Id x Id...)

    Domanda: Un diffetto???
    R: ....o talvolta un pregio!! Per esempio nell'uso come interruttore, quando chiuso avremo,
    se Rds (on) è ad esempio 10 millesimi di ohm e la corrente 10A:
    0.01 x 10 x 10 = 1W....
    Con un BJT avremo avuto (considero un assurdo di Vce=0.3V):
    0.3 x 10 = 3W...
    dissipati!

    È chiaro quindi che esistono situazioni in cui un componente è preferibile ad un altro.
    A titolo di esempio un FET è preferibile, qualora si riesca ad ottenerlo con bassa resistenza, in tutte quelle applicazione a bassa tensione e media corrente dove "la spunta" per una caduta inferiore.
    Viceversa dove le tensioni sono più elevate potrebbe non essere più così importante la caduta.. oppure (vedere poi) potrebbe essere difficile da costruire un FET con bassa Rds...

    Edited by gattmes - 4/2/2008, 15:00 (L ok)
    Ultima modifica di gattmes; 06-11-2008, 16:19.
    Fare si può! Volerlo dipende da te.

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  • #2
    Tutti qua i vantaggi?

    Ovviamente no. Ho parlato/scritto delle differenze "salienti" per quanto riguarda la "zona" di uscita.. ed ho iniziato da qui perchè JFET e MOSFET sono circa simili.
    Vediamo ora la parte d'ingresso.

    JFET:
    Nel jfet l'ingresso gate è ricavato tramite la costituzione di una giunzione con il "canale" drain-source. Per far ciò una porzione del semiconduttore è drogata in modo opposto al canale.
    Si può dedurre subito una cosa:
    come per i BJT si possono avere casi con canale N e gate P .. ma anche casi con canale P e gate N!
    Di conseguenza anche qua avremo... invece di NPN e PNP... jFET di tipo "N" (definiti più prolissamente "canale N") e jfet "P"

    Come per i BJT la simbologia riporta una solita ..."freccia" .. che distingue il tipo. Questa volta però la freccia è in ingresso, sul gate, e analogamente indica il verso di passaggio della corrente con la giunzione polarizzata direttamente.

    Un JFET N , avendo base P, sarà polarizzato direttamente tra G e S quando il gate sarà positivo, ovvero quando si avrà una corrente entrante in gate... di conseguenza la freccia è verso l'interno.
    Viceversa il JFET P avrà la freccia "uscente" dal gate.

    ----------------------------------------------

    Nota: quanto segue per JFET N per semplicità. Nel caso dei Jfet P basta ribaltare tensioni e correnti.

    Come funziona un JFET?

    Vediamo come è possibile far variare la ... resistenza .... del canale. A tal compito pensa il gate... o meglio la giunzione gate-source.
    Se si prova a polarizzare direttamente tale giunzione si ha, come per il transistor, un "diodo" con il rispettivo comportamento. Come diodo... si ha un accumulo di cariche presso la giunzione e quindi una predisposizione a condurre. Nel canale, ovvero nel verso D-S, poco cambia però.

    Diverso è quello che succede polarizzando inversamente il "diodo" G-S. In tal caso le cariche (o meglio i portatori di carica...) vengono allontanate dalla zona della giunzione. Lato gate non interessa molto... lato ...."canale" ... (ricordo che una delle due zone drogate è ANCHE il canale D-S) lo "spostamento" provoca una zona povera di cariche... una specie cioè di restringimento.
    Di conseguenza la resistenza aumenta. Tanto più si polarizza inversamente la giunzione gate-source, tanto più il canale si "stringe" fino a portare completamente in interdizione il componente

