Riporto questo articolo da un noto e diffuso sito di informazione pensiamoci bene ed attivatevi.
MetS
Istat critica taglio cuneo fiscale
Bassi redditi per 4 milioni di italiani
In Italia c'è una forte diseguaglianza tra i redditi e ci sono oltre 4 milioni di lavoratori che hanno entrate mensili inferiori a 700 euro. Di questi buona parte vive in famiglie economicamente disagiate. E' quanto scrive l'Istat nel rapporto annuale nel quale non risparmia neppure aspre critiche al taglio di 5 punti del cuneo fiscale programmato dal nuovo governo. "Disincentiva l'innovazione e premia le imprese meno produttive", scrive l'Istat.
IN ITALIA 4 MILIONI DI LAVORATORI A BASSO REDDITO
In Italia c'è una forte disparità tra i redditi, di gran lunga più alta rispetto ai principali paesi europei, ha affermato il presidente dell'Istat Biggeri. La diseguaglianza complessiva dipende più dalle differenze interne ai gruppi di famiglie e alle ripartizioni, in particolare da quelle che caratterizzano il sud e le isole, che dal divario tra i ceti medi. Una situazione che vede sperequazioni all'interno delle stesse aree con condizioni di agiatezza e povertà che convivono.
E a proposito di povertà, l'istituto di statistica specifica che nel Belpaese "ci sono oltre 4 milioni di lavoratori a basso reddito, sotto 700 euro mensili, di cui 1,5 milioni vive in famiglie in condizioni di disagio economico".
Il rapporto nota che a fronte di una economia segnata nel 2005 dal "ristagno della domanda e dell'attività", il 2006 "è iniziato con forti segnali di ripresa e un rafforzamento dell'attività economica".
Tuttavia, secondo Biggeri, rimane ancora relativamente debole il contributo dei consumi delle famiglie, in particolare per la componente dei beni non durevoli.
2,6 MILIONI DI FAMIGLIE SONO POVERE
Circa 2,6 milioni di famiglie (l'11,7% del totale) corrispondenti a 7,6 milioni di individui, sono relativamente povere. Un valore che negli ultimi otto anni si è mantenuto stabile (tra il 10,8% e il 12,3%). La povertà riguarda, in particolare, il Sud, le famiglie numerose, quelle con disoccupati e gli anziani soli. Ma anche tra i lavoratori precari è sempre più forte la concentrazione di persone a redditi molto bassi.
Nel 2003 il reddito netto delle famiglie residenti in Italia, esclusi i fitti imputati (il reddito aggiuntivo di cui godono i proprietari di case per il fatto di non pagare l'affitto), è di circa 2.079 euro al mese. Una famiglia su due ha un reddito mensile netto inferiore ai 1.670 euro, con quelle del Sud che percepiscono circa tre quarti di quello che guadagnano le famiglie del Nord. Possono contare su entrate maggiori i nuclei che hanno come fonte principale il reddito da lavoro autonomo (2.980 euro al mese).
GLI ITALIANI LAVORANO PIU' ORE RISPETTO ALLA MEDIA UE
Per quanto riguarda il lavoro, il presidente dell'Istat rileva che i giovani hanno difficoltà di accesso, mentre per quanto riguarda il lavoro a termine c'è una "bassa incidenza". Uno dei problemi dell'Italia, spiega Biggeri, è la scarsa valorizzazione del capitale umano.
Gli italiani, poi lavorano di più rispetto alla media dei paesi Ue 15: 38,1 ore a settimana contro 36,9. A pesare, la minore partecipazione femminile al lavoro, la minore diffusione del part-time (12,8% contro 20,2% della media europea) e la maggiore diffusione di microimprese e di lavoratori autonomi (27% circa), segmenti del mercato in cui l'orario di lavoro è superiore a quello medio.
Consistente sono poi i lavoratori sottoinquadrati: sono 3,7 milioni coloro che possiedono un titolo di studio superiore a quello richiesto dalla loro professione. Nella maggior parte dei casi si tratta di giovani con un livello medio-alto di istruzione che da pochi anni hanno concluso il loro percorso di studi. L'Italia, inoltre, è l'unico paese europeo in cui il tasso di occupazione tra i 20 e il 29 anni è inferiore a quello dei coetanei con un livello di istruzione inferiore.
