Come tuti sanno da qualche anno gli USA utilizzano a manetta la tecnica del freaking per pompare milioni di barili "shale oil" dal proprio territorio.
Questo ha prodotto molte preoccupazioni in chiave ambientale per i possibili (per ora fortunatamente non rilevati) terremoti e per l'inquinamento.
D'altronde la forte disponibilità di petrolio interno e la conseguente minor importazione ha determinato un fortissimo sollievo all'economia USA, una minor domanda di greggio arabo e russo e quindi minori rischi di tensioni politiche e ricatti energetici (col corollario di un minor interesse americano nell'area mediorientale).
Tutte cose che l'opinione pubblica USA apprezza molto e che ha portato a un forte supporto alla politica di sfruttamento dello shale oil. A dirla alla romana delle preoccupazioni ecologiste "nun gliene frega nulla" come era ampiamente prevedibile vista la dimensione della crisi precedente.
Ora però si sta assistendo a un'evoluzione forse imprevedibile, ma che a mio parere conferma soltanto la necessità e l'impellenza di indirizzare le produzioni energetiche verso fonti rinnovabili controllate dallo stato che le sfrutta!
Infatti il prezzo del greggio, complice la crisi produttiva mondiale, ha subito e sta subendo un forte calo. (Il petrolio accelera il crollo e nell’Opec parte un valzer d’incontri diplomatici - Il Sole 24 ORE).
La cosa mette in grossa difficoltà paesi che dal petrolio hanno tratto la spinta poderosa allo sviluppo, ma che dietro non hanno molto altro (Stati del Golfo) o che hanno pensato di fondare su gas e petrolio una "rivincita" morale e militare (Russia) e che ora ne stanno pagando il prezzo e rischiano.
Ma la cosa più inquietante è la stessa tipologia di industria che sta dietro lo shale oil americano! Infatti la tipologia di estrazione è un vero e proprio sistema di sfruttamento esasperato che si basa su un "mordi e fuggi" (il giacimento dura pochi anni al massimo!) e impone enormi e continui investimenti che in USA sono sopportati da miriadi di piccole aziende che, ovviamente, si sono affidate al credito tornato facile.
Insomma un vero e proprio sistema piramidale che basa tutta la sua esistenza sulla scommessa che ci sarà sempre qualcuno disposto a credere nelle prospettive future e a concedere finanziamenti!
Gli USA dopo la "finanziarizzazione" del mercato immobiliare stanno creando un "finanziarizzazione" della produzione energetica! (Crollo del petrolio e debito spazzatura, la bolla dello shale oil rischia di esplodere - Il Sole 24 ORE)
Dove possa condurre questa scelta è difficile dirlo. Probabilmente un'eventuale scoppio della bolla USA comporterà una poderosa azione di filtraggio e accorpamento delle tante realtà in poche grandi "firm" sulla scia della "bolla informatica" di fine anni 90, ma potrebbe anche determinare un pericolosissimo effetto trascinamento su tutte le economie che stanno puntando sul greggio USA o che comunque sono molto invischiate nell'economia USA, come la Cina!
Insomma, questa ripresa mondiale che esiste seppur debole, potrebbe essere messa a forte rischio da un'eventuale "bolla energetica" e alla fine la zona del mondo che meno si sta giovando di questa ripresa (cioè l'Europa) potrebbe essere quella che ne uscirà con le ossa meno rotte proprio grazie a una politica energetica che sta puntando molto sulle fonti alternative.
O perlomeno questo è l'unico auspicio vagamente ottimistico che son riuscito a trovare...
Questo ha prodotto molte preoccupazioni in chiave ambientale per i possibili (per ora fortunatamente non rilevati) terremoti e per l'inquinamento.
D'altronde la forte disponibilità di petrolio interno e la conseguente minor importazione ha determinato un fortissimo sollievo all'economia USA, una minor domanda di greggio arabo e russo e quindi minori rischi di tensioni politiche e ricatti energetici (col corollario di un minor interesse americano nell'area mediorientale).
Tutte cose che l'opinione pubblica USA apprezza molto e che ha portato a un forte supporto alla politica di sfruttamento dello shale oil. A dirla alla romana delle preoccupazioni ecologiste "nun gliene frega nulla" come era ampiamente prevedibile vista la dimensione della crisi precedente.
Ora però si sta assistendo a un'evoluzione forse imprevedibile, ma che a mio parere conferma soltanto la necessità e l'impellenza di indirizzare le produzioni energetiche verso fonti rinnovabili controllate dallo stato che le sfrutta!
Infatti il prezzo del greggio, complice la crisi produttiva mondiale, ha subito e sta subendo un forte calo. (Il petrolio accelera il crollo e nell’Opec parte un valzer d’incontri diplomatici - Il Sole 24 ORE).
La cosa mette in grossa difficoltà paesi che dal petrolio hanno tratto la spinta poderosa allo sviluppo, ma che dietro non hanno molto altro (Stati del Golfo) o che hanno pensato di fondare su gas e petrolio una "rivincita" morale e militare (Russia) e che ora ne stanno pagando il prezzo e rischiano.
Ma la cosa più inquietante è la stessa tipologia di industria che sta dietro lo shale oil americano! Infatti la tipologia di estrazione è un vero e proprio sistema di sfruttamento esasperato che si basa su un "mordi e fuggi" (il giacimento dura pochi anni al massimo!) e impone enormi e continui investimenti che in USA sono sopportati da miriadi di piccole aziende che, ovviamente, si sono affidate al credito tornato facile.
Insomma un vero e proprio sistema piramidale che basa tutta la sua esistenza sulla scommessa che ci sarà sempre qualcuno disposto a credere nelle prospettive future e a concedere finanziamenti!
Gli USA dopo la "finanziarizzazione" del mercato immobiliare stanno creando un "finanziarizzazione" della produzione energetica! (Crollo del petrolio e debito spazzatura, la bolla dello shale oil rischia di esplodere - Il Sole 24 ORE)
Dove possa condurre questa scelta è difficile dirlo. Probabilmente un'eventuale scoppio della bolla USA comporterà una poderosa azione di filtraggio e accorpamento delle tante realtà in poche grandi "firm" sulla scia della "bolla informatica" di fine anni 90, ma potrebbe anche determinare un pericolosissimo effetto trascinamento su tutte le economie che stanno puntando sul greggio USA o che comunque sono molto invischiate nell'economia USA, come la Cina!
Insomma, questa ripresa mondiale che esiste seppur debole, potrebbe essere messa a forte rischio da un'eventuale "bolla energetica" e alla fine la zona del mondo che meno si sta giovando di questa ripresa (cioè l'Europa) potrebbe essere quella che ne uscirà con le ossa meno rotte proprio grazie a una politica energetica che sta puntando molto sulle fonti alternative.
O perlomeno questo è l'unico auspicio vagamente ottimistico che son riuscito a trovare...
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