2. Il biochar
terrestri, e corrisponde a più del triplo di quello contenuto in atmosfera. La disponibilità
di ampie superfici e il tempo di residenza relativamente lungo fanno di questo comparto
un sink potenzialmente importante per lo stoccaggio del carbonio atmosferico.
Un metodo innovativo per aumentare la stabilità del carbonio stoccato nel suolo prende
spunto dalla “Terra Preta do Indios”. L’espressione si riferisce a suoli particolarmente
fertili della foresta amazzonica caratterizzati da colore nero, pH alcalino, elevata
concentrazione di nutrienti, alto contenuto in materiale carbonioso, altrimenti noto come
“biochar” o carbone vegetale, prodotto dalla combustione incompleta di parti vegetali e
introdotto volontariamente nel terreno dalle popolazioni locali migliaia di anni fa (Glaser
et al. 2004, Falcão et al. 2003, Erikson et al. 2003).
La carbonificazione di biomasse e l'interramento nei suoli agricoli del biochar così
ottenuto rappresenta potenzialmente una tecnica per gestire i residui vegetali alternativa
alla combustione (che produce immediatamente grosse quantità di CO2), all'abbandono
in superficie o all'interramento dei residui secchi, ma anche al compostaggio, da cui si
origina humus stabile destinato però alla progressiva decomposizione nel giro di pochi
anni. Per massimizzare le dimensioni dello stoccaggio in grado di immobilizzare
rapidamente e permanentemente grosse quantità di anidride carbonica, è necessario
utilizzare processi controllati che consentano di trasformare le biomasse in biochar con
un alto rendimento.
netto di nutrienti, una minore lisciviazione e il miglioramento della fertilità biologica,
consentendo un minor impiego di concimi chimici, con minori spese per gli agricoltori e
minor impatto sull'ambiente, minor consumo di risorse ed energia. Il suo impiego appare
così ideale anche per le colture che impiegano tecniche biologiche, che nonostante siano
fondate sulla sostenibilità ambientale e il rispetto dell'ambiente, attualmente si basano
sull'utilizzo di compost, la cui produzione rilascia una notevole quantità di CO2 in
atmosfera (Harris e Hill, 2007).
I cambiamenti nelle proprietà chimico-fisiche del suolo ammendato con biochar
determinano mutamenti anche nell'ecosistema del terreno, dove si instaurano nuove
relazioni tra radici, batteri e funghi. La disponibilità di nutrienti e l'elevata porosità crea
degli habitat dove i batteri terricoli e le ife fungine possono crescere al riparo dai
predatori, consentendo lo sviluppo di efficienti simbiosi micorriziche.
Un'ulteriore proprietà del biochar consiste nella capacità di adsorbire e trattenere
inquinanti persistenti e cancerogeni. Questo fatto apre interessanti prospettive per
l'utilizzo del biochar anche negli interventi di ripristino ambientale.
Una maggior fertilità si traduce in una maggior efficienza fotosintetica, in un maggior
sviluppo della biomassa e quindi in un maggior sequestro di carbonio e, se la biomassa
viene infine utilizzata per produrre biochar, il ciclo si autoalimenta.
materiali organici viene ottenuta mediante l’applicazione di calore in assenza di agenti
ossidanti (processo anaerobico). Reazioni radicaliche di cracking, a temperature di 400-
800°, causano la scissione dei legami delle molecole di partenza, e il riassemblamento
successivo origina un residuo carbonioso solido (char), un liquido nero viscoso (tar) e
una miscela gassosa composta sostanzialmente da CO e H2 (syngas). Il processo è
esotermico, cioè dopo l'apporto di calore iniziale si autosostiene e porta alla formazione
di quantità minime anidride carbonica. A differenza dei sistemi a combustione la pirolisi
valorizza la biomassa riducendo drasticamente le emissioni di particolato sottile,
sequestrando carbonio nel biochar e quindi riducendo la concentrazione di gas serra in
atmosfera. Rispetto alla combustione il processo permette, inoltre, di sviluppare dalla
biomassa temperature molto più elevate, migliorando notevolmente il potenziale di
efficienza energetica.
La temperatura di pirolisi e il tipo di materiale usato determinano la formazione di
biochar con caratteristiche diverse, tra cui, fra le proprietà di interesse agronomico,
differenze nelle concentrazioni di nutrienti, nella capacità di scambio cationico (CSC) e
nel pH tra i vari tipi di prodotto. Il biochar, infatti, può essere ottenuto a partire da
numerosi tipi di residui: stocchi di mais, gusci di noce o di arachide, pula di riso, scarti di
potatura e di lavorazione del legno. La pirolisi di rifiuti tal quali, utilizzata per lo
smaltimento dei rifiuti, non è applicabile per la produzione di biochar a causa della
presenza di metalli pesanti che andrebbero ad inquinare il suolo, ma è possibile utilizzare
la frazione organica proveniente da raccolta differenziata, in alternativa al compostaggio.