    Si può vedere subito delle differenze:
    1) Il BJT è normalmente interdetto (non conduce), mentre il JFET è normalmente in conduzione (conduce)
    2) Pilotando opportunamente i componenti il BJT inizia a condurre, mentre il JFET inizia ad "aprirsi"
    3) Per far ciò (punto 2) nel BJT si pilota direttamente la giunzione B-E, quindi c'è passaggio di corrente. Inoltre l'entità di questa determina l'entità di quella in C.
    Nel JFET la giunzione G-S è invece polarizzata inversamente. Di conseguenza NON c'è passaggio di corrente in ingresso/gate e quindi la corrente di D NON é legata alla corrente "Ig".
    Chi determina la conduzione o meno è la polarizzazione inversa della giunzione e quindi l'entità della differenza di potenziale su questa o Vsg .. per meglio dire la -Vgs.
    Quindi il JFET è un dispositivo comandato in tensione
    Anche qui c'è una legge che lega la corrente di D... con la tensione "-Vgs". Dal momento che è un "rapporto" tra corrente e tensione si parla di transconduttanza ... il famoso "gm".

    Anche nel Jfet è presente una tensione di soglia. Tuttavia essendo questa legata ad uno "svuotamento"/restringimento del canale, quindi anche alla sua forma e drogaggio, essa può variare notevolmente da modello a modello. Inoltre per uno stesso modello l'escursione è molto ampia (vedere problemi "drogaggio", ecc.).
    Per esempio per un tipo può essere -0.8V.. per un altro -6V... per un altro ancora -10V.
    Per il primo potrebbe variare da -0.1V a -1,5V ... per il secondo potrebbe variare da -2 a -10V, ecc.
    Talvolta quindi dei modelli di JFET sono una... per cosi dire... selezione di un unico tipo (processo costruttivo.. ) così per esempio U308 U309 e U310 possono essere versioni a diverso range di "Vgsoff" dello stesso modello.

    D: quindi il JFET ha una logica inversa rispetto il BJT?
    R NI. In realtà visto come tensione/polarità del pilotaggio è sempre nello stesso verso/senso. Un BJT (NPN) quando è in conduzione presenta una tensione in base + positiva (es 0.7V) rispetto a quando non lo è (es 0V) .
    Così pure un JFET (N) quando è in conduzione presenta un gate a tensione più positiva (es -1V) rispetto quando è in interdizione (es -10V).
    Visto invece in senso assoluto un BJT non polarizzato (base non collegata) è interdetto, mentre un JFET non polarizzato (gate non collegato) è in conduzione.

    -------------------------------
    Caratteristiche/livelli.

    Si è visto che per quanto riguarda la Vgs in positivo si ha l'attivazione del "diodo" G-S.
    Pertanto l'escursione in tal senso del pilotaggio è limitata da questo valore. Se la tensione qui applicata può eccedere questo valore, occorre limitarne la corrente nei valori accettabili dal componente, esempio tramite una resistenza. Quest'ultima poco influisce sulla polarizzazione (DC) in inversa, in quanto non passando corrente (o quasi) la caduta ai suoi capi è circa nulla (il G è un ingresso ad alta impedenza per tensioni negative)

    L'escursione in negativo (positivo per JFET P) è invece limitata alla tensione di rottura (come per un diodo) della giunzione. A differenza dei transistor il valore potrebbe essere molto più alto... anche 30V (dipende dal modello). Dal momento che la giunzione è "vista" rispetto il canale il punto di riferimento va preso come la massima tra Vgs e Vgd (di norma più elevata). Occorre non eccederne il valore.

    Come uscita poi abbiamo una corrente massima (che determina una Pmax) e ovviamente una tensione massima.

    Considerata l'alta impedenza in ingresso e il notevole guadagno (gm) i Jfet trovano impiego in molti amplificatori- preamplificatori (es i microfoni preamplificati). Il fatto di essere in conduzione senza pilotaggio li rende appetibili per interruttori normalmente chiusi... per generatori di corrente costante (basta un a R in Source), ecc.

    Edited by gattmes - 6/9/2007, 17:14
    (I ok)
    Ultima modifica di gattmes; 24-08-2009, 12:04.
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    • #3
      Mosfet

      Nel mos il materiale semiconduttore di base (una specie di substrato) di tipo ad esempio P (nel MOS canale N.. per il P invertire tensioni-correnti-drogaggi), vengono ricavate due "zone" a drogaggio diverso (N).
      Il tutto può sembrare un transistor (NPN) tuttavia qua la zona tra D ed S è ben più ampia, inoltre non è connessa alla base/gate.
      Il gate è collegato ad una metalizzazione che si "affaccia" su questa zona tra D ed S, ma ne è isolato da ua ossido (da cui il nome). Si viene quindi a formare una specie di condensatore tra il G e il materiale di base o BULK.

