Solare termico a concentrazione: una vera soluzione?
In un numero di "Report" apparso su RAI 3 il 29 Ottobre, abbiamo avuto una descrizione molto ottimistica, addirittura trionfale, del concetto di produrre energia elettrica mediante solare a concentrazione. Il metodo utilizza specchi per riscaldare un fluido il quale, a sua volta, aziona una turbina o un altro tipo di motore termico.
Il concetto di solare termico a concentrazione è stato dimostrato più volte nel passato, ma forse le cose non sono così semplici e vantaggiose come la trasmissione di Report ha fatto apparire. Su questo argomento, vediamo un commento da parte di Domenico Coiante, uno dei maggiori esperti di energia rinnovabile in Italia. Coiante è autore, fra le altre cose di "Le Nuove Fonti di Energia Rinnovabile, Tecnologie, costi e prospettive" Franco Angeli Editore - 2004
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Commenti alla Trasmissione RAI Report 29/10/06
D. Coiante – 30/10/06
1. Contrariamente a quanto affermato, il progetto Archimede non ha nulla di originale nella concezione impiantistica. La linea tecnologica detta parabolic trough, a cui appartiene, è stata messa a punto negli USA a partire dagli anni ’80 e conta oggi in California a Junction Kramer nel deserto del Mojave 354 MW elettrici di impianti in funzione da almeno 10-20 anni. L’efficienza media di trasformazione della radiazione solare in elettricità nelle condizioni ottimali del deserto della California è pari al 12%, valore che, pur in quelle condizioni climatiche favorevoli, non consente ancora di raggiungere la competitività economica del costo del kWh.
2. Negli anni ‘80-’84 ad Almeria in Spagna è stata provata la stessa tecnologia da parte della UE in un impianto da 500 kW elettrici, su cui sono ancora in corso esperimenti condotti dalla Spagna. Nelle condizioni climatiche di Almeria, l’impianto ha ottenuto un’efficienza pari al 7-8% e di conseguenza la distanza dalla competitività è molto più grande che negli USA.
3. Quella che è stata sbandierata nella trasmissione televisiva come una novità ideata da Rubbia è la sostituzione dell’olio diatermico, usato come fluido termico primario negli impianti USA, con una miscela di nitrati di sodio e potassio mantenuti fusi al di sopra di 290 °C. La verità storica è che questa stessa soluzione fu messa a punto ed adottata nei primi anni ’90 nell’impianto USA Solar Two a torre centrale e specchi, realizzato a Barstow in California ed in funzione fino ad oltre il 2000. Quindi l’idea dell’accumulo termico in sali fusi non è affatto originale del Progetto Archimede, ma copiata di sana pianta da Solar Two.
4. I dati pubblicati da Archimede della possibilità di ottenere efficienze medie complessive del 17-20% sono molto discutibili per le seguenti ragioni. La temperatura più alta a cui si può portare la miscela di sali fusi è di 550 °C, perché al di sopra di tale temperatura sorgono problemi di sicurezza (i sali fusi possono esplodere). Stante questa temperatura limite, la macchina termica ideale di Carnot lavora tra 290 e 550 °C e quindi il rendimento teorico massimo ottenibile è pari al 31.6%. Una macchina termica reale posta a lavorare tra le stesse temperature potrà in pratica raggiungere il 70% del limite di Carnot e di conseguenza il rendimento del gruppo turbina alternatore potrà al massimo raggiungere in pratica un’efficienza del 22%. Se si considera che l’efficienza termica complessiva (captazione degli specchi, raccolta nel fluido primario, trasferimento del calore nei serbatoi di accumulo, ecc) è un dato misurato su tutti gli impianti che si aggira intorno al 45-50%, si ottiene immediatamente un rendimento complessivo di trasformazione dalla radiazione solare all’elettricità in uscita che vale circa 11%. Cosa che è confermata dai dati sperimentali di tutti gli impianti in funzione.
5. L’unica novità che si può riconoscere al Progetto Archimede è l’uso di una particolare vernice fotoassorbente di brevetto ENEA (e non Rubbia) da spalmare sui tubi ricevitori in modo da poter catturare più energia solare, potendo così raggiungere a parità di concentrazione della luce una temperatura più alta del fluido primario. Come si è visto però la temperatura massima è fissata dalle condizioni di sicurezza a 550°C e questa soluzione potrà garantire l’ottenimento di questa temperatura con una maggiore facilità, ma essa è ininfluente sul rendimento il cui valore dipende solo dal valore della temperatura massima.