Con opportune condizioni di pirolisi, dalla biomassa si ottiene, oltre al biochar, syngas
combustibile, in cui si ritrova circa il 50% del carbonio iniziale. Questo può essere
utilizzato, oltre che per ottenere gas tecnici come l'idrogeno, come fonte di energia per
avviare una nuova pirolisi (il processo, una volta iniziato, è esotermico), per essiccare le
biomasse fresche da avviare a pirolisi o come combustibile per scopi diversi. In questo
modo, l'energia ottenuta dalla pirolisi non comporta un ulteriore incremento dell'effetto
serra, perché solo metà del carbonio assorbito dalla biomassa viene re-immesso in
atmosfera, mentre la parte rimanente viene immobilizzata nel suolo e ha un'altissima
stabilità. Con la combustione ossidante dei vegetali nelle centrali a biomassa, al
contrario, quasi tutta la CO2 viene restituita all'atmosfera per la produzione di energia,
determinando un bilancio pressoché in pareggio (viene prodotta CO2 anche durante le
colture).
Anche l'interramento dei residui colturali tal quali porta ad una degradazione pressoché
totale della sostanza organica (in pochi anni) con liberazione del 100% del carbonio in
atmosfera, ma in questo caso tutta l'energia viene persa. Per produrne la stessa quantità
si dovranno utilizzare altre fonti. Impiegando combustibili fossili si avrebbe però
un’ulteriore liberazione di CO2.
La produzione di energia dalla pirolisi di biomasse e l'interramento del biochar, consente
di ottenere un bilancio negativo del carbonio immesso in atmosfera. Inoltre il riutilizzo
dei residui (come anche il recupero degli scarti di lavorazione del legno) anziché la
coltivazione di piante a rapida crescita per la produzione di biochar ed energia, evita la
competizione con la produzione di derrate alimentari.
Continua su Obiettivi del progetto (generale e specifici)
2.1 La carbonificazione
Il carbonio organico del suolo costituisce circa due terzi del carbonio negli ecosistemiterrestri, e corrisponde a più del triplo di quello contenuto in atmosfera. La disponibilità
di ampie superfici e il tempo di residenza relativamente lungo fanno di questo comparto
un sink potenzialmente importante per lo stoccaggio del carbonio atmosferico.
Un metodo innovativo per aumentare la stabilità del carbonio stoccato nel suolo prende
spunto dalla “Terra Preta do Indios”. L’espressione si riferisce a suoli particolarmente
fertili della foresta amazzonica caratterizzati da colore nero, pH alcalino, elevata
concentrazione di nutrienti, alto contenuto in materiale carbonioso, altrimenti noto come
“biochar” o carbone vegetale, prodotto dalla combustione incompleta di parti vegetali e
introdotto volontariamente nel terreno dalle popolazioni locali migliaia di anni fa (Glaser
et al. 2004, Falcão et al. 2003, Erikson et al. 2003).
La carbonificazione di biomasse e l'interramento nei suoli agricoli del biochar così
ottenuto rappresenta potenzialmente una tecnica per gestire i residui vegetali alternativa
alla combustione (che produce immediatamente grosse quantità di CO2), all'abbandono
in superficie o all'interramento dei residui secchi, ma anche al compostaggio, da cui si
origina humus stabile destinato però alla progressiva decomposizione nel giro di pochi
anni. Per massimizzare le dimensioni dello stoccaggio in grado di immobilizzare
rapidamente e permanentemente grosse quantità di anidride carbonica, è necessario
utilizzare processi controllati che consentano di trasformare le biomasse in biochar con
un alto rendimento.
2.2 La gestione sostenibile del suolo (SLM)
A fronte di un aumento delle rese agricole, l'impiego del biochar comporta un apportonetto di nutrienti, una minore lisciviazione e il miglioramento della fertilità biologica,
consentendo un minor impiego di concimi chimici, con minori spese per gli agricoltori e
minor impatto sull'ambiente, minor consumo di risorse ed energia. Il suo impiego appare
così ideale anche per le colture che impiegano tecniche biologiche, che nonostante siano
fondate sulla sostenibilità ambientale e il rispetto dell'ambiente, attualmente si basano
sull'utilizzo di compost, la cui produzione rilascia una notevole quantità di CO2 in
atmosfera (Harris e Hill, 2007).
