Da sempre siamo abituati, anzi direi quasi condizionati, a valutare le scelte di politica energetica solo sulla base del mero calcolo economico a breve termine.
In parole semplici: se adotto quella tecnologia mi costa X e produce eenrgia a un costo Y. Se il costo della fonte alternativa è Y,02 non conviene e punto.
Questo ragionamento è molto facilmente contrabbandato come "unico valido" alla gente comune, perchè è troppo semplice paventare i rischi della ricaduta in bolletta di scelte "economically incorrect" secondo le rigide regole dell'economia industriale.
Da tempo qualcuno (pochi purtroppo) sta cercando di far capire che una consistente fetta di costi reali e concretissimi NON viene conteggiata nel calcolo economico industriale, ma resta affidata ad una specie di tradizione non formalizzata che pretende di addossare alla comunità costi che sarebbero invece TOTALMENTE di pertinenza dei produttori.
E' semplicemente grottesco che i costi sanitari e ambientali che produce ad esempio una grande centrale termoelettrica a carbone siano separati dal calcolo del costo di produzione e appaltati a quella eterea dimensione di "sfiga esistenziale" che obbliga i cittadini della nazione a tassarsi per curare le vittime dell'inquinamento della centrale stessa. Oltre ,ovviamente, a dover pagare anche la produzione elettrica. Il tutto cementato e garantito dal potere di ricatto che lo scambio occupazione/business impone alla popolazione locale e che, con apparente paradosso, porta alle lotte fra poveri a cui abbiamo assistito anche recentemente (Operai contro Greenpeace - Foto del giorno - Corriere Roma).
Quella del costo ambientale-sanitario delle centrali è però solo la più evidente (e secondo me anche la meno affrontabile perlomeno nel breve termine) delle problematiche sui "costi occulti"
Un settore molto più interessante nel breve credo che sia il problema dei "costi parassitari" che l'attuale modello produttivo impone.
In realtà sappiamo tutti che buona parte della cosiddetta distribuzione reddituale è fatta più su base "sociale" che "produttiva". Una parte importante degli spostamenti lavorativi quotidiani sono utili solo a giustificare l'esistenza dello stesso posto di lavoro.
Al di là delle riflessioni socio-politiche che mi interessano poco, è interessante notare come questo modello ha determinato enormi danni a una parte importante del tessuto sociale.
Ad esempio l'ormai evidente spopolamento delle zone rurali, anche in regioni per nulla marginali, sta diventando un problema enorme e molto sottovalutato.
Qui :Vendo casa per un euro - LASTAMPA.it si sono accorti del problema e ne propongono una soluzione singolare. Compri la casa a 1 euro se la ristrutturi e la abiti. Proposta interessante, ma che trascura un aspetto primario che nell'articolo viene posto in luce: quello che manca non sono le persone interessate a vivere in queste realtà, ma le attività produttive che le persone possono svolgere con profitto (reddito!).
Non sono gli agriturismo la via per risolvere la cosa sicuramente. Quello che manca è un'attività semplice, diffusa, accessibile a tutti che permetta a molte persone una vita dignitosa senza per forza dover pensare al trasferimento negli orrendi ghetti-dormitorio intorno alle grandi città che stanno nascendo anche da noi.
Una volta quest'attività era rappresentata dalla coltivazione agricola, con tutti i vantaggi (ma anche le fatiche ed i rischi) che tale attività impone. In certe realtà l'indistrializzazione agricola o le produzioni di altissimo livello permettono un bilancio attivo di queste scelte di vita, anche se al costo di una evidente perdita di "genuinità" del prodotto. Ma esistono tante realtà (come ad es. quella dell'articolo) che non offrono tali possibilità. L'abbandonare questi paesi e territori al degrado e all'abbandono è o non è un costo gigantesco per il paese? Io dico che lo è eccome!
