salve, posterò ora due articoli interessanti,
per il caricamento di idrogeno e per elettrolisi
Una sperimentazione con una matrice porosa apre una nuova strada allo stoccaggio dell’idrogeno in vista della costruzione di vetture non inquinanti
Un gruppo di scienziati è riuscito a trovare una prima soluzione al problema della conservazione dell’idrogeno, in vista di un suo impiego come combustibile per mezzi di trasporto. Lo studio è stato svolto da ricercatori dell’Università di Nottingham, Regno Unito coordinati da Martin Schröder ed è stato pubblicato sulla rivista “Angewandte Chemie”. Gli scienziati hanno utilizzato una matrice porosa in cui hanno inserito quanto più idrogeno era possibile. Ma, e questa è stata la sorpresa della ricerca, successive prove con matrici con pori più grandi non hanno portato allo stoccaggio di maggiori quantità di idrogeno.
La matrice porosa in questione, che assorbe l’idrogeno come una spugna, si chiama metal organic framework (MOF) e ha una struttura molecolare che ricorda una impalcatura piena di fori di forma cilindrica. In questi fori viene iniettato l’idrogeno in forma gassosa. Inizialmente, gli scienziati avevano immaginato che aumentando il volume dei pori sarebbe aumentata anche la quantità di idrogeno immagazzinabile. Per verificare questa ipotesi, è stata calcolata la quantità esatta di combustibile che poteva essere contenuto in un certo volume. Il calcolo si è però rivelato più complicato del previsto, e solo dopo molti sforzi si è arrivati a un dato definitivo, che costituisce il principale risultato della ricerca.
L’idrogeno è stato pompato in tre MFO dello stesso materiale ma con pori di differente taglia, rispettivamente di 6,5, 7,3 e 8,3 angstrom di diametro (un angstrom è un decimiliardesimo di metro). I pori di taglia intermedia sono stati quelli che alla fine hanno offerto la più alta densità d’idrogeno: 43,6 grammi di idrogeno per litro, 4,7 grammi per litro in più dei buchi più piccoli e 2,5 in più di quelli più grandi. I ricercatori hanno inoltre concluso che la misura ottimale del diametro dei pori di MOF varia a seconda del materiale di cui è composto.
ferro da elettrolisi
La tecnica consentirebbe di evitare l’emissione in atmosfera di 1000 miliardi di CO_2 all’anno
Produrre ferro attraverso l’elettrolisi piuttosto che attraverso le tradizionali tecniche di fusione è possibile. Sono queste le conclusioni alle quali è giunta una ricerca condotta da Donald Sadoway, scienziato dei materiali del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che ha sviluppato un modo per produrre ferro in laboratorio attraverso l'elettrolisi di ossido di ferro liquido.
Se il processo potrà essere riprodotto su scala industriale, questo permetterà di non avere più bisogno della tradizionale tecnologia per fusione la quale ha il difetto di rilasciare nell'atmosfera 1000 miliardi di anidride carbonica ogni anno.
Nel processo di produzione tradizionale il minerale grezzo viene combinato con il coke, un derivato del carbone. Il coke reagisce con il ferro producendo anidride carbonica (CO2) e monossido di carbonio (CO) che vengono espulsi nell'aria lasciando il ferro allo stato puro. L'elettrolisi permette invece di dissolvere il ferro grezzo in un solvente di diossido di silicio (SiO2) e ossido di calcio (CaO) a 1600°C, con una corrente elettrica. Gli ioni di ossigeno caricati negativamente migrano verso la carica positiva fino a che le bolle di ossigeno evaporano.
"La tecnologia presenta comunque ancora una serie di ostacoli", dice Sadoway. Il più grande riguarda l'individuazione di un materiale che sostituisca il coke e che non rilasci CO2. Il platino rappresenterebbe una buona opzione, ma il suo utilizzo finirebbe per alzare i costi della produzione in modo insostenibile. Inoltre per ora il processo che utilizza l'elettrolisi utilizza ancora troppa energia: circa 2000 kilowatt/ora per tonnellata di ferro prodotto. "Pensiamo che ci vorranno almeno 10 o 15 anni per rendere questa tecnologia economicamente sostenibile per le industrie — ha spiegato Lawrence Kavanagh del MIT — ma ora è arrivato davvero il tempo di lavorare seriamente per mettere a punto al più presto questo nuovo processo di produzione del ferro".
