Replica di esperimento di fusione fredda secondo il metodo dei giapponesi Mizuno-Ohmori, già replicato dal francese Naudin e dagli italiani Dattilo-Cirillo-Iorio.
Sicuramente qualcuno di voi era assieme a me, al convegno del 17-18 Aprile a Grottammare sulle nuove energie; era presente anche la rivista nexus, vedi www.progettomeg.it - www.jlnlabs.org .
Il giorno 18 siamo stati stupiti dalla dimostrazione dal vivo di un esperimento di fusione fredda in cella elettrolitica, eseguito e commentato dai ricercatori Dattilo-Cirillo-Iorio; veniva usata una soluzione di carbonato di potassio con due elettrodi di tungsteno, alimentati con corrente continua ricavata dal raddrizzamento della tensione di rete, variata con un variac, e livellata con condensatori elettrolitici.
Tornato a casa entusiasta, mi sono deciso di replicare l’esperimento; ho eseguito decine di prove,
così oggi posso comunicarvi la mia esperienza, tesa ad un risultato eclatante, anche se non sono attrezzato per una analisi quantitativa sul rendimento della cella elettrolitica.
Posso ora dirvi che non è necessario un vaso beaker in pyrex, ma basta un vasetto da marmellata a collo largo; non è necessaria acqua distillata, basta acqua da rubinetto; non è necessario carbonato di potassio, ma basta un sale qualsiasi, anche il bicarbonato di sodio, chiesto in prestito alla moglie può servire allo scopo, io ho trovato interessante il sodio nitrito, in quanto non intorbidisce la soluzione.
Il sale ha il solo scopo di rendere conduttiva l’acqua, non entra in gioco nella reazione perché si ottiene lo stesso risultato con sali diversi; ho addirittura usato sale marino iodato da cucina.
Si possono usare elettrodi di qualsiasi metallo, l’effetto sarà il medesimo; solo il rame, ricavato da un cavo elettrico rigido, mi ha dato una luminosità verde-blu molto spettacolare.
Consiglio di usare all’inizio elettrodi di acciaio inox, ricavati da filo di circa 2 mm. di diametro;
si taglia un pezzo lungo il doppio dell’altezza del vaso, lo si piega al centro fino a far toccare gli estremi, ad una delle estremità vi si collega con un morsetto il cavo elettrico, che và al (positivo) del generatore di corrente, questo elettrodo sarà l’anodo ed andrà infilato come una graffetta sulla parete del vaso, che io consiglio sia un beaker in pyrex oppure in duran, del costo di pochi euro, non correrete il rischio che si rompa al contatto con il catodo rovente.
Il catodo dovrà essere manovrato con le mani, per poter gestire la regolazione della reazione.
Si prende un pezzo di filo metallico che può essere anche diverso da quello dell’anodo, la lunghezza deve essere almeno di 10 cm. vi si collega con un morsetto il cavo elettrico, di sezione almeno 2,5 mm. quadrati, detto filo andrà al (negativo) del generatore di corrente.
A questo punto abbiamo il vaso con fissato a graffetta l’anodo, riempiamo di acqua qualsiasi fino a ¾ del vaso, versiamo un paio di cucchiaini da caffè del sale che desideriamo, (lasciate il sale marino a quando avrete acquisito esperienza e usatene poco perché è molto conduttivo), con il cucchiaino mescoliamo bene affinché si sciolga bene il sale.
Non occorre preriscaldare la soluzione, la reazione parte anche a 20 gradi centigradi.
Mi raccomando, c’è pericolo di morte per fulminazione, quindi assicuratevi di avere sul vostro impianto elettrico un interruttore salvavita, acquistate inoltre un paio di guanti dielettrici di sicurezza per lavori su parti in tensione ed indossateli; sarebbe opportuno indossare anche occhiali di sicurezza.
Ora prendiamo una pinza grande isolata a 1000 volt, con questa afferreremo il morsetto che stringe il catodo, diamo corrente agli elettrodi lasciando solo l’anodo a bagno, con cautela avvicineremo il catodo alla superficie del liquido; udirete ad un certo punto una serie di scoppiettii, indice della reazione di fusione o fissione fredda, (ancora nessuno ha saputo dare una spiegazione chiara del fenomeno).
Gli scoppiettii che dicevo, sono prodotti dalla reazione violenta che genera una altissima temperatura nel metallo, l’acqua bolle immediatamente nelle sue vicinanze, abbassandosi di livello in quel punto, questo è il primo scoppio, poi l’acqua ritorna su, tocca il metallo ed inizia una nuova reazione.