6. All’ENEA Casaccia a Roma è in funzione da qualche anno una sezione prototipo del Progetto Archimede sulla quale si sta sperimentando l’assemblaggio delle diverse tecnologie mutuate dagli impianti parabolic trough californiani con l’aggiunta dei famosi sali fusi e della vernice fotoassorbente. La trasmissione Report ha completamente ignorato questa realtà, preferendo attribuire all’ENEL il progetto di un prototipo montato presso Priolo, che “sta li ad arrugginirsi nel piazzale”. Poteva essere interessante conoscere i risultati della sperimentazione ENEA, visto che tale attività è proseguita tranquillamente dopo l’uscita di Rubbia. Non è vero pertanto che si fa tutto in Spagna e niente in Italia.
7. A proposito della normativa italiana che ha trascurato di mettere nell’elenco degli impianti incentivabili quelli solari termoelettrici, ci sarebbe molto da discutere. Infatti, bisogna dire che lo stato di questa tecnologia e le condizioni climatiche di insolazione delle nostre regioni sono molto diverse e più sfavorevoli di quelle della Spagna meridionale. Esiste inoltre in Italia un obiettiva differenza nella disponibilità di siti adeguati ai grandi impianti, cosa che è assente nella Spagna meridionale. Non è vero che in Sicilia c’è la stessa quantità di sole che nell’Andalusia. Nelle nostre regioni la quantità di radiazione solare diretta è molto minore di quella andalusa e, purtroppo, gli impianti solari a concentratori paraboloidi rispondono soltanto alla componente diretta e non a quella diffusa. Questo innegabile svantaggio porta come conseguenza che per la tecnologia parabolic trough la possibilità di raggiungere la competitività in Italia è praticamente inesistente. Lo stesso Rubbia nell’intervista televisiva ha brillantemente evitato l’argomento passando a parlare di installazione di grandi impianti nel deserto del Sahara. E’ infatti li che si può sperare di ottenere la competitività. Pertanto è molto discutibile il fatto di mettere fondi pubblici a incentivare una tecnologia di cui non esistono esempi in Italia e che nel migliore dei casi dovrà essere applicata nel Nord Africa, ripetendo così nel solare i rischi connessi alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico che oggi affligge il sistema italiano.
In un numero di "Report" apparso su RAI 3 il 29 Ottobre, abbiamo avuto una descrizione molto ottimistica, addirittura trionfale, del concetto di produrre energia elettrica mediante solare a concentrazione. Il metodo utilizza specchi per riscaldare un fluido il quale, a sua volta, aziona una turbina o un altro tipo di motore termico.
Il concetto di solare termico a concentrazione è stato dimostrato più volte nel passato, ma forse le cose non sono così semplici e vantaggiose come la trasmissione di Report ha fatto apparire. Su questo argomento, vediamo un commento da parte di Domenico Coiante, uno dei maggiori esperti di energia rinnovabile in Italia. Coiante è autore, fra le altre cose di "Le Nuove Fonti di Energia Rinnovabile, Tecnologie, costi e prospettive" Franco Angeli Editore - 2004
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Commenti alla Trasmissione RAI Report 29/10/06
D. Coiante – 30/10/06
1. Contrariamente a quanto affermato, il progetto Archimede non ha nulla di originale nella concezione impiantistica. La linea tecnologica detta parabolic trough, a cui appartiene, è stata messa a punto negli USA a partire dagli anni ’80 e conta oggi in California a Junction Kramer nel deserto del Mojave 354 MW elettrici di impianti in funzione da almeno 10-20 anni. L’efficienza media di trasformazione della radiazione solare in elettricità nelle condizioni ottimali del deserto della California è pari al 12%, valore che, pur in quelle condizioni climatiche favorevoli, non consente ancora di raggiungere la competitività economica del costo del kWh.
2. Negli anni ‘80-’84 ad Almeria in Spagna è stata provata la stessa tecnologia da parte della UE in un impianto da 500 kW elettrici, su cui sono ancora in corso esperimenti condotti dalla Spagna. Nelle condizioni climatiche di Almeria, l’impianto ha ottenuto un’efficienza pari al 7-8% e di conseguenza la distanza dalla competitività è molto più grande che negli USA.