Meglio va per le retribuzioni, che nel biennio 2004-2005 hanno subito un'accelerazione. A fonte di un'inflazione effettiva che supera costantemente quella programmatica - spiega l'Istat - i sindacati puntano al pieno recupero del potere d'acquisto.
PREZZI A RISCHIO CON ASPETTATIVE SALARIALI
L'inflazione, che si è mantenuta sotto controllo negli ultimi mesi, potrebbe risalire a causa delle pressioni salariali dal mondo del lavoro, dice Biggeri.
"L'accumularsi di aspettative di recupero salariale, in parte rese probabili dai ritardi dei rinnovi contrattuali e dall'incompleto recupero della perdita di potere d'acquisto può avere effetti destabilizzanti sulla dinamica dei prezzi e sul quadro macroeconomico".
Il presidente dell'Istat ha anche ricordato i rischi sull'inflazione che possono derivare dall'aumento del prezzo del petrolio e da un possibile rafforzamento dell'euro rispetto al dollaro.
INADEGUATI I SERVIZI SOCIALI
Divari e fragilita' si ricontrano anche nel welfare. "Ancora inadeguati" appaiono i servizi sociali, con "una forte incidenza delle spese per prestazioni monetarie, soprattutto le pensioni, a scapito della componente dei servizi alla persona". Permagono, poi, "ampi divari territoriali di spesa sociale", con il Sud penalizzato soprattutto nel settore della sanita'. "La differenza di spesa sociale per abitante tra la regione che spende di piu' e quella che spende di meno e' pari a quasi 2mila euro l'anno", denuncia Biggeri.
IL TAGLIO DEL CUNEO FISCALE DISINCENTIVA L'INNOVAZIONE
L'annunciata misura del taglio del cuneo fiscale puo' essere salutare ai fini della competitività delle imprese, ma "rischia di fornire un disincentivo all'innovazione". Scrive l'Istat nel rapporto. "Le misure in discussione sulla riduzione del cuneo contributivo forniscono segnali solo parzialmente coerenti con le esigenze di trasformazione del sistema delle imprese. La riduzione proposta di 5 punti percentuali dei contributi sociali, con un costo netto per il bilancio pubblico pari a circa 10 miliardi di euro - spiega il presidente Biggeri- avrebbe l'effetto di ridurre il costo del lavoro e aumentare la redditività lorda di circa 2-3 punti percentuali se l'intero risparmio andasse a favore delle imprese. Ciò rappresenterebbe uno choc positivo in termini di competitività, ancorchè una tantum. Questa misura rischia però di fornire un disincentivo all'innovazione di prodotto e di processo e al passaggio verso tecnologie piu' capital-intensive e, in assenza di meccanismi di selezione virtuosa, premerebbe sostanzialmente le imprese meno produttive".
Per Biggeri anche "se una parte dei benefici fosse trasferita ai lavoratori, l'impatto sui redditi disponibili delle famiglie sarebbe comunque modesto, senza concentrarsi su quelle in condizioni di disagio a meno che non si limiti il provvedimento a gruppi target selezionati".
FORTE RITARDO NELLE TECNOLOGIE, SIAMO COME 20 ANNI FA
Il nostro sistema economico resta antiquato e "la situazione dell'Italia e' caratterizzata dal permanere di un forte ritardo nella produzione di tecnologie e nel loro impiego nel sistema economico", rileva l'Istat aggiungendo che "qualche miglioramento relativo si è invece manifestato per quanto riguarda la formazione di risorse umane, sia pure in maniera non uniforme". In ricerca e sviluppo la spesa dell'Italia "e' rimasta intorno a un livello poco superiore all'1% del Pil, come a meta' degli anni Ottanta". In Germania si spende il 2,5%, in Francia il 2,2% e nel Regno Unito l'1,8-1,9%. "Un divario notevole" con il resto d'Europa emerge anche nell'ambito delle tecnologie dell'informazione
MetS
Istat critica taglio cuneo fiscale
Bassi redditi per 4 milioni di italiani
In Italia c'è una forte diseguaglianza tra i redditi e ci sono oltre 4 milioni di lavoratori che hanno entrate mensili inferiori a 700 euro. Di questi buona parte vive in famiglie economicamente disagiate. E' quanto scrive l'Istat nel rapporto annuale nel quale non risparmia neppure aspre critiche al taglio di 5 punti del cuneo fiscale programmato dal nuovo governo. "Disincentiva l'innovazione e premia le imprese meno produttive", scrive l'Istat.
