Un saluto a tutti
Un paio di amici del forum mi hanno scritto in privato è mi hanno chiesto delucidazioni sulla misura di energia in uscita da parte della cella elettrolitica di cui tanto parliamo in questi tread.
L’argomento è stato già affrontato in passato, ma, rileggendo le varie discussioni, mi accorgo che per il ricercatore che volesse acquisirne la padronanza potrebbe servire molto lavoro di sintesi. Inoltre, le informazioni fornite sono per di più incomplete. Quindi ho pensato di scrivere qualcosa. Premetto che occorrerà distribuire l’intero argomento in un numero maggiore di post a tal proposito ho pensato di dividere l’argomento in lezioni:
Cominciamo a stabilire che per misurare l’energia di uscita di una cella elettrolitica si devono tenere conto tre fattori: l’apporto di energia termica al sistema, il lavoro di espansione dei gas prodotti e l’eventuali reazioni di dissoluzione o di fusione/vaporizzazione degli elettrodi.
Esamineremo tutti e tre i problemi nei prossimi giorni.
Cominciamo con la prima:
Il primo contributore (energia termica), sembra paradossale ma è difficilmente misurabile per una cella aperta come quella normalmente adoperata dai ricercatori di questo forum. Tuttavia, questo contributore è il più importante in termini di dimensioni e quindi se anche fosse effetto da errori (che potrebbero comunque essere determinati), occorre misurarlo alla meno peggio e tenerlo in considerazione come dato fondamentale.
Stiamo parlando cioè dell’energia elettrica che normalmente applichiamo all’ingresso della cella e che si trasforma in gran parte in apporto termico (calorico) che a sua volta è in grado di innalzare la temperatura della cella ed è inoltre in grado di far evaporare discrete quantità di acqua.
Questa quantità di energia calorica si presenta per questo motivo. La corrente elettrica che passa nella cella provvede a dissociare l’acqua in idrogeno e in ossigeno ma, durante gli esperimenti, noi forniamo un potenziale più elevato di quello normalmente necessari per la dissociazione elettrolitica dell’acqua (ricordiamo che la termodinamica prevede un potenziale minimo teorico di 1,23 V). Poiché quindi, noi forniamo un potenziale elettrico molto grande alla cella (300 V non sono bruscolini), la soluzione subisce un riscaldamento per effetto joule.
Per calcolare questa quantità di calore è sufficiente applicare la formula seguente:
Q=m Cp (T2-T1) + Dm 539,4
Dove, “m” è la quantità di acqua (soluzione) in grammi che mettiamo nella cella , “Cp” è il calore specifico che, come vedremo, è approssimabile a 1, “T2” è la temperatura finale della soluzione (normalmente 100°C), “T1” è la temperatura dell’acqua all’inizio della prova, “Dm” è la quantità di acqua evaporata (calcolata come differenza di peso), infine 539,4 cal/g è una costante chiamata “calore latente di evaporazione dell’acqua”. Questa costante è valida solo se la temperatura dell’acqua è 100°C e la pressione atmosferica è normale pari a 1 Atm. Non vi impressionate, Thot in un post precedente ha rappresentato questa costante con un valore diverso ma, in effetti, se osservate bene è lo stesso numero. Il valore dato è solo scritto con unità metrologiche diverse.
Ovviamente questo calcolo sarebbe preciso solo per un contenitore adiabatico, e come sappiamo questo non è il nostro caso. Infatti, la formula non tiene conto delle perdite termiche che normalmente sono presenti fra la cella e l’ambiente circostante.
Tuttavia, lo sperimentatore potrà verificare facilmente che già applicando questa formula il valore di energia ottenuto in uscita è molto più elevato rispetto al valore di energia elettrica applicata alla cella.
In sostanza questo punto è il fattore cruciale da cui dipendono tutte le discussioni di queste sezioni del forum che parlano della cella iorio-cirillo-mizuno ecc, meglio conosciuta GDPE (grazie Thot )
Risulta evidente che per evitare errori deve necessariamente essere misurata con estrema accuratezza la quantità di acqua e la temperatura.
E’ ovvio che se conoscessimo le perdite del nostro sistema (in una prossima lezione vi insegnerò a misurarle), potremo certamente sommare il valore a quello calcolato con la formula sopra riportata per conoscere l’esatto valore dell’apporto energetico di tipo termico che il nostro plasma immette nella cella.
Voglio pero ricordare una cosa importante. Un errore notevole verrebbe commesso se non si tenesse conto del fatto che quando la cella funziona parte dell’acqua viene espulsa per spruzzi. E’ importante che la cella sia provvista di paraspruzzi (vedi l’idea usata dai Casertani) oppure, come faccio io, che la cella sia essa stessa sufficientemente alta in modo che gli spruzzi possono ricadere all’interno della soluzione.
Tenete presente, che per spostare 10 g di acqua a 10 centimetri di altezza (una specie di spruzzo ), fornendo unicamente energia meccanica, occorre spendere (m x g x h ) 2,34 10-4 calorie. Viceversa per portare in ebollizione gli stessi 10 g di acqua e quindi farli evaporare, occorre spendere (10g x 539,4) cioè 5394 calorie. Come vedete l’errore sarebbe troppo elevato se non teniamo conto degli spruzzi.
Speriamo che vi sia stato utile, soprattutto in considerazione del fatto che solo se confrontiamo esattamente i valori che ognuno di noi potrà determinare nel proprio laboratorio, cresceremo tutti quanti…pensateci.
Un abbraccio armonioso a tutti voi
La prossima volta esamineremo i punti rimasti in sospeso.