per il caricamento di idrogeno e per elettrolisi
Una sperimentazione con una matrice porosa apre una nuova strada allo stoccaggio dell’idrogeno in vista della costruzione di vetture non inquinanti
Un gruppo di scienziati è riuscito a trovare una prima soluzione al problema della conservazione dell’idrogeno, in vista di un suo impiego come combustibile per mezzi di trasporto. Lo studio è stato svolto da ricercatori dell’Università di Nottingham, Regno Unito coordinati da Martin Schröder ed è stato pubblicato sulla rivista “Angewandte Chemie”. Gli scienziati hanno utilizzato una matrice porosa in cui hanno inserito quanto più idrogeno era possibile. Ma, e questa è stata la sorpresa della ricerca, successive prove con matrici con pori più grandi non hanno portato allo stoccaggio di maggiori quantità di idrogeno.
La matrice porosa in questione, che assorbe l’idrogeno come una spugna, si chiama metal organic framework (MOF) e ha una struttura molecolare che ricorda una impalcatura piena di fori di forma cilindrica. In questi fori viene iniettato l’idrogeno in forma gassosa. Inizialmente, gli scienziati avevano immaginato che aumentando il volume dei pori sarebbe aumentata anche la quantità di idrogeno immagazzinabile. Per verificare questa ipotesi, è stata calcolata la quantità esatta di combustibile che poteva essere contenuto in un certo volume. Il calcolo si è però rivelato più complicato del previsto, e solo dopo molti sforzi si è arrivati a un dato definitivo, che costituisce il principale risultato della ricerca.
L’idrogeno è stato pompato in tre MFO dello stesso materiale ma con pori di differente taglia, rispettivamente di 6,5, 7,3 e 8,3 angstrom di diametro (un angstrom è un decimiliardesimo di metro). I pori di taglia intermedia sono stati quelli che alla fine hanno offerto la più alta densità d’idrogeno: 43,6 grammi di idrogeno per litro, 4,7 grammi per litro in più dei buchi più piccoli e 2,5 in più di quelli più grandi. I ricercatori hanno inoltre concluso che la misura ottimale del diametro dei pori di MOF varia a seconda del materiale di cui è composto.
ferro da elettrolisi
La tecnica consentirebbe di evitare l’emissione in atmosfera di 1000 miliardi di CO_2 all’anno
Produrre ferro attraverso l’elettrolisi piuttosto che attraverso le tradizionali tecniche di fusione è possibile. Sono queste le conclusioni alle quali è giunta una ricerca condotta da Donald Sadoway, scienziato dei materiali del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che ha sviluppato un modo per produrre ferro in laboratorio attraverso l'elettrolisi di ossido di ferro liquido.
Se il processo potrà essere riprodotto su scala industriale, questo permetterà di non avere più bisogno della tradizionale tecnologia per fusione la quale ha il difetto di rilasciare nell'atmosfera 1000 miliardi di anidride carbonica ogni anno.
Nel processo di produzione tradizionale il minerale grezzo viene combinato con il coke, un derivato del carbone. Il coke reagisce con il ferro producendo anidride carbonica (CO2) e monossido di carbonio (CO) che vengono espulsi nell'aria lasciando il ferro allo stato puro. L'elettrolisi permette invece di dissolvere il ferro grezzo in un solvente di diossido di silicio (SiO2) e ossido di calcio (CaO) a 1600°C, con una corrente elettrica. Gli ioni di ossigeno caricati negativamente migrano verso la carica positiva fino a che le bolle di ossigeno evaporano.
"La tecnologia presenta comunque ancora una serie di ostacoli", dice Sadoway. Il più grande riguarda l'individuazione di un materiale che sostituisca il coke e che non rilasci CO2. Il platino rappresenterebbe una buona opzione, ma il suo utilizzo finirebbe per alzare i costi della produzione in modo insostenibile. Inoltre per ora il processo che utilizza l'elettrolisi utilizza ancora troppa energia: circa 2000 kilowatt/ora per tonnellata di ferro prodotto. "Pensiamo che ci vorranno almeno 10 o 15 anni per rendere questa tecnologia economicamente sostenibile per le industrie — ha spiegato Lawrence Kavanagh del MIT — ma ora è arrivato davvero il tempo di lavorare seriamente per mettere a punto al più presto questo nuovo processo di produzione del ferro".
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