IN ITALIA 4 MILIONI DI LAVORATORI A BASSO REDDITO
In Italia c'è una forte disparità tra i redditi, di gran lunga più alta rispetto ai principali paesi europei, ha affermato il presidente dell'Istat Biggeri. La diseguaglianza complessiva dipende più dalle differenze interne ai gruppi di famiglie e alle ripartizioni, in particolare da quelle che caratterizzano il sud e le isole, che dal divario tra i ceti medi. Una situazione che vede sperequazioni all'interno delle stesse aree con condizioni di agiatezza e povertà che convivono.
E a proposito di povertà, l'istituto di statistica specifica che nel Belpaese "ci sono oltre 4 milioni di lavoratori a basso reddito, sotto 700 euro mensili, di cui 1,5 milioni vive in famiglie in condizioni di disagio economico".
Il rapporto nota che a fronte di una economia segnata nel 2005 dal "ristagno della domanda e dell'attività", il 2006 "è iniziato con forti segnali di ripresa e un rafforzamento dell'attività economica".
Tuttavia, secondo Biggeri, rimane ancora relativamente debole il contributo dei consumi delle famiglie, in particolare per la componente dei beni non durevoli.
2,6 MILIONI DI FAMIGLIE SONO POVERE
Circa 2,6 milioni di famiglie (l'11,7% del totale) corrispondenti a 7,6 milioni di individui, sono relativamente povere. Un valore che negli ultimi otto anni si è mantenuto stabile (tra il 10,8% e il 12,3%). La povertà riguarda, in particolare, il Sud, le famiglie numerose, quelle con disoccupati e gli anziani soli. Ma anche tra i lavoratori precari è sempre più forte la concentrazione di persone a redditi molto bassi.
Nel 2003 il reddito netto delle famiglie residenti in Italia, esclusi i fitti imputati (il reddito aggiuntivo di cui godono i proprietari di case per il fatto di non pagare l'affitto), è di circa 2.079 euro al mese. Una famiglia su due ha un reddito mensile netto inferiore ai 1.670 euro, con quelle del Sud che percepiscono circa tre quarti di quello che guadagnano le famiglie del Nord. Possono contare su entrate maggiori i nuclei che hanno come fonte principale il reddito da lavoro autonomo (2.980 euro al mese).
GLI ITALIANI LAVORANO PIU' ORE RISPETTO ALLA MEDIA UE
Per quanto riguarda il lavoro, il presidente dell'Istat rileva che i giovani hanno difficoltà di accesso, mentre per quanto riguarda il lavoro a termine c'è una "bassa incidenza". Uno dei problemi dell'Italia, spiega Biggeri, è la scarsa valorizzazione del capitale umano.
Gli italiani, poi lavorano di più rispetto alla media dei paesi Ue 15: 38,1 ore a settimana contro 36,9. A pesare, la minore partecipazione femminile al lavoro, la minore diffusione del part-time (12,8% contro 20,2% della media europea) e la maggiore diffusione di microimprese e di lavoratori autonomi (27% circa), segmenti del mercato in cui l'orario di lavoro è superiore a quello medio.
Consistente sono poi i lavoratori sottoinquadrati: sono 3,7 milioni coloro che possiedono un titolo di studio superiore a quello richiesto dalla loro professione. Nella maggior parte dei casi si tratta di giovani con un livello medio-alto di istruzione che da pochi anni hanno concluso il loro percorso di studi. L'Italia, inoltre, è l'unico paese europeo in cui il tasso di occupazione tra i 20 e il 29 anni è inferiore a quello dei coetanei con un livello di istruzione inferiore.