      Polarizzando questo condensatore con un positivo sul gate, si viene a formare un accumulo di cariche negative (vedere funzionamento condensatore qua: http://www.energeticambiente.it/elet...densatore.html ) nella zona immediatamente sotto allo strato di ossido. Questo provoca la creazione di fatto di un "canale" tra i due D e S, anch'essi di tipo N.

      Di norma il substrato è (non sempre) collegato al Source, pertanto il pilotaggio si "fornisce" tra G ed S.

      Quindi a differenza del JFET il canale non c'è e viene creato dalla polarizzazione.
      maggiori info:
      http://it.wikipedia.org/wiki/MOSFET

      -------------------------------------------------------------

      Caratteristiche ingresso/uscita.

      Esistono in realtà due tipi di mos ottenibili in funzione dei parametri costruttivi (drogaggio,ecc.) uno a "riempimento" o "enhancement" ed uno a "svutamento" o "depletion". Il primo è quello sopra descritto dove il canale non c'è e va creato con il pilotaggio.
      Di conseguenza a differenza del JFET questo mosfet NON conduce senza il pilotaggio. È quindi molto simile a un BJT e ne prende il posto in molte applicazioni.

      Nel mosfet depletion (non molto usato) il canale esiste già e il pilotaggio lo sopprime. Questi mos funzionano quindi in modo simile ai Jfet.

      La presenza dell'ossido fa si che il gate possa spaziare in positivo e negativo e di un valore di tensione max abbastanza simmetrico e in genere ampio. Il tutto dipende dalla tenuta come rigidità elettrica del "condensatore", quindi la tensione è da considerarsi tra gate e substrato.
      Dal momento che il substrato è di norma interconnesso al S, la tensione max di gate è da intendersi come +/- Vgs max
      La maggioranza dei mos di potenza presenta ad esempio +-20V, ma ci sono modelli a +-10 e +-30. Non bisogna ovviamente superare questo valore.
      Di norma niente protegge internamente (nessuna giunzione interna, ecc.) quindi bisogna farlo esternamente. Fanno eccezione alcuni mos dotati di zeners interni.

      Bulk.
      Essendo di drogaggio diverso rispetto alle zone di Source e Drain, ci si ritrova con due giunzioni, ovvero due diodi che si "formano" tra bulk-S e bulk-D.
      Dal momento che la maggior parte dei mos presenta il substrato collegato al Source è chiaro da una parte che il "diodo" bulk-S è sempre cortocircuitato, dall'altra il diodo bulk-D è come se fosse tra S e D, visto che S e connesso al bulk.
      Tale diodo ..."parassita" ...è polarizzato in inversa quando il mos presenta D positivo rispetto al S (mi riferisco a MOS "N").
      Viceversa polarizzando negativamente il D rispetto il S esso entra in conduzione. È un diodo molto grosso/potente.. in genere in grado di sopportare le stesse correnti che sopporta il Drain.
      Questo è sovente "ricordato" nella schematizzazione del mos.. ovvero è indicato un diodo interno in "antiparallelo" con il D-S.

      In molte applicazioni questo diodo può tornare utile. Ci sono alcuni modelli di mosfet che integrano un diodo Schottky, più veloce, che virtualmente evita al diodo "bulk" di entrare in conduzione.
      In effetti il diodo bulk è un diodo canonico e quindi un po lento... tuttavia io contesto/ho contestato molte di queste affermazioni per il semplice motivo che i cataloghi vanno letti bene (sono fatti da "commercianti" dei componenti....)
      Per chi avesse problemi con i millisecondi di "recovery" [cut] del diodo-bulk lo esorto a verificare in che condizioni sono specificate (generalmente con correnti paragonabili a quelle di esercizio del mos stesso e no 1- 2 A) e poi a estrapolarli.... prima di "aggiungere" un diodo cosidetto "più veloce".
      in molti casi si scopre che il recovery è + che accettabile (ho visto progetti [no comment..] con diodi "ultrafast" esterni... apparentemente + veloci... peccato che erano definiti a pochi A).
      Insomma come sempre dipende da che condizioni si hanno e cosa si vuole fare.