I cambiamenti nelle proprietà chimico-fisiche del suolo ammendato con biochar
determinano mutamenti anche nell'ecosistema del terreno, dove si instaurano nuove
relazioni tra radici, batteri e funghi. La disponibilità di nutrienti e l'elevata porosità crea
degli habitat dove i batteri terricoli e le ife fungine possono crescere al riparo dai
predatori, consentendo lo sviluppo di efficienti simbiosi micorriziche.
Un'ulteriore proprietà del biochar consiste nella capacità di adsorbire e trattenere
inquinanti persistenti e cancerogeni. Questo fatto apre interessanti prospettive per
l'utilizzo del biochar anche negli interventi di ripristino ambientale.
Una maggior fertilità si traduce in una maggior efficienza fotosintetica, in un maggior
sviluppo della biomassa e quindi in un maggior sequestro di carbonio e, se la biomassa
viene infine utilizzata per produrre biochar, il ciclo si autoalimenta.
2.3 Come si produce il biochar
Il biochar può essere ottenuto mediante pirolisi: la decomposizione termochimica dimateriali organici viene ottenuta mediante l’applicazione di calore in assenza di agenti
ossidanti (processo anaerobico). Reazioni radicaliche di cracking, a temperature di 400-
800°, causano la scissione dei legami delle molecole di partenza, e il riassemblamento
successivo origina un residuo carbonioso solido (char), un liquido nero viscoso (tar) e
una miscela gassosa composta sostanzialmente da CO e H2 (syngas). Il processo è
esotermico, cioè dopo l'apporto di calore iniziale si autosostiene e porta alla formazione
di quantità minime anidride carbonica. A differenza dei sistemi a combustione la pirolisi
valorizza la biomassa riducendo drasticamente le emissioni di particolato sottile,
sequestrando carbonio nel biochar e quindi riducendo la concentrazione di gas serra in
atmosfera. Rispetto alla combustione il processo permette, inoltre, di sviluppare dalla
biomassa temperature molto più elevate, migliorando notevolmente il potenziale di
efficienza energetica.
La temperatura di pirolisi e il tipo di materiale usato determinano la formazione di
biochar con caratteristiche diverse, tra cui, fra le proprietà di interesse agronomico,
differenze nelle concentrazioni di nutrienti, nella capacità di scambio cationico (CSC) e
nel pH tra i vari tipi di prodotto. Il biochar, infatti, può essere ottenuto a partire da
numerosi tipi di residui: stocchi di mais, gusci di noce o di arachide, pula di riso, scarti di
potatura e di lavorazione del legno. La pirolisi di rifiuti tal quali, utilizzata per lo
smaltimento dei rifiuti, non è applicabile per la produzione di biochar a causa della
presenza di metalli pesanti che andrebbero ad inquinare il suolo, ma è possibile utilizzare
la frazione organica proveniente da raccolta differenziata, in alternativa al compostaggio.
Con opportune condizioni di pirolisi, dalla biomassa si ottiene, oltre al biochar, syngas
combustibile, in cui si ritrova circa il 50% del carbonio iniziale. Questo può essere
utilizzato, oltre che per ottenere gas tecnici come l'idrogeno, come fonte di energia per
avviare una nuova pirolisi (il processo, una volta iniziato, è esotermico), per essiccare le
biomasse fresche da avviare a pirolisi o come combustibile per scopi diversi. In questo
modo, l'energia ottenuta dalla pirolisi non comporta un ulteriore incremento dell'effetto
serra, perché solo metà del carbonio assorbito dalla biomassa viene re-immesso in
atmosfera, mentre la parte rimanente viene immobilizzata nel suolo e ha un'altissima
stabilità. Con la combustione ossidante dei vegetali nelle centrali a biomassa, al
contrario, quasi tutta la CO2 viene restituita all'atmosfera per la produzione di energia,
determinando un bilancio pressoché in pareggio (viene prodotta CO2 anche durante le
colture).
Anche l'interramento dei residui colturali tal quali porta ad una degradazione pressoché
totale della sostanza organica (in pochi anni) con liberazione del 100% del carbonio in
atmosfera, ma in questo caso tutta l'energia viene persa. Per produrne la stessa quantità
si dovranno utilizzare altre fonti. Impiegando combustibili fossili si avrebbe però
un’ulteriore liberazione di CO2.
La produzione di energia dalla pirolisi di biomasse e l'interramento del biochar, consente
di ottenere un bilancio negativo del carbonio immesso in atmosfera. Inoltre il riutilizzo
dei residui (come anche il recupero degli scarti di lavorazione del legno) anziché la
coltivazione di piante a rapida crescita per la produzione di biochar ed energia, evita la
competizione con la produzione di derrate alimentari.
Continua su Obiettivi del progetto (generale e specifici)