UNA POSSIBILE ALTERNATIVA: è, secondo me, rappresentata dall'offrire a chi è interessato (e non credo sarebbero pochissimi!) l'opportunità, tramite agevolazioni normative, di credito e ambientali di recuperare queste realtà rurali basando il proprio reddito su una produzione energetica da FER. Ovvio che la soluzione più praticabile, semplice ed economica sarebbe l'impianto FV, ma minieolico e miniidro non sarebbero da scartare.
In parole povere ok alla ristrutturazione del rudere a 1 euro, ma garantendo contemporaneamente una tariffa incentivante per impianti FER speciale, espressamente orientata a situazioni di questo tipo, in modo da evitare le speculazioni industriali. Quindi ovviamente solo per impianti di dimensioni sufficienti a coprire un reddito familiare dignitoso (diciamo max 200 kWp). C'è il costo, certo, ma in un progetto di ristrutturazione di un casolare l'ipotesi di associarvi un impianto di produzione energetica potrebbe e dovrebbe essere inserito e finanziato alla stregua dell'investimento immobiliare. Con qualche agevolazione normativa, fiscale, finanziaria la cosa potrebbe assumere i contorni di un investimento interessante per molti.
Vita in campagna tutto l'anno, senza necessità di trasferimenti lavorativi, internet e TV per mantenersi in contatto e pulmino giallo all'americana per portare i bambini a scuola.
In questo modo queste zone potrebber tornare ad essere appetibili non solo per i soliti, tristi, pensionati stufi della città e in patetica ricerca delle atmosfere della propria gioventù, ma per nuclei familiari giovani che potrebbero anche decidere di ridedicarsi a un'agricoltura leggera, magari totalmente bio, con la sicurezza di avere un nucleo di reddito forte e garantito senza dover rischiare tutto nella speranza che qualcuno gli acquisti le zucchine biologiche e che una grandinata non li costringa a tornarsene in città con le pive nel sacco!.
Io altre vie per "ripopolare" questi centri abbandonati non ne vedo e con i prezzi del FV ormai a livelli di quasi parity-grid l'incentivazione tariffaria necessaria potrebbe essere davvero minima.
Attendo pareri, ma avviso che, poco sportivamente ammetto, casserò immediatamente ogni accenno al nucleare, perchè OT.
In parole semplici: se adotto quella tecnologia mi costa X e produce eenrgia a un costo Y. Se il costo della fonte alternativa è Y,02 non conviene e punto.
Questo ragionamento è molto facilmente contrabbandato come "unico valido" alla gente comune, perchè è troppo semplice paventare i rischi della ricaduta in bolletta di scelte "economically incorrect" secondo le rigide regole dell'economia industriale.
Da tempo qualcuno (pochi purtroppo) sta cercando di far capire che una consistente fetta di costi reali e concretissimi NON viene conteggiata nel calcolo economico industriale, ma resta affidata ad una specie di tradizione non formalizzata che pretende di addossare alla comunità costi che sarebbero invece TOTALMENTE di pertinenza dei produttori.
E' semplicemente grottesco che i costi sanitari e ambientali che produce ad esempio una grande centrale termoelettrica a carbone siano separati dal calcolo del costo di produzione e appaltati a quella eterea dimensione di "sfiga esistenziale" che obbliga i cittadini della nazione a tassarsi per curare le vittime dell'inquinamento della centrale stessa. Oltre ,ovviamente, a dover pagare anche la produzione elettrica. Il tutto cementato e garantito dal potere di ricatto che lo scambio occupazione/business impone alla popolazione locale e che, con apparente paradosso, porta alle lotte fra poveri a cui abbiamo assistito anche recentemente (Operai contro Greenpeace - Foto del giorno - Corriere Roma).
Quella del costo ambientale-sanitario delle centrali è però solo la più evidente (e secondo me anche la meno affrontabile perlomeno nel breve termine) delle problematiche sui "costi occulti"
Un settore molto più interessante nel breve credo che sia il problema dei "costi parassitari" che l'attuale modello produttivo impone.
In realtà sappiamo tutti che buona parte della cosiddetta distribuzione reddituale è fatta più su base "sociale" che "produttiva". Una parte importante degli spostamenti lavorativi quotidiani sono utili solo a giustificare l'esistenza dello stesso posto di lavoro.