      In conduzione (piena) il mos è un canale .. e quindi una resistenza.
      Vale quello già visto per i JFET, tuttavia nel senso (mos N..) con D positivo e S negativo.
      Se la tensione assume polarità opposta il mos si presenta con il diodo in parallelo alla resistenza. In tal caso in interdizione le caratteristiche sono quelle del "diodo" e quindi la caduta ai capi sarà al massimo la "Vf". In saturazione invece c'è anche la Rds"on" in parallelo e quindi la cadutà può essere anche inferiore. Essa dipende dal prodotto Rds x Id"mos" ... dove per Id"mos" non si intende Id ma quella che effettivamente passa nel "componente mos" [cut..]

      Edited by gattmes - 10/9/2007, 11:15
      Ultima modifica di gattmes; 06-11-2008, 16:32.
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      • #4
        come polarizzare e non polarizzare un MOS

        Ritorniamo un attimo all'ingresso.
        Si è visto che il mos è un dispositivo comandato in tensione e che il gate è isolato. Quindi in gate non passa correnete e, a differenza del jfet, qualunque sia la polarizzazione (nei limiti). Si può intuire che anche rispetto al Jfet polarizzato "correttamente" l'impedenza di ingresso è sempre maggiore (visto che il "diodo" in ingresso del JFET fa passare una debolissima corrente anche in inversa).
        Quindi in teoria il pilotaggio può assumere una .. resistenza "di sorgente" teoricamente molto elevata? Ni.
        Questo è vero "staticamente" ovvero per tensioni fisse o lentamente variabili nel tempo... è anche una cosa che rende il mos moooolto sensibile a.... "cariche vaganti nell'intorno"... Con questo termine non molto corretto voglio suggerire che il gate è come un'antenna e sensibilissima. Basta un niente per farlo muovere di tensione. Mi riferisco a cariche elettrostatiche. Quindi è sempre buona norma NON maneggiare (senza precauzioni) i mos finchè non sono "messi" nel circuito... inoltre è buona norma definire una certa impedenza tramite una R esterna... meglio ancora proteggere l'escursione in tensione di gate con zener.
        Viceversa è molto facile "bucare"/sfondare l'isolamento di gate.
        Brevemente sottolineo che alcuni mos (di potenza) sono in realtà un insieme di .. anche migliaia.. di mos "elementari"... in parallelo. Quindi può capitare di sfondare parzialmente/alcuni gate.. cosa che porta ad un componente con caratteristiche completamente diverse... e che potrebbe rompersi durante il funzionamente/durare di meno.