Edited by Ennio Vocirzio - 13/11/2005, 20:08
Un paio di amici del forum mi hanno scritto in privato è mi hanno chiesto delucidazioni sulla misura di energia in uscita da parte della cella elettrolitica di cui tanto parliamo in questi tread.
L’argomento è stato già affrontato in passato, ma, rileggendo le varie discussioni, mi accorgo che per il ricercatore che volesse acquisirne la padronanza potrebbe servire molto lavoro di sintesi. Inoltre, le informazioni fornite sono per di più incomplete. Quindi ho pensato di scrivere qualcosa. Premetto che occorrerà distribuire l’intero argomento in un numero maggiore di post a tal proposito ho pensato di dividere l’argomento in lezioni:
Cominciamo a stabilire che per misurare l’energia di uscita di una cella elettrolitica si devono tenere conto tre fattori: l’apporto di energia termica al sistema, il lavoro di espansione dei gas prodotti e l’eventuali reazioni di dissoluzione o di fusione/vaporizzazione degli elettrodi.
Esamineremo tutti e tre i problemi nei prossimi giorni.
Cominciamo con la prima:
Il primo contributore (energia termica), sembra paradossale ma è difficilmente misurabile per una cella aperta come quella normalmente adoperata dai ricercatori di questo forum. Tuttavia, questo contributore è il più importante in termini di dimensioni e quindi se anche fosse effetto da errori (che potrebbero comunque essere determinati), occorre misurarlo alla meno peggio e tenerlo in considerazione come dato fondamentale.
Stiamo parlando cioè dell’energia elettrica che normalmente applichiamo all’ingresso della cella e che si trasforma in gran parte in apporto termico (calorico) che a sua volta è in grado di innalzare la temperatura della cella ed è inoltre in grado di far evaporare discrete quantità di acqua.
Questa quantità di energia calorica si presenta per questo motivo. La corrente elettrica che passa nella cella provvede a dissociare l’acqua in idrogeno e in ossigeno ma, durante gli esperimenti, noi forniamo un potenziale più elevato di quello normalmente necessari per la dissociazione elettrolitica dell’acqua (ricordiamo che la termodinamica prevede un potenziale minimo teorico di 1,23 V). Poiché quindi, noi forniamo un potenziale elettrico molto grande alla cella (300 V non sono bruscolini), la soluzione subisce un riscaldamento per effetto joule.
Per calcolare questa quantità di calore è sufficiente applicare la formula seguente:
Q=m Cp (T2-T1) + Dm 539,4
Dove, “m” è la quantità di acqua (soluzione) in grammi che mettiamo nella cella , “Cp” è il calore specifico che, come vedremo, è approssimabile a 1, “T2” è la temperatura finale della soluzione (normalmente 100°C), “T1” è la temperatura dell’acqua all’inizio della prova, “Dm” è la quantità di acqua evaporata (calcolata come differenza di peso), infine 539,4 cal/g è una costante chiamata “calore latente di evaporazione dell’acqua”. Questa costante è valida solo se la temperatura dell’acqua è 100°C e la pressione atmosferica è normale pari a 1 Atm. Non vi impressionate, Thot in un post precedente ha rappresentato questa costante con un valore diverso ma, in effetti, se osservate bene è lo stesso numero. Il valore dato è solo scritto con unità metrologiche diverse.
Ovviamente questo calcolo sarebbe preciso solo per un contenitore adiabatico, e come sappiamo questo non è il nostro caso. Infatti, la formula non tiene conto delle perdite termiche che normalmente sono presenti fra la cella e l’ambiente circostante.
Tuttavia, lo sperimentatore potrà verificare facilmente che già applicando questa formula il valore di energia ottenuto in uscita è molto più elevato rispetto al valore di energia elettrica applicata alla cella.
In sostanza questo punto è il fattore cruciale da cui dipendono tutte le discussioni di queste sezioni del forum che parlano della cella iorio-cirillo-mizuno ecc, meglio conosciuta GDPE (grazie Thot )
Risulta evidente che per evitare errori deve necessariamente essere misurata con estrema accuratezza la quantità di acqua e la temperatura.
E’ ovvio che se conoscessimo le perdite del nostro sistema (in una prossima lezione vi insegnerò a misurarle), potremo certamente sommare il valore a quello calcolato con la formula sopra riportata per conoscere l’esatto valore dell’apporto energetico di tipo termico che il nostro plasma immette nella cella.
Voglio pero ricordare una cosa importante. Un errore notevole verrebbe commesso se non si tenesse conto del fatto che quando la cella funziona parte dell’acqua viene espulsa per spruzzi. E’ importante che la cella sia provvista di paraspruzzi (vedi l’idea usata dai Casertani) oppure, come faccio io, che la cella sia essa stessa sufficientemente alta in modo che gli spruzzi possono ricadere all’interno della soluzione.
Tenete presente, che per spostare 10 g di acqua a 10 centimetri di altezza (una specie di spruzzo ), fornendo unicamente energia meccanica, occorre spendere (m x g x h ) 2,34 10-4 calorie. Viceversa per portare in ebollizione gli stessi 10 g di acqua e quindi farli evaporare, occorre spendere (10g x 539,4) cioè 5394 calorie. Come vedete l’errore sarebbe troppo elevato se non teniamo conto degli spruzzi.
Speriamo che vi sia stato utile, soprattutto in considerazione del fatto che solo se confrontiamo esattamente i valori che ognuno di noi potrà determinare nel proprio laboratorio, cresceremo tutti quanti…pensateci.
Un abbraccio armonioso a tutti voi
La prossima volta esamineremo i punti rimasti in sospeso.
Edited by Ennio Vocirzio - 13/11/2005, 20:08
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