Al di là delle riflessioni socio-politiche che mi interessano poco, è interessante notare come questo modello ha determinato enormi danni a una parte importante del tessuto sociale.
Ad esempio l'ormai evidente spopolamento delle zone rurali, anche in regioni per nulla marginali, sta diventando un problema enorme e molto sottovalutato.
Qui :Vendo casa per un euro - LASTAMPA.it si sono accorti del problema e ne propongono una soluzione singolare. Compri la casa a 1 euro se la ristrutturi e la abiti. Proposta interessante, ma che trascura un aspetto primario che nell'articolo viene posto in luce: quello che manca non sono le persone interessate a vivere in queste realtà, ma le attività produttive che le persone possono svolgere con profitto (reddito!).
Non sono gli agriturismo la via per risolvere la cosa sicuramente. Quello che manca è un'attività semplice, diffusa, accessibile a tutti che permetta a molte persone una vita dignitosa senza per forza dover pensare al trasferimento negli orrendi ghetti-dormitorio intorno alle grandi città che stanno nascendo anche da noi.
Una volta quest'attività era rappresentata dalla coltivazione agricola, con tutti i vantaggi (ma anche le fatiche ed i rischi) che tale attività impone. In certe realtà l'indistrializzazione agricola o le produzioni di altissimo livello permettono un bilancio attivo di queste scelte di vita, anche se al costo di una evidente perdita di "genuinità" del prodotto. Ma esistono tante realtà (come ad es. quella dell'articolo) che non offrono tali possibilità. L'abbandonare questi paesi e territori al degrado e all'abbandono è o non è un costo gigantesco per il paese? Io dico che lo è eccome!
UNA POSSIBILE ALTERNATIVA: è, secondo me, rappresentata dall'offrire a chi è interessato (e non credo sarebbero pochissimi!) l'opportunità, tramite agevolazioni normative, di credito e ambientali di recuperare queste realtà rurali basando il proprio reddito su una produzione energetica da FER. Ovvio che la soluzione più praticabile, semplice ed economica sarebbe l'impianto FV, ma minieolico e miniidro non sarebbero da scartare.
In parole povere ok alla ristrutturazione del rudere a 1 euro, ma garantendo contemporaneamente una tariffa incentivante per impianti FER speciale, espressamente orientata a situazioni di questo tipo, in modo da evitare le speculazioni industriali. Quindi ovviamente solo per impianti di dimensioni sufficienti a coprire un reddito familiare dignitoso (diciamo max 200 kWp). C'è il costo, certo, ma in un progetto di ristrutturazione di un casolare l'ipotesi di associarvi un impianto di produzione energetica potrebbe e dovrebbe essere inserito e finanziato alla stregua dell'investimento immobiliare. Con qualche agevolazione normativa, fiscale, finanziaria la cosa potrebbe assumere i contorni di un investimento interessante per molti.
Vita in campagna tutto l'anno, senza necessità di trasferimenti lavorativi, internet e TV per mantenersi in contatto e pulmino giallo all'americana per portare i bambini a scuola.
In questo modo queste zone potrebber tornare ad essere appetibili non solo per i soliti, tristi, pensionati stufi della città e in patetica ricerca delle atmosfere della propria gioventù, ma per nuclei familiari giovani che potrebbero anche decidere di ridedicarsi a un'agricoltura leggera, magari totalmente bio, con la sicurezza di avere un nucleo di reddito forte e garantito senza dover rischiare tutto nella speranza che qualcuno gli acquisti le zucchine biologiche e che una grandinata non li costringa a tornarsene in città con le pive nel sacco!.
Io altre vie per "ripopolare" questi centri abbandonati non ne vedo e con i prezzi del FV ormai a livelli di quasi parity-grid l'incentivazione tariffaria necessaria potrebbe essere davvero minima.
Attendo pareri, ma avviso che, poco sportivamente ammetto, casserò immediatamente ogni accenno al nucleare, perchè OT.
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