        Detto questo il gate è si ad alta impiedenza ma ciò è ottenuto tramite la costituzione di un condensatore. In funzionamento "dinamico" per variare la polarizzazione del mos è chiaro che bisogna variare la carica di questo condensatore, essendo "un'armatura"/terminale connesso al gate e l'altra/o connesso al bulk/source. Quindi per far ciò bisogna accumulare o disperdere cariche sulle armature del condensatore. Questo è visto come se passasse una corrente attraverso.
        L'entità della corrente che , sottolineo, "esiste" solo quando si vuole "spostare" il valore di tensione sul gate (ndr - con source... ma sopratutto DRAIN fermi!), dipende .. dalla formula del condensatore!
        Ovvero C=Q/V ... essendo la carica Q il prodotto della corrente per il tempo si ha:
        C= (I x t) / V
        C dipende dai parametri costruttivi del mos (Nota non è un C costante.. per tutta la carica/scarica del gate [cut cut cut...]) ... V o meglio delta V è di quanto vogliamo spostare in tensione il gate .. e t il tempo in cui vogliamo/dobbiamo farlo.
        È chiaro che .. più veloci si vuole andare... più escursione di pilotaggio si vuol fare e ... più grosso/potente è il mos... più corrente bisogna dare (quindi un CMOS come pilotaggio può essere insufficiente). Viceversa o si allunga t (più lento) o non si riesce a raggiungere il pilotaggio voluto.
        Una ulteriore nota: come V si intende tra gate e source....interni.. e non tra i "piedini" esterni del componente.
        Quindi per il gate si potrebbero avere delle differenze dovute principalmente alla resistenza di collegamento. Per il Source, visto che il collegamento sarà massiccio dato che deve trasportare molta + corrente, diventa importante anche l'induttanza del collegamento. Staticamente la caduta su questa è nulla... mentre NON LO È dinamicamente.
        Questa caduta può sommarsi (aiutando il pilotaggio) o sottrarsi (frenando il pilotaggio) secondo i casi... e può non essere del tutto trascurabile.
        Per intenderci può arrivare a svariati volt. La cosa poi è da prendere in considerazione anche circa i livelli di tensione VERI che, con pilotaggi al limite, possono sfondare il gate, nonostante le precauzioni esterne..
        (detto/scritto fin troppo...)
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        • #5
          Cenni su alcune siglature mosfet

          Su richiesta faccio un breve accenno circa le sigle, riportando qui parte di un mio messaggio postato in altra sezione.

          Una delle sigle "storiche" è del tipo IRFxxx.. (dove xxx sono numeri... talvolta anche lettere)
          La parte iniziale alfanumerica "discende" dal nome della ditta che ha messo sul mercato inizialmente questi mosfets, più comunemente chiamati HEXFET..s perchè su questa tecnologia basati: in poche parole i mossini interni sono costituiti da celle esagonali (da cui "hex")... insomma tipo la storia delle api..

          La ditta è la International Rectifier ( http://www.irf.com/ )

          Originariamente inviato da gattmes

          Once upon along ago... ehm c'erano una volta i primi HEXFET che la IR distingueva nella siglatura (p/n) in base alla tensione.. e al numero di celle, leggi grandezza del mosfet interno...
          Il primo numero dopo IRF indicava (ora non +..) la tensione... ma anche il contenitore!
          Parlando del vecchio contenitore interamente metallico di potenza (TO-3) si aveva pertanto:
          1=100V 2=200V 3=400V 4=500V.... quindi un IRF250.. è un mos a 200VDSmax..
          Se invece il contenitore era il semiplastico TO220 ..allora il numero cambiava in:
          5=100V 6=200V 7=400V 8=500V..
          così un IRF520 è sicuramente un 100V e un IRF730 è un 400V
          (tralascio altri contenitori)
          Venne poi l'era del così detto TO3 plastico.... in pratica un più comodo contenitore principalmente plastico dove l'isolamento presente anche sul foro di fissaggio, semplificava il montaggio meccanico sull'aletta di raffreddamento, eliminando l'isolamento della viteria con tutti i problemi derivanti (la parte "inferiore" a contatto con l'aletta era/è sempre in metallo.. e quindi va sempre usato un isolante nella zona di contatto tra componente e aletta)
          La sigla allora si è "dotata" di una P aggiuntiva (P come plastico, plastic in inglese)... ma nulla è cambiato rispetto alla siglatura TO3 classica....
          così un IRFP250 ... è sempre un 200V!

          ----
          Vediamo cosa indica la seconda cifra:
          in pratica il numero di mos elementari/celle usate... ovvero la grandezza del mos (fisica, ma anche di capacità di corrente)
          Un mos "chiuso" (in conduzione) è in pratica una resistenza....
          più mos sono messi in parallelo... più bassa è la resistenza equivalente, quindi anche la potenza (termica) dissipata al passaggio di corrente, quindi maggiore la capacità di trasporto di corrente.