Così sentirete un rumore assordante come di mitragliatrice, voleranno schizzi di acqua bollente ma se sarete protetti non succederà nulla, potrete affondare di qualche millimetro il catodo nel liquido e noterete subito che inizierà a diventare rovente fino a fondere e cadere come goccia sul fondo del vaso, se non sarà di vetro pyrex o duran, si spaccherà, altrimenti lascerà solo un segno di fusione sulla superficie del fondo.
Io ho fuso un tondino di acciaio armonico di 4 mm. di diametro con solamente 2 ampere di corrente.
Tenete presente che in certe condizioni la reazione si spegne, ma a questo punto possono passare anche 10 ampere e gli elettrodi restano freddi, questa è la prova che non è il passaggio di corrente che riscalda fino alla fusione il metallo.
La tensione di rete dovrebbe essere stata unificata in tutta Italia a 230 volt c.a., che raddrizzata diventa 300 volt c.c.
La reazione si spegne quando variamo la tensione sotto i 150 volt c.c. oppure se immergiamo troppo il catodo. In questo caso si ottiene solo l’ elettrolisi dell’acqua, con produzione di ossigeno all’anodo e il doppio in volume di idrogeno al catodo; oltre a bolle di vapore d’acqua, in quanto fornendo 300 volt a 10 ampere di corrente si ha una immissione di 3000 watt di energia alla cella elettrolitica, che nonostante tutto, non rende incandescenti gli elettrodi, ma ribolle come una pentola infernale.
Possiamo far ripartire quando vogliamo la reazione, alzando la tensione di lavoro oppure riportando vicino alla superficie il catodo per poi affondarlo lentamente.
Vi riporto le temperature di fusione di alcuni metalli:
alluminio 660 °C
rame 1083 °C
ferro 1536 °C
tungsteno 3410 °C
Il tungsteno sono riuscito a portarlo al color bianco, non ha fuso a goccia come il ferro ma si è elettrocorroso in pochi secondi, trasformando la bacchetta cilindrica di 2,4 mm. di diametro in una punta conica, lasciando una fanghiglia sul fondo.
Con un contatore Geiger RAM 63/1 ho misurato se vi era una emissione di radiazioni, ma non ho notato nessun cambiamento rispetto alla normale radiazione naturale di fondo, sempre presente ovunque, sia come radiazione ALFA, BETA e GAMMA.
Purtroppo questo è un punto che viene preso in considerazione da chi è scettico sulla fusione fredda.
Io dico comunque che questo tipo di reazione essendo di tipo nuovo, cioè non ancora studiato a fondo, non implica che ci debba essere emissione di radiazioni, ma solo sviluppo di calore; eventualmente una emissione di neutroni a debole energia, misurabili solo con costosi strumenti.
Credo che questa reazione endotermica, sia generata dagli ioni H+ dell’acqua che colpiscono il catodo, sicuramente saprete che gli ioni H+ non sono più atomi, ma singoli protoni; quindi si ha un bombardamento di raggi protonici che si incuneano nel nucleo del metallo del catodo, questo provoca uno scombussolamento nell’atomo del metallo trasmutandolo in un altro elemento della tavola periodica degli elementi. Quando si spegne questa reazione, subentra la conosciutissima reazione di elettrolisi dell’acqua; in questo caso gli ioni H+ incontrano un elettrone prima di toccare il catodo, perché questo elettrodo è talmente carico di cariche negative che sputa elettroni in ogni direzione.
È interessante notare come si comporta diversamente la cella elettrolitica nei due casi; quando lavora in elettrolisi, la cella produce agli elettrodi bollicine molto piccole, di idrogeno al catodo ed ossigeno all’anodo; quando invece innesca la reazione (nucleare?) si ha un brusco cambiamento, all’anodo si riducono quasi a zero le bollicine di ossigeno, mentre al catodo si ha una rapida produzione di bolle grosse di vapore d’acqua con repentino arrossamento dell’elettrodo, che può anche arrivare alla fusione se la soluzione è vicino alla saturazione, in quanto sono disponibili più protoni H+.
Saprete sicuramente che vi è uno spartiacque nella tavola degli elementi, costituito dal ferro; per ottenere energia dagli elementi più leggeri del ferro, bisogna fare una fusione, cioè attaccargli dei protoni ( ed eventualmente anche neutroni ) per creare un elemento più pesante.
Se partiamo da elementi più pesanti del ferro, dobbiamo spaccarli ed ottenere elementi più leggeri per ottenere energia, questo si chiama fissione; in questo caso vi è quasi sempre anche emissione di neutroni perché negli elementi leggeri ne servono di meno.
Se queste reazioni avvengono in una cella elettrolitica, che al massimo ha una temperatura di
100 °C, si definiscono fusione fredda o fissione fredda perché nei reattori nucleari avvengono a milioni di gradi centigradi.
Chi vuole realizzare questo esperimento in ambito domestico, deve usare la massima cautela, in quanto potrebbero essere emessi dei neutroni, i quali sono molto pericolosi per la salute perché molto penetranti.