3. Quella che è stata sbandierata nella trasmissione televisiva come una novità ideata da Rubbia è la sostituzione dell’olio diatermico, usato come fluido termico primario negli impianti USA, con una miscela di nitrati di sodio e potassio mantenuti fusi al di sopra di 290 °C. La verità storica è che questa stessa soluzione fu messa a punto ed adottata nei primi anni ’90 nell’impianto USA Solar Two a torre centrale e specchi, realizzato a Barstow in California ed in funzione fino ad oltre il 2000. Quindi l’idea dell’accumulo termico in sali fusi non è affatto originale del Progetto Archimede, ma copiata di sana pianta da Solar Two.
4. I dati pubblicati da Archimede della possibilità di ottenere efficienze medie complessive del 17-20% sono molto discutibili per le seguenti ragioni. La temperatura più alta a cui si può portare la miscela di sali fusi è di 550 °C, perché al di sopra di tale temperatura sorgono problemi di sicurezza (i sali fusi possono esplodere). Stante questa temperatura limite, la macchina termica ideale di Carnot lavora tra 290 e 550 °C e quindi il rendimento teorico massimo ottenibile è pari al 31.6%. Una macchina termica reale posta a lavorare tra le stesse temperature potrà in pratica raggiungere il 70% del limite di Carnot e di conseguenza il rendimento del gruppo turbina alternatore potrà al massimo raggiungere in pratica un’efficienza del 22%. Se si considera che l’efficienza termica complessiva (captazione degli specchi, raccolta nel fluido primario, trasferimento del calore nei serbatoi di accumulo, ecc) è un dato misurato su tutti gli impianti che si aggira intorno al 45-50%, si ottiene immediatamente un rendimento complessivo di trasformazione dalla radiazione solare all’elettricità in uscita che vale circa 11%. Cosa che è confermata dai dati sperimentali di tutti gli impianti in funzione.
5. L’unica novità che si può riconoscere al Progetto Archimede è l’uso di una particolare vernice fotoassorbente di brevetto ENEA (e non Rubbia) da spalmare sui tubi ricevitori in modo da poter catturare più energia solare, potendo così raggiungere a parità di concentrazione della luce una temperatura più alta del fluido primario. Come si è visto però la temperatura massima è fissata dalle condizioni di sicurezza a 550°C e questa soluzione potrà garantire l’ottenimento di questa temperatura con una maggiore facilità, ma essa è ininfluente sul rendimento il cui valore dipende solo dal valore della temperatura massima.
6. All’ENEA Casaccia a Roma è in funzione da qualche anno una sezione prototipo del Progetto Archimede sulla quale si sta sperimentando l’assemblaggio delle diverse tecnologie mutuate dagli impianti parabolic trough californiani con l’aggiunta dei famosi sali fusi e della vernice fotoassorbente. La trasmissione Report ha completamente ignorato questa realtà, preferendo attribuire all’ENEL il progetto di un prototipo montato presso Priolo, che “sta li ad arrugginirsi nel piazzale”. Poteva essere interessante conoscere i risultati della sperimentazione ENEA, visto che tale attività è proseguita tranquillamente dopo l’uscita di Rubbia. Non è vero pertanto che si fa tutto in Spagna e niente in Italia.
7. A proposito della normativa italiana che ha trascurato di mettere nell’elenco degli impianti incentivabili quelli solari termoelettrici, ci sarebbe molto da discutere. Infatti, bisogna dire che lo stato di questa tecnologia e le condizioni climatiche di insolazione delle nostre regioni sono molto diverse e più sfavorevoli di quelle della Spagna meridionale. Esiste inoltre in Italia un obiettiva differenza nella disponibilità di siti adeguati ai grandi impianti, cosa che è assente nella Spagna meridionale. Non è vero che in Sicilia c’è la stessa quantità di sole che nell’Andalusia. Nelle nostre regioni la quantità di radiazione solare diretta è molto minore di quella andalusa e, purtroppo, gli impianti solari a concentratori paraboloidi rispondono soltanto alla componente diretta e non a quella diffusa. Questo innegabile svantaggio porta come conseguenza che per la tecnologia parabolic trough la possibilità di raggiungere la competitività in Italia è praticamente inesistente. Lo stesso Rubbia nell’intervista televisiva ha brillantemente evitato l’argomento passando a parlare di installazione di grandi impianti nel deserto del Sahara. E’ infatti li che si può sperare di ottenere la competitività. Pertanto è molto discutibile il fatto di mettere fondi pubblici a incentivare una tecnologia di cui non esistono esempi in Italia e che nel migliore dei casi dovrà essere applicata nel Nord Africa, ripetendo così nel solare i rischi connessi alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico che oggi affligge il sistema italiano.
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