          Si parte da "1" poi c'è "2" che è circa il doppio ... e così via.
          Così un IRF520 presenta circa 0,27 Ohm (dato per 9,2A)... che è metà dei 0,54 Ohm dello IRF510 (5,6A)... mentre uno IRF530 è 0,160 ohm (14A).. non proprio metà ohm del 520, ma quasi...

          e qui mi fermo (non vorrete mica un "libro" storico della IR!!)
          Da notare che la presenza della P dopo IRF non significa che è un mos canale P, ma bensì che è in contenitore plastico.
          La polarità (canale) P è di norma indicata (per questi mos "storici") con un 9 anteposto alla parte numerica.. esempio IRF9630... IRFP9150

          Tale siglatura è stata poi in seguito "adottata" anche da altre ditte produttrici di mos, anche se con tecnologie diverse (Vmos, Tmos...)... ritroviamo per esempio un IRF520 di:
          -Fairchild
          -Siliconix
          -Intersil
          -SGS-Thomson
          -Supertex
          -ecc. ecc.
          (nota alcune ditte oggi hanno nomi diversi .. On Semi.. ST... Vishay..)
          Ovviamente questa ..."manovra commerciale" investiva i mos che si ritenevano (**) perfettamente equivalenti.

          Logicamente poi ci sono versioni "storiche" in contenitori diversi, identificati dall'uso di una lettera diversa (esempio D per gli hexdip tipo IRFD220)

          Oggigiorno da una parte sono nati dispositivi con le più variegate caratteristiche.. si va dai mos logic level.. a quelli a bassa carica di gate Qc.. ai contenitori più strani. Inoltre molte aziende si sono distinte in queste.. diciamo.. ramificazioni, quindi la storica siglatura stile IR è venuta meno.. quindi ritroviamo BUK BUZ, ecc dove l'indicazione della grandezza del DIE/resistenza o tensione max è espressa in modo diverso.. o del tutto omessa!

          (**) Un altro fattore che ha fatto desistere dall'uso di.. sigle altrui ..consiste nel fatto che alcuni parametri "nascosti" non erano ovviamente identici tra un mos esempio IRF520 con tecnologia HEXFET, rispetto ad un IRF520 con tecnologia V(ertical)mos.

          Per esempio è accaduto che in alcune applicazioni che.. aumentavano/progredivano .. di frequenza, grazie appunto all'uso dei mos (es alimentatori a commutazione/switching) hanno portato alcuni fenomeni induttivi alla ribalta... così in certi casi sono "nati" nuovi parametri nei cataloghi/pdf.

          Uno di questi è lo unclamped inductive energy... bene questo dato è esempio notevolmente più alto per gli HEX rispetto i Vmos, nonostante le maschere di quest'ultimi, divenuto comune il discorso, fossero state pure modificate per migliorarla (a qualcuno fischiano le orecchie.. si, lo so..). Non sto scrivendo che i Vmos fanno schifo rispetto gli Hexfet.. sto dicendo che quel parametro è inferiore (e si tratta di far lavorare in breakdown il mos in pratica... darli cioè delle bastonate sopra!), ma altri sono invece migliori! Alcuni ostracizzavano certi fornitori sulla base di questi parametri.. ma si dovevano confrontare con altri che sponsorizzavano sulla base di altri! (..I "fischi" aumentano..)
          Fatto sta che nelle "nuove generazioni" si tende a siglare in modo diverso.. evitando anche i problemi generati da alcuni distratti progettisti/designers che, un po pigri ,leggono solo uno dei cataloghi/fornitori... assumendo i dati identici per tutti gli altri! (Non mi riferisco al caso della unclumped... questo dato una volta mancava proprio nei cataloghi!!)
          Questa è una cosa che NON andrebbe fatta neanche per gli altri semiconduttori: transistor, diodi... ma anche resistenze e condensatori! (I ok)
          Ultima modifica di gattmes; 06-11-2008, 16:42.
          Fare si può! Volerlo dipende da te.

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          Piano cottura induzione: consumo energia 65...70% in meno rispetto uno a gas! Pure a costi doppi dell'elettricità fa risparmiare, almeno 30%! Contrariamente a quanto si dice si può usare con contratti 3 kW, perfino se sprovvisto di limitazione.
          Gas 100% fossile, elettricità 30...100% rinnovabile. Transizione ecologica? Passa all'induzione!

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