Per introdurre il problema muoverei da un vecchio (2008) intervento di Maurizio Pallante che illustra, sposandola evidentemente, una dinamica sempre più evidente nella sfera pubblica contemporanea: “non vi è ipotesi di nuovo impianto per trattare rifiuti, di nuova centrale, di nuova autostrada, che non produca subito in opposizione un comitato di cittadini, spesso svincolato dai partiti e dalle associazioni ambientaliste istituzionali, e quindi difficilmente controllabile, ricco di creatività e inusitata radicalità, capace rapidamente di acquisire competenze tecniche e robuste argomentazioni. Questo fenomeno è la grande novità dell’oggi…”[1]
Il nostro generoso scrittore argomenta, con la sua solita verve, che gli impianti “strategici” in questione “non s’hanno da fare 'nè qui nè altrove' ", in quanto l’Italia “già supera il livello di guardia della 'saturazione' impiantistica, infrastrutturale e cementizia[2]. In definitiva bisogna, a parere “dell’Obiettore di crescita”[3], fermare tutta l’impiantistica pesante e la cementificazione.
Ciò in favore di “alternative dolci, ragionevoli e facilmente praticabili”, come il “riciclaggio spinto dei rifiuti invece di inceneritori e discariche”, il “risparmio energetico e fonti rinnovabili efficienti invece di centrali e rigassificatori”, la “prevenzione e riduzione del traffico e del bisogno trasportistico invece di nuove autostrade e aeroporti”, il “rinnovamento e potenziamento dello sgangherato sistema ferroviario ordinario invece della TAV”.
L’analisi conclude che la sindrome Nimby “non è una malattia, bensì l’estrema salutare reazione di <> dell’ambiente aggredito dalla vera patologia, la metastasi infetta della cementificazione, delle infrastrutture, dell’impiantistica impattante (inceneritori, centrali, rigassificatori, ecc), metastasi che, ahimè, intacca anche gli umani con un corredo pesante di malattie e tumori.”[4]
Una posizione cui non si può negare il pregio della chiarezza. Dal 2008 ad oggi in questa posizione sono rientrati: gli impianti eolici tutti, gli impianti fotovoltaici a terra, tutti gli impianti di biodigestione da rifiuti, molti di quelli a biomassa se grandicelli, praticamente tutte le centrali idroelettiche, etc...
La domanda che si può fare davanti a questa influente[5] impostazione è: dove trova la sua forza?
Non certamente nella bontà degli argomenti, che si limitano ad affermare che non si deve fare più impiantistica (per sempre e da subito?) e in nessun luogo. O che dichiarano la “facilità” di pratiche mai viste in nessuna parte del mondo come il “riciclaggio spinto senza inceneritori né discariche” (cioè senza né l’uno né l’altro, e quindi evidentemente con il 100 % di raccolta differenziata e 0% di scarti a valle delle necessarie selezioni e lavorazioni), o del “risparmio energetico e fonti rinnovabili efficienti”, in totale immediata sostituzione di tutte le fonti fossili senza neppure aspettare il 2020.
Nessuno può negare che sia desiderabile risparmiare energia e produrne quanta più possibile da fonti rinnovabili “efficienti”; oppure che i rifiuti andrebbero ridotti, poi raccolti quanto meglio possibile in modo differenziato e minimizzando l’invio in discarica o a riduzione termica. Ma questo non è facile. Lo è forse per una famiglia, non per l’intero paese e da subito.
Quindi, dove trova la sua forza?
L’immediata formazione di comitati di cittadini, se rappresenta indubbiamente un fattore di vivacità democratica in quanto tale da proteggere e stimolare, ha un carattere ambivalente: può stimolare la critica e revisione dei progetti non abbastanza motivati, o indifferenti alla necessità di un corretto rapporto con il territorio, ma rischia anche di chiudersi in un atteggiamento solo difensivo e aprioristico.
Molto spesso la dinamica muove dall’attenzione, procede alla verifica, poi alla critica, quindi alla generalizzazione, infine radicalizzazione e rifiuto generale “senza sé e senza ma”. Questo processo va di pari passo con il riconoscimento di vincoli di solidarietà di gruppo e di marcatura della differenza inconciliabile verso l’altro e l’esterno. L’iniziativa che si combatte diventa allora “speculazione”, “sfruttamento” del territorio e della “comunità locale”; i toni diventano fortemente emotivi e la percezione del rischio diventa certezza della tragedia incombente. Si arriva, talvolta, a denunciare il “disastro ambientale” per aree di stoccaggio preliminare di rifiuti elettrici ed elettronici presso il Comune (“isole ecologiche”), peraltro indispensabili per la raccolta differenziata che tanto si desidera.
