Salve a tutti,
è il mio primo messaggio sui forum di EnergeticAmbiente, per cui mi scuso per eventuali imprecisioni, sono parecchio profano (anche se interessato) della materia.
Passo subito al dunque, mi accingo a ristrutturare una casa di campagna, costruita alla fine del 1800 (zona C).
si tratta di una casa su tre piani che alla fine dell'intervento sarà di circa 120 mq (di cui una trentina in veranda profilo termico, vetri bassa trasmittanza). Anche gli infissi verranno ripresi, manterranno i profili in legno ma con il vetro camera 4-9-4 e gas argon. L'intervento prevede anche ristrutturazione e isolamento del tetto.
I muri sono in pietra, spessi c.a. 70 cm. Ci sono dei caloriferi in ghisa che credo siano dei primi decenni del secolo scorso. Si pensava di dismetterli e prevedere un riscaldamento a pavimento, con pompa di calore e impianto fotovoltaico per l'alimentazione. Abbiamo presentato il progetto in Comune pensando a questa soluzione.
Ieri però il termotecnico mi ha detto che senza cappotto (che non era previsto) non se ne parla, perchè la dispersione sarebbe troppo elevata. Ha proposto in alternativa caldaia a biomassa e ripresa dei caloriferi in ghisa. Il problema è che non è stato previsto un locale tecnico e data la logistica della casa e dello spazio circostante non sarebbe facile prevederlo. Anche il posizionamento di una termostufa non sarebbe facile, avendo progettato un piano terra che non ha praticamente spazi di addossamento a parete (a parte la cucina dove però gli spazi stessi mi servono per la cucina appunto).
L'architetto, che è molto attento all'aspetto conservativo) non è molto convinto di installare il cappotto, perchè snaturerebbe la storia e i materiali della casa (io sono più spaventato dai costi), l'ingegnere invece lo ritiene essenziale. Sono tra due fuochi :-), visto che siamo in tema. Cosa mi consigliate? Davvero riscaldamento a pavimento e isolamento con cappotto sono un binomio irrinunciabile? O è possibile prevedere il primo senza il secondo?
Grazie per l'attenzione, Umberto
è il mio primo messaggio sui forum di EnergeticAmbiente, per cui mi scuso per eventuali imprecisioni, sono parecchio profano (anche se interessato) della materia.
Passo subito al dunque, mi accingo a ristrutturare una casa di campagna, costruita alla fine del 1800 (zona C).
si tratta di una casa su tre piani che alla fine dell'intervento sarà di circa 120 mq (di cui una trentina in veranda profilo termico, vetri bassa trasmittanza). Anche gli infissi verranno ripresi, manterranno i profili in legno ma con il vetro camera 4-9-4 e gas argon. L'intervento prevede anche ristrutturazione e isolamento del tetto.
I muri sono in pietra, spessi c.a. 70 cm. Ci sono dei caloriferi in ghisa che credo siano dei primi decenni del secolo scorso. Si pensava di dismetterli e prevedere un riscaldamento a pavimento, con pompa di calore e impianto fotovoltaico per l'alimentazione. Abbiamo presentato il progetto in Comune pensando a questa soluzione.
Ieri però il termotecnico mi ha detto che senza cappotto (che non era previsto) non se ne parla, perchè la dispersione sarebbe troppo elevata. Ha proposto in alternativa caldaia a biomassa e ripresa dei caloriferi in ghisa. Il problema è che non è stato previsto un locale tecnico e data la logistica della casa e dello spazio circostante non sarebbe facile prevederlo. Anche il posizionamento di una termostufa non sarebbe facile, avendo progettato un piano terra che non ha praticamente spazi di addossamento a parete (a parte la cucina dove però gli spazi stessi mi servono per la cucina appunto).
L'architetto, che è molto attento all'aspetto conservativo) non è molto convinto di installare il cappotto, perchè snaturerebbe la storia e i materiali della casa (io sono più spaventato dai costi), l'ingegnere invece lo ritiene essenziale. Sono tra due fuochi :-), visto che siamo in tema. Cosa mi consigliate? Davvero riscaldamento a pavimento e isolamento con cappotto sono un binomio irrinunciabile? O è possibile prevedere il primo senza il secondo?
Grazie per l'attenzione, Umberto
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