Renzo Mondaini (Ravenna)
Sicuramente qualcuno di voi era assieme a me, al convegno del 17-18 Aprile a Grottammare sulle nuove energie; era presente anche la rivista nexus, vedi www.progettomeg.it - www.jlnlabs.org .
Il giorno 18 siamo stati stupiti dalla dimostrazione dal vivo di un esperimento di fusione fredda in cella elettrolitica, eseguito e commentato dai ricercatori Dattilo-Cirillo-Iorio; veniva usata una soluzione di carbonato di potassio con due elettrodi di tungsteno, alimentati con corrente continua ricavata dal raddrizzamento della tensione di rete, variata con un variac, e livellata con condensatori elettrolitici.
Tornato a casa entusiasta, mi sono deciso di replicare l’esperimento; ho eseguito decine di prove,
così oggi posso comunicarvi la mia esperienza, tesa ad un risultato eclatante, anche se non sono attrezzato per una analisi quantitativa sul rendimento della cella elettrolitica.
Posso ora dirvi che non è necessario un vaso beaker in pyrex, ma basta un vasetto da marmellata a collo largo; non è necessaria acqua distillata, basta acqua da rubinetto; non è necessario carbonato di potassio, ma basta un sale qualsiasi, anche il bicarbonato di sodio, chiesto in prestito alla moglie può servire allo scopo, io ho trovato interessante il sodio nitrito, in quanto non intorbidisce la soluzione.
Il sale ha il solo scopo di rendere conduttiva l’acqua, non entra in gioco nella reazione perché si ottiene lo stesso risultato con sali diversi; ho addirittura usato sale marino iodato da cucina.
Si possono usare elettrodi di qualsiasi metallo, l’effetto sarà il medesimo; solo il rame, ricavato da un cavo elettrico rigido, mi ha dato una luminosità verde-blu molto spettacolare.
Consiglio di usare all’inizio elettrodi di acciaio inox, ricavati da filo di circa 2 mm. di diametro;
si taglia un pezzo lungo il doppio dell’altezza del vaso, lo si piega al centro fino a far toccare gli estremi, ad una delle estremità vi si collega con un morsetto il cavo elettrico, che và al (positivo) del generatore di corrente, questo elettrodo sarà l’anodo ed andrà infilato come una graffetta sulla parete del vaso, che io consiglio sia un beaker in pyrex oppure in duran, del costo di pochi euro, non correrete il rischio che si rompa al contatto con il catodo rovente.
Il catodo dovrà essere manovrato con le mani, per poter gestire la regolazione della reazione.
Si prende un pezzo di filo metallico che può essere anche diverso da quello dell’anodo, la lunghezza deve essere almeno di 10 cm. vi si collega con un morsetto il cavo elettrico, di sezione almeno 2,5 mm. quadrati, detto filo andrà al (negativo) del generatore di corrente.
A questo punto abbiamo il vaso con fissato a graffetta l’anodo, riempiamo di acqua qualsiasi fino a ¾ del vaso, versiamo un paio di cucchiaini da caffè del sale che desideriamo, (lasciate il sale marino a quando avrete acquisito esperienza e usatene poco perché è molto conduttivo), con il cucchiaino mescoliamo bene affinché si sciolga bene il sale.
Non occorre preriscaldare la soluzione, la reazione parte anche a 20 gradi centigradi.
Mi raccomando, c’è pericolo di morte per fulminazione, quindi assicuratevi di avere sul vostro impianto elettrico un interruttore salvavita, acquistate inoltre un paio di guanti dielettrici di sicurezza per lavori su parti in tensione ed indossateli; sarebbe opportuno indossare anche occhiali di sicurezza.
Ora prendiamo una pinza grande isolata a 1000 volt, con questa afferreremo il morsetto che stringe il catodo, diamo corrente agli elettrodi lasciando solo l’anodo a bagno, con cautela avvicineremo il catodo alla superficie del liquido; udirete ad un certo punto una serie di scoppiettii, indice della reazione di fusione o fissione fredda, (ancora nessuno ha saputo dare una spiegazione chiara del fenomeno).
Gli scoppiettii che dicevo, sono prodotti dalla reazione violenta che genera una altissima temperatura nel metallo, l’acqua bolle immediatamente nelle sue vicinanze, abbassandosi di livello in quel punto, questo è il primo scoppio, poi l’acqua ritorna su, tocca il metallo ed inizia una nuova reazione.
Così sentirete un rumore assordante come di mitragliatrice, voleranno schizzi di acqua bollente ma se sarete protetti non succederà nulla, potrete affondare di qualche millimetro il catodo nel liquido e noterete subito che inizierà a diventare rovente fino a fondere e cadere come goccia sul fondo del vaso, se non sarà di vetro pyrex o duran, si spaccherà, altrimenti lascerà solo un segno di fusione sulla superficie del fondo.