Quando un gruppo attiva questa dinamica movimenta un vero e proprio “riorientamento” verso l’eguale e il vicino, il prossimo, in quanto tale amico e parente. Esprime un allontanamento emotivo e cognitivo dal differente, dalla possibilità del cambiamento e dalla sua congenita incertezza. Questa dinamica, che rappresenta il vero punto di forza di posizioni altrimenti troppo poco differenziate e di teorie generali del mondo come non se ne vedevano da decenni, come quella –peraltro ben espressa- di Pallante, muove dall’incertezza e dalla paura determinata dalla perdita di coesione e leggibilità delle forme di governo e sociali sotto la spinta della mondializzazione e finanziarizzazione.
Un’incertezza particolarmente condivisa in quanti non partecipano dei circuiti vincenti, non fanno parte delle nuove elites cosmopolite, e ne subiscono i contraccolpi in termini di venir meno delle tradizionali forme di tutela. È il grande tema della “precarizzazione” che non riguarda solo i giovani soggetti a “contratti a tempo” o ad altre forme di “flessibilità”, ma letteralmente tutti. L’individuo è oggi più esposto ai possibili rovesci della fortuna e ha meno fiducia che la società “benigna” in ultima istanza lo soccorrerà.
Un tema, questo, praticato da autori come Bauman[6], Beck[7], Sennett[8], che mostrano infatti come la necessità di riorientarsi, di superare lo spaesamento possa (e comprensibilmente) condurre alla ricerca del simile e del vicino, alla difesa del locale, di ciò che ci è prossimo e possiamo perciò conoscere. Di ciò che non cambierà, che non deve cambiare.
[1] - Marizio Pallante, Un programma politico per la Decrescita, Edizioni per la decrescita felice, 2008, p. 57
[2] - Idem. P. 61
[3] - Cioè del seguace della cosiddetta “Teoria della Decrescita” (“felice”).
[4] - Idem, p. 71
[5] - L’autore è uno dei più prolifici scrittori ambientalisti italiani, partner di Beppe Grillo, un’interrogazione sul suo nome evidenzia oltre 40.000 ricorrenze su google.
[6] - ad esempio Zygmun Bauman, Paura Liquida, Laterza 2006; Zygmun Bauman, Voglia di Comunità, Laterza, 2001
[7] - Ad esempio, Ulrich Beck, Costruire la propria vita, Il Mulino, 2008, Ulrich Beck, Conditio umana. Il rischio nell’età globale, Laterza, 2008
[8] - Ad esempio, Richard Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, 1999
Il nostro generoso scrittore argomenta, con la sua solita verve, che gli impianti “strategici” in questione “non s’hanno da fare 'nè qui nè altrove' ", in quanto l’Italia “già supera il livello di guardia della 'saturazione' impiantistica, infrastrutturale e cementizia[2]. In definitiva bisogna, a parere “dell’Obiettore di crescita”[3], fermare tutta l’impiantistica pesante e la cementificazione.
Ciò in favore di “alternative dolci, ragionevoli e facilmente praticabili”, come il “riciclaggio spinto dei rifiuti invece di inceneritori e discariche”, il “risparmio energetico e fonti rinnovabili efficienti invece di centrali e rigassificatori”, la “prevenzione e riduzione del traffico e del bisogno trasportistico invece di nuove autostrade e aeroporti”, il “rinnovamento e potenziamento dello sgangherato sistema ferroviario ordinario invece della TAV”.
L’analisi conclude che la sindrome Nimby “non è una malattia, bensì l’estrema salutare reazione di <
Una posizione cui non si può negare il pregio della chiarezza. Dal 2008 ad oggi in questa posizione sono rientrati: gli impianti eolici tutti, gli impianti fotovoltaici a terra, tutti gli impianti di biodigestione da rifiuti, molti di quelli a biomassa se grandicelli, praticamente tutte le centrali idroelettiche, etc...
La domanda che si può fare davanti a questa influente[5] impostazione è: dove trova la sua forza?
Non certamente nella bontà degli argomenti, che si limitano ad affermare che non si deve fare più impiantistica (per sempre e da subito?) e in nessun luogo. O che dichiarano la “facilità” di pratiche mai viste in nessuna parte del mondo come il “riciclaggio spinto senza inceneritori né discariche” (cioè senza né l’uno né l’altro, e quindi evidentemente con il 100 % di raccolta differenziata e 0% di scarti a valle delle necessarie selezioni e lavorazioni), o del “risparmio energetico e fonti rinnovabili efficienti”, in totale immediata sostituzione di tutte le fonti fossili senza neppure aspettare il 2020.
Nessuno può negare che sia desiderabile risparmiare energia e produrne quanta più possibile da fonti rinnovabili “efficienti”; oppure che i rifiuti andrebbero ridotti, poi raccolti quanto meglio possibile in modo differenziato e minimizzando l’invio in discarica o a riduzione termica. Ma questo non è facile. Lo è forse per una famiglia, non per l’intero paese e da subito.
Quindi, dove trova la sua forza?
L’immediata formazione di comitati di cittadini, se rappresenta indubbiamente un fattore di vivacità democratica in quanto tale da proteggere e stimolare, ha un carattere ambivalente: può stimolare la critica e revisione dei progetti non abbastanza motivati, o indifferenti alla necessità di un corretto rapporto con il territorio, ma rischia anche di chiudersi in un atteggiamento solo difensivo e aprioristico.
Molto spesso la dinamica muove dall’attenzione, procede alla verifica, poi alla critica, quindi alla generalizzazione, infine radicalizzazione e rifiuto generale “senza sé e senza ma”. Questo processo va di pari passo con il riconoscimento di vincoli di solidarietà di gruppo e di marcatura della differenza inconciliabile verso l’altro e l’esterno. L’iniziativa che si combatte diventa allora “speculazione”, “sfruttamento” del territorio e della “comunità locale”; i toni diventano fortemente emotivi e la percezione del rischio diventa certezza della tragedia incombente. Si arriva, talvolta, a denunciare il “disastro ambientale” per aree di stoccaggio preliminare di rifiuti elettrici ed elettronici presso il Comune (“isole ecologiche”), peraltro indispensabili per la raccolta differenziata che tanto si desidera.
Quando un gruppo attiva questa dinamica movimenta un vero e proprio “riorientamento” verso l’eguale e il vicino, il prossimo, in quanto tale amico e parente. Esprime un allontanamento emotivo e cognitivo dal differente, dalla possibilità del cambiamento e dalla sua congenita incertezza. Questa dinamica, che rappresenta il vero punto di forza di posizioni altrimenti troppo poco differenziate e di teorie generali del mondo come non se ne vedevano da decenni, come quella –peraltro ben espressa- di Pallante, muove dall’incertezza e dalla paura determinata dalla perdita di coesione e leggibilità delle forme di governo e sociali sotto la spinta della mondializzazione e finanziarizzazione.
Un’incertezza particolarmente condivisa in quanti non partecipano dei circuiti vincenti, non fanno parte delle nuove elites cosmopolite, e ne subiscono i contraccolpi in termini di venir meno delle tradizionali forme di tutela. È il grande tema della “precarizzazione” che non riguarda solo i giovani soggetti a “contratti a tempo” o ad altre forme di “flessibilità”, ma letteralmente tutti. L’individuo è oggi più esposto ai possibili rovesci della fortuna e ha meno fiducia che la società “benigna” in ultima istanza lo soccorrerà.
Un tema, questo, praticato da autori come Bauman[6], Beck[7], Sennett[8], che mostrano infatti come la necessità di riorientarsi, di superare lo spaesamento possa (e comprensibilmente) condurre alla ricerca del simile e del vicino, alla difesa del locale, di ciò che ci è prossimo e possiamo perciò conoscere. Di ciò che non cambierà, che non deve cambiare.
[1] - Marizio Pallante, Un programma politico per la Decrescita, Edizioni per la decrescita felice, 2008, p. 57
[2] - Idem. P. 61
[3] - Cioè del seguace della cosiddetta “Teoria della Decrescita” (“felice”).
[4] - Idem, p. 71
[5] - L’autore è uno dei più prolifici scrittori ambientalisti italiani, partner di Beppe Grillo, un’interrogazione sul suo nome evidenzia oltre 40.000 ricorrenze su google.
[6] - ad esempio Zygmun Bauman, Paura Liquida, Laterza 2006; Zygmun Bauman, Voglia di Comunità, Laterza, 2001
[7] - Ad esempio, Ulrich Beck, Costruire la propria vita, Il Mulino, 2008, Ulrich Beck, Conditio umana. Il rischio nell’età globale, Laterza, 2008
[8] - Ad esempio, Richard Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, 1999
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