Meglio va per le retribuzioni, che nel biennio 2004-2005 hanno subito un'accelerazione. A fonte di un'inflazione effettiva che supera costantemente quella programmatica - spiega l'Istat - i sindacati puntano al pieno recupero del potere d'acquisto.
PREZZI A RISCHIO CON ASPETTATIVE SALARIALI
L'inflazione, che si è mantenuta sotto controllo negli ultimi mesi, potrebbe risalire a causa delle pressioni salariali dal mondo del lavoro, dice Biggeri.
"L'accumularsi di aspettative di recupero salariale, in parte rese probabili dai ritardi dei rinnovi contrattuali e dall'incompleto recupero della perdita di potere d'acquisto può avere effetti destabilizzanti sulla dinamica dei prezzi e sul quadro macroeconomico".
Il presidente dell'Istat ha anche ricordato i rischi sull'inflazione che possono derivare dall'aumento del prezzo del petrolio e da un possibile rafforzamento dell'euro rispetto al dollaro.
INADEGUATI I SERVIZI SOCIALI
Divari e fragilita' si ricontrano anche nel welfare. "Ancora inadeguati" appaiono i servizi sociali, con "una forte incidenza delle spese per prestazioni monetarie, soprattutto le pensioni, a scapito della componente dei servizi alla persona". Permagono, poi, "ampi divari territoriali di spesa sociale", con il Sud penalizzato soprattutto nel settore della sanita'. "La differenza di spesa sociale per abitante tra la regione che spende di piu' e quella che spende di meno e' pari a quasi 2mila euro l'anno", denuncia Biggeri.
IL TAGLIO DEL CUNEO FISCALE DISINCENTIVA L'INNOVAZIONE
L'annunciata misura del taglio del cuneo fiscale puo' essere salutare ai fini della competitività delle imprese, ma "rischia di fornire un disincentivo all'innovazione". Scrive l'Istat nel rapporto. "Le misure in discussione sulla riduzione del cuneo contributivo forniscono segnali solo parzialmente coerenti con le esigenze di trasformazione del sistema delle imprese. La riduzione proposta di 5 punti percentuali dei contributi sociali, con un costo netto per il bilancio pubblico pari a circa 10 miliardi di euro - spiega il presidente Biggeri- avrebbe l'effetto di ridurre il costo del lavoro e aumentare la redditività lorda di circa 2-3 punti percentuali se l'intero risparmio andasse a favore delle imprese. Ciò rappresenterebbe uno choc positivo in termini di competitività, ancorchè una tantum. Questa misura rischia però di fornire un disincentivo all'innovazione di prodotto e di processo e al passaggio verso tecnologie piu' capital-intensive e, in assenza di meccanismi di selezione virtuosa, premerebbe sostanzialmente le imprese meno produttive".
Per Biggeri anche "se una parte dei benefici fosse trasferita ai lavoratori, l'impatto sui redditi disponibili delle famiglie sarebbe comunque modesto, senza concentrarsi su quelle in condizioni di disagio a meno che non si limiti il provvedimento a gruppi target selezionati".
FORTE RITARDO NELLE TECNOLOGIE, SIAMO COME 20 ANNI FA
Il nostro sistema economico resta antiquato e "la situazione dell'Italia e' caratterizzata dal permanere di un forte ritardo nella produzione di tecnologie e nel loro impiego nel sistema economico", rileva l'Istat aggiungendo che "qualche miglioramento relativo si è invece manifestato per quanto riguarda la formazione di risorse umane, sia pure in maniera non uniforme". In ricerca e sviluppo la spesa dell'Italia "e' rimasta intorno a un livello poco superiore all'1% del Pil, come a meta' degli anni Ottanta". In Germania si spende il 2,5%, in Francia il 2,2% e nel Regno Unito l'1,8-1,9%. "Un divario notevole" con il resto d'Europa emerge anche nell'ambito delle tecnologie dell'informazione
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