Io ho fuso un tondino di acciaio armonico di 4 mm. di diametro con solamente 2 ampere di corrente.
Tenete presente che in certe condizioni la reazione si spegne, ma a questo punto possono passare anche 10 ampere e gli elettrodi restano freddi, questa è la prova che non è il passaggio di corrente che riscalda fino alla fusione il metallo.
La tensione di rete dovrebbe essere stata unificata in tutta Italia a 230 volt c.a., che raddrizzata diventa 300 volt c.c.
La reazione si spegne quando variamo la tensione sotto i 150 volt c.c. oppure se immergiamo troppo il catodo. In questo caso si ottiene solo l’ elettrolisi dell’acqua, con produzione di ossigeno all’anodo e il doppio in volume di idrogeno al catodo; oltre a bolle di vapore d’acqua, in quanto fornendo 300 volt a 10 ampere di corrente si ha una immissione di 3000 watt di energia alla cella elettrolitica, che nonostante tutto, non rende incandescenti gli elettrodi, ma ribolle come una pentola infernale.
Possiamo far ripartire quando vogliamo la reazione, alzando la tensione di lavoro oppure riportando vicino alla superficie il catodo per poi affondarlo lentamente.
Vi riporto le temperature di fusione di alcuni metalli:
alluminio 660 °C
rame 1083 °C
ferro 1536 °C
tungsteno 3410 °C
Il tungsteno sono riuscito a portarlo al color bianco, non ha fuso a goccia come il ferro ma si è elettrocorroso in pochi secondi, trasformando la bacchetta cilindrica di 2,4 mm. di diametro in una punta conica, lasciando una fanghiglia sul fondo.
Con un contatore Geiger RAM 63/1 ho misurato se vi era una emissione di radiazioni, ma non ho notato nessun cambiamento rispetto alla normale radiazione naturale di fondo, sempre presente ovunque, sia come radiazione ALFA, BETA e GAMMA.
Purtroppo questo è un punto che viene preso in considerazione da chi è scettico sulla fusione fredda.
Io dico comunque che questo tipo di reazione essendo di tipo nuovo, cioè non ancora studiato a fondo, non implica che ci debba essere emissione di radiazioni, ma solo sviluppo di calore; eventualmente una emissione di neutroni a debole energia, misurabili solo con costosi strumenti.
Credo che questa reazione endotermica, sia generata dagli ioni H+ dell’acqua che colpiscono il catodo, sicuramente saprete che gli ioni H+ non sono più atomi, ma singoli protoni; quindi si ha un bombardamento di raggi protonici che si incuneano nel nucleo del metallo del catodo, questo provoca uno scombussolamento nell’atomo del metallo trasmutandolo in un altro elemento della tavola periodica degli elementi. Quando si spegne questa reazione, subentra la conosciutissima reazione di elettrolisi dell’acqua; in questo caso gli ioni H+ incontrano un elettrone prima di toccare il catodo, perché questo elettrodo è talmente carico di cariche negative che sputa elettroni in ogni direzione.
È interessante notare come si comporta diversamente la cella elettrolitica nei due casi; quando lavora in elettrolisi, la cella produce agli elettrodi bollicine molto piccole, di idrogeno al catodo ed ossigeno all’anodo; quando invece innesca la reazione (nucleare?) si ha un brusco cambiamento, all’anodo si riducono quasi a zero le bollicine di ossigeno, mentre al catodo si ha una rapida produzione di bolle grosse di vapore d’acqua con repentino arrossamento dell’elettrodo, che può anche arrivare alla fusione se la soluzione è vicino alla saturazione, in quanto sono disponibili più protoni H+.
Saprete sicuramente che vi è uno spartiacque nella tavola degli elementi, costituito dal ferro; per ottenere energia dagli elementi più leggeri del ferro, bisogna fare una fusione, cioè attaccargli dei protoni ( ed eventualmente anche neutroni ) per creare un elemento più pesante.
Se partiamo da elementi più pesanti del ferro, dobbiamo spaccarli ed ottenere elementi più leggeri per ottenere energia, questo si chiama fissione; in questo caso vi è quasi sempre anche emissione di neutroni perché negli elementi leggeri ne servono di meno.
Se queste reazioni avvengono in una cella elettrolitica, che al massimo ha una temperatura di
100 °C, si definiscono fusione fredda o fissione fredda perché nei reattori nucleari avvengono a milioni di gradi centigradi.
Chi vuole realizzare questo esperimento in ambito domestico, deve usare la massima cautela, in quanto potrebbero essere emessi dei neutroni, i quali sono molto pericolosi per la salute perché molto penetranti.
Renzo Mondaini (